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Metropolis

Atene, dove l’uomo ha cominciato a pensare – seconda parte

La classica

La prima volta mi ricordo di un paese mediterraneo e felice. Non certo ricco, ma il turismo portava già tanti soldi, la gente era a volte un po’ rude ma sempre molto spontanea. Ci si capiva a gesti, alla maniera latina, da sud del mondo, ed era facile comunicare. In comune c’era l’arte di arrangiarsi, la creatività, la vita all’aperto, la vita in gruppo, l’amore del cibo, della musica, dei piaceri della vita. Per un italiano che arrivava in Grecia era facile sentire anche la magia delle pietre, il valore immenso della cultura, della storia classica, nell’unico paese che può permettersi di sfidare Roma e l’Egitto.
E con la luce della sera l’Acropoli appariva da ogni lato di Atene come una splendida cartolina.

E con la luce della sera l’Acropoli appariva da ogni lato di Atene come una splendida cartolina.

L’olimpica

Poco dopo ci furono le Olimpiadi, e Atene si pettinò, si fece bella, mostrò aspetti che nessuno credeva potesse nascondere nel suo alveare di strade inquinate, addirittura del verde! Tra bandiere e magliette greche che sventolavano ovunque la metropoli visse quel culmine che preparava il declino, un pozzo senza fondo di debiti dovuti ai soldi spesi e ai soldi rubati per costruire a cifre smodate cantieri, ferrovie, alloggi, impianti sportivi.

Poco dopo ci furono le Olimpiadi, e Atene si pettinò, si fece bella

La reietta

La crisi economica seguì inarrestabile, caratterizzata da continue manifestazioni di dura protesta, un quindicenne ucciso dalla polizia, la rabbia esplosiva e disperata di chi doveva sopravvivere a tanti sprechi. Le immagini di quell’Atene fecero il giro del mondo, quelle di una città messa a ferro e fuoco da anarchici ed estremisti, negozi devastati, automobili incendiate.
Quando vi atterro per la quarta volta la vita mi sembra ancora dura, forse come non mai. Me ne accorgo fino a un certo punto perché a cinque, sei ore dal Pireo, mi aspettano in sequenza alcuni tra i posti più belli del mondo, Santorini, Paros, Mykonos, Amorgos. Il bianco e il blu delle Cicladi ti distrae e ti assorbe facilmente ma quell’estate là la Grecia, in primis la sua capitale, erano la feccia dell’Europa che conta, stabilmente sull’orlo del default finanziario, costretta ad accettare i freddi piani di salvataggio dell’Unione Europea e a subirne le umiliazioni, pagando con la gente più vulnerabile i dissesti creati da una classe politica incompetente e da banche troppo disinvolte.
Le Termopili di quegli anni erano la resistenza della popolazione contro l’assalto del mondo dei numeri delle banche e dell’Europa dei burocrati di Bruxelles. Numeri che, tragicamente, non tornavano mai. Si lottava per ottenere una stabilizzazione del rapporto debito/PIL al 120%, una cifra allucinante. Un quarto della popolazione era disoccupato, così come la metà dei giovani, e il 27% degli ateniesi viveva vive al di sotto della soglia di povertà. Servivano in continuazione soldi, servivano aiuti, e non bastavano i soldi spesi negli incanti sparsi nell’Egeo dai turisti di tutto il mondo. Settantatré miliardi di euro di manovre finanziarie, pari al 35% del prodotto interno lordo, non bastarono ad avere la solidarietà europea, non ancora, per la gioia di estrema sinistra e teste rasate, lieti di gonfiare i propri voti puntando sulla leva dell’orgoglio ellenico.
Alcuni flash della memoria: sul retro della mappetta gratuita distribuita negli alberghetti del centro era riportata la pubblicità di un ristorante dove offrono il menù “crisi”. Fumogeni che si vedevano ovunque dalla vetta del Ligabetto. Mendicanti che vagavano senza meta per le strade. Famiglie di sfrattati costrette a riparare in qualche isoletta lontana per rifarsi una vita.

Fumogeni che si vedevano ovunque dalla vetta del Ligabetto

L’eterna bellezza

Per il resto vivevo in un mondo ovattato: l‘interno del Museo dell’Acropoli per esempio, contenente i reperti greci trovati sulla collina del Partenone. Non si poteva restare indifferenti allo spettacolo che si vedeva dal suo ultimo piano, dove le pareti di vetro si affacciavano sulla collina forse più famosa del mondo, o ammirando lo spettacolo sotto ai propri piedi. Gli architetti, costruendo le pareti e i pavimenti in vetro hanno fatto in modo che il museo lievitasse sopra le rovine della città vecchia e che dal suo piano panoramico si potessero paragonare i resti, qui ordinati e raggruppati, con la realtà delle rovine. I fregi delle pareti Est e Ovest del Partenone erano davanti a me, ripresentati integralmente: alcuni costituiti dai pezzi originali, altri da copie e mostravano, tra le altre cose, la nascita di Atena, uscita già adulta e armata direttamente dalla testa di Zeus, che ne aveva divorato la madre.
Una sera mangiai in un posto d’eccezione, nei Giardini Nazionali, vicino al possente Arco di Adriano. Ci trovavamo giusto accanto al palazzo dove la Grecia firmò la sua condanna, aderendo all’Unione Europea e all’Euro, una costruzione neoclassica dalle colonne imponenti, fredda però rispetto alle magiche rovine che si vedevano appena poco oltre. Una mattina andai alla ricerca di una bettola per un caffè e, nel farlo, mi persi inesorabilmente ma forse volutamente. Eccomi a percorrere le isole pedonali coi negozi commerciali, le piccole vie della Plaka, il vecchio quartiere turco (e mi veniva da pensare: si odiano così tanto eppure c’è così tanto di simile nei loro modi di vivere, in come sfruttano lo spazio, in quel che mangiano), alcune piccole chiese bizantine, in una arrivano gli sposi per un matrimonio in costumi tipici.

Eccomi a percorrere le isole pedonali coi negozi commerciali, le piccole vie della Plaka, il vecchio quartiere turco

In mezzo al declino

Nelle stesse vie che riconosco a fiuto al quinto e ultimo arrivo noto tanti murales pieni di rabbia contro l’Europa, contro la troika finanziaria, il FMI, la Banca Centrale Europea, contro le istituzioni che hanno divorato generazioni di risparmi. I muri sono sporchi, e diversi, anche in centro, diroccati. Le scritte in greco non mi consentono di capirci un acca. Ci sono mucchi di rifiuti ammassati per le strade del centro, parecchi mendicanti stesi a terra. Sporcizia, scritte ovunque e una decadenza quasi cercata. La mancanza d’amore per il proprio territorio caratteristica di tanti dei paesi del Mediterraneo? La rassegnazione della sconfitta?

Atene è ancora quel miscuglio di antico e moderno, di splendori e bruttezze, di angoli delicati e orrori architettonici. Piazzette con i tavoli all’aperto sotto splendidi pergolati, dove è piacevole gustare con calma il caffè greco, si alternano a vie trafficate, rumorose e inquinate. Anche le antiche abitudini sono sempre quelle. Non appena sentono dirsi che sei italiano, parte spietata la stessa vecchia litania di sempre “una faccia, una razza, una faccia, una razza”. Dal tassista che non sa una parola di inglese all’albergatrice dell’hotel Byron, dove alloggio, appena sotto all’Acropoli. E non so se imbarazzarmi, se sorridere come un idiota o se sentirmi nel bel mezzo del caos latino-mediterraneo.

E non so se imbarazzarmi, se sorridere come un idiota o se sentirmi nel bel mezzo del caos latino-mediterraneo

Nelle piazze

Dall’alto il Partenone osserva come sempre tutto il resto e, all’arrivare del crepuscolo, si illumina. Cammino nuovamente per i vicoletti della Plaka, dove i negozi di souvenir offrono paccottiglia del tipo elmi spartani, finti piatti di terracotta con immagini di guerrieri, statue da pataccari, le solite magliette con scene prese dal kamasutra come se gli antichi greci stessero sempre a fornicare, ma anche profumi di spiedini, deliziosi scorci, improvvise chiese bizantine, con le cupole a tegole rosse, che sembrano soffocare tanto sono circondate da palazzi brutti e anonimi. Mi infilo poi in strade più rumorose e commerciali, affollate di negozi non certo tipici, di quelli che potresti trovare in ogni città europea. Arrivo al mercato delle pulci, alla zona dei ristoranti turistici, tutti ancora, rigorosamente, a fine settembre, con i tavolini fuori: odore di moussaka, tovaglie a scacchi, tonnellate di olive speziate, qualche samovar solitario che fa pensare alla Turchia.

Infine seguo le luci del Partenone, viali alberati pieni di locali con musica giovanile ma soffusa e mi ritrovo di nuovo al museo, avendo completato il periplo della Collina che domani scaleremo. Mangio un gyros che, in oltraggio a tutti i kebabbari del mondo musulmano, può anche essere di maiale. Proseguo fino a Syntagma, mi tappo le orecchie per i clacson, il naso per lo smog, costeggiando gli enormi resti del Tempio di Zeus Olimpo e l’Arco di Adriano, e sbuco nella enorme piazza da dove partono tutte le manifestazioni di protesta contro il governo, ospitando essa i palazzi del potere. E’ piena di polizia, nonostante non vi siano segni evidenti di assembramenti. E’ piena anche di macchine e la gola mi brucia.

sbuco nella enorme piazza da dove partono tutte le manifestazioni di protesta contro il governo, ospitando essa i palazzi del potere. E’ piena di polizia

Sono rimasti aperti pochi negozi lungo Adrianau, ai piedi dell’Acropoli, perché è proprio lì che si concentrano i venditori di souvenir più banali. Più in là, dalle parti di Monastiriki, le taverne per turisti faticano a far quadrare i conti, i buttadentro si sfidano per conquistarti, anche se tu poi decidi di entrare in quella da dove proviene il profumo di carne più delizioso. E’ il trionfo del souvlaki, lo spiedino di agnello, manzo, carne mista, maiale. Accompagnato da un po’ di spezie, cipolle crude, pomodoro e salsette, da una bella montagna di patate fritte, da una pita appena sfornata, dalla feta con l’origano.

E’ il trionfo del souvlaki, lo spiedino di agnello, manzo, carne mista, maiale

Il giorno successivo scaliamo ad anni di distanza di nuovo l’Acropoli e, nonostante la folla, l’emozione è sempre forte. Il gran tempio domina la scena come ai tempi di Socrate e Platone, più spoglio che in passato ma comunque imponente. Si vede da quasi ogni angolo di Atene, sempre che non si abbia davanti un palazzo di dieci piani, ed è un posto di assoluto fascino, assieme alle Cariatidi, al Teatro di Dionisio e alle bellezze dell’Agora Antica, al possente tempio dorico di Efesto, tutto circondato da una macchia verde che ti fa sentire vicino ai filosofi e agli dei e dimenticare per qualche ora il caos e l’inquinamento delle strade del centro.

è un posto di assoluto fascino, assieme alle Cariatidi, al Teatro di Dionisio e alle bellezze dell’Agora Antica

L’ingorgo del sabato mattina è micidiale, è perfino difficile attraversare bene la strada. Lavori in corso un po’ ovunque, lavori interrotti anche. Banchetti improvvisati per strada con venditori improvvisati che ti offrono libri, cartoline, vecchie dracme, ricordi personali presi da soffitte svuotate: un modo come un altro per sbarcare il lunario. Scritte e poster di protesta, oppure dedicati ai perenni derby tra le squadre di calcio e di basket che accendono le sfide più appassionate nel ventre della metropoli, fino al Pireo che ti aspetta come sempre coi traghetti, le ciminiere e le taverne del porto. Poi all’improvviso l’Atene che ami, la piazzetta raccolta, la taverna che ti serve moussaka di melanzane, vino rosso, olive nere, pane croccante. Con due gatti sornioni che tentano di cibarsi delle molliche sotto il tavolo. Sembra una piazzetta di paese, tranquilla e rilassata.

Un posto chiamato Exarchia

Se li cerchi trovi anche dei quartieri più chic, coi giovani vestiti bene, i locali alla moda ma sempre troppi negozi che dopo la crisi non hanno rialzato le serrande. Ad Exarchia invece ecco l’Atene più anarchica e ribelle. La residenza preferita di universitari e di intellettuali, la tana di anarchici ed estremisti, molto più che Gracia a Barcellona e San Lorenzo o la Garbatella a Roma.
Exarchia dà protezione ai suoi figli.
Se inseguiti dalla polizia vengono nascosti e, non appena i poliziotti, che in Grecia non hanno la mano leggera (neanche gli anarchici, se è per questo), ne varcano i confini, quattro o cinque giovanotti in passamontagna iniziano, come a un segnale concordato, a rallentare la loro avanzata, creando barricate, bruciando auto, tirando pietre. La gente, dai balconi, li aiuta. Non c’è bisogno di guardare sulla cartina per renderci conto di essere arrivati. A un incrocio staziona un pullman blindato della polizia e, all’inizio di una via, due poliziotti in tenuta antisommossa con pistola, scudo, manganello, casco e spray urticante sorvegliano gli ingressi del quartiere come sembra accada ogni volta che una manifestazione fa ritorno all’interno delle mura amiche.
I cortei a Exarchia possono finire molto male e la guerriglia urbana può scattare in un lampo.
Qui i muri parlano in maniera incredibile. Scritte e manifesti ovunque e, soprattutto, murales, e tutti dello stesso tenore. Il popolo che non accetta l’oppressione, politica, economica, culturale. Scene di ragazzi col passamontagna, con una molotov in mano. Dipinti di fiamme e macchine rovesciate, un pupazzetto misterioso con un occhio solo che compare ovunque. Scoprirò trattarsi della firma di un graffitaro chiamato WD (Wild Drawing).

Dipinti di fiamme e macchine rovesciate, un pupazzetto misterioso con un occhio solo che compare ovunque. Scoprirò trattarsi della firma di un graffitaro

Il giovane martire

All’improvviso, una tristezza infinita. Senza cercarlo arriviamo nel punto in cui Andreas Grigoropoulos, 15 anni, fu ucciso da un proiettile sparato da un poliziotto durante una manifestazione. Le prime notizie che scovo su internet raccontano la versione della polizia che narra di come i poliziotti reagirono in seguito a un assalto subito all’interno della loro camionetta. Ne uscirono, alcuni spararono lacrimogeni, uno di loro usò la pistola. L’agente incriminato disse di aver sparato tre colpi: due in aria, uno per terra. E disse che quello per terra rimbalzò, colpendo alla schiena il ragazzo che fuggiva. Testimoni oculari parlano, invece, di un’arma che sparava ad altezza d’uomo. La stessa analisi delle traiettorie dei proiettili escluse ogni possibile deviazione nella loro corsa. Mirò al ragazzo, lo uccise, ricevette in cambio un ergastolo. Ripiombo con la mente alle scene del G8 di Genova e alla morte di un altro ragazzo. Ed entrambe mi appaiono crudeli e senza senso, la deriva di ogni lotta e di ogni tensione metropolitana. A Exarchia quella piazzetta è diventata una tomba. C’è una foto di Andreas, una data, dei fiori e, intorno, sono dipinte altre scene di guerriglia urbana e tante scritte di cui capisco solo quelle in inglese. Una urla “riposa in pace”, un’altra viene da Quarto Oggiaro, periferia milanese, quartiere dormitorio e di altre storie di lotte sociali.

percorriamo quindi l’ultima delle vie di Exarchia, di questo quartiere bollente e resistente, che passa accanto al Politecnico

Percorriamo quindi l’ultima delle vie di Exarchia, di questo quartiere bollente e resistente, che passa accanto al Politecnico, altro luogo pregno della storia politica della Grecia recente. Fu qui che, nel 1973, entrarono i carri armati del regime dei colonnelli, ferendo diversi studenti e nei giorni di rivolta che seguirono furono uccisi ventiquattro civili. Protestavano al grido di “pane, istruzione e libertà” contro la giunta militare che imponeva il coprifuoco, proibiva di camminare insieme, di ascoltare determinata musica. Fu quello però il canto del cigno, l’evento che segnò l’inizio della fine della dittatura.

Il saluto di Zeus

Ci ritroviamo in uno stradone trafficato, sporco, rumoroso, pieno di negozi chiusi. Arriviamo ad Omonia, piazza spaziosa e altrettanto caotica e continuiamo a camminare verso sud, perdendoci tra i macellai del mercato centrale, dove l’odore del sangue sale alla testa e dà la nausea. Ritornati nella zona turistica, visitiamo un paio di deliziose chiese bizantine, un quartierino pulito e pieno di graziosi locali e ci rifugiamo nella lunga isola pedonale che lambisce il lato sud dell’Acropoli.
La mia ultima domenica vissuta ad Atene è dedicata alla porzione di centro che ci mancava. Ovvero l’arco di Adriano annerito dallo smog, il colossale Tempio di Zeus Olimpo circondato dal verde e lo stadio delle prime olimpiadi moderne, quelle del 1896, usato anche per l’arrivo della maratona di quelle più recenti.

il colossale Tempio di Zeus Olimpo circondato dal verde

Durante il viaggio di ritorno penso e ripenso alle povertà e alle filosofie di Atene, a chi l’ha vissuta e percorsa, raccontata e sofferta. A chi l’ha cantata, a chi ha subito le umiliazioni dei poteri forti d’Europa e ha chi cercato nuove possibilità prendendo il largo, verso qualche isola. Penso a quanto l’Europa come istituzione possa aver voluto dire sofferenza per i greci, possa aver significato la stretta delle banche, gli obblighi dell’economia e non la società aperta o le forme di solidarietà che questo popolo si aspettava e che forse si meritava pure per l’immensa eredità spirituale lasciata al nostro continente.

Penso a quanto la grandezza e la bellezza del passato sia soffocata dalle angosce del presente.

Penso a un ragazzo, ancora bambino, che non potrà più correre dietro a un pallone e alle ragazze, o suonare la chitarra, o tuffarsi nel mare, che certo non aveva tra i suoi sogni adolescenziali quello di essere raffigurato un giorno su un muro, circondato da calcinacci, proprio come un martire.

Eppure Atene va avanti, tra affanni e incertezze, speranze e rivolte, e quando proprio non ce la fa si ripiega su se stessa. Comincia a guardare il mare che si spalanca davanti al porto del Pireo oppure volge lo sguardo al meraviglioso tramonto che si ammira dal tempio di Poseidone a Capo Sounion e si immerge per amore, per distrazione, per evocazione, nel suo Grande Blu.

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