Australia, già il nome spiega tutto
Due notti in aereo, di seguito, senza pietà. Per arrivare nella “terra australis incognita” dei latini, ovvero la terra più meridionale e sconosciuta o quella austera e aspra dei greci, nel continente più lontano, più indipendente, più vuoto che esiste. Per certi versi il più selvaggio e insieme il più moderno, spesso il più originale. Un viaggio interminabile sopra più mari, ai nostri antipodi, per ammirare città luminose ed eleganti, spazi naturali immensi, animali che esistono solo là, come i canguri e i koala, e con le giuste distanze, magari i coccodrilli e gli squali.

Down Under, nel mondo capovolto, dei surfisti sempre sull’onda e dei rugbisti sempre per terra, eccezionali esempi delle rispettive categorie, down under, con la curiosità di incontrare gli aborigeni introversi, i farmers solitari, le City luccicanti. A fare non so ancora quanti chilometri, a rincorrere temo non so quali accenti (totalmente diverso l’inglese agli antipodi!!), a vivere non so ancora quante emozionanti avventure, non epiche come quelle di Nicole Kidman in “Australia”, non esilaranti magari come quelle portate sugli schermi da “Mr. Crocodile Dundee”, ma comunque intense, uniche e nostre.

Tutti gli animali di Brisbane
Brisbane la giovane concentra i suoi moderni grattacieli in una delle tante anse sinuose che il fiume omonimo le regala. Tanto verde, poca anima. E’ nata troppo di recente per regalare emozioni, per i galeotti della colonia penale, isolata dal resto del mondo, in uno dei pochi angoli fertili di un territorio ostile e pericoloso. Grattacieli, neanche troppo belli, che provano ad assomigliare a quelli di Vancouver, le luci del tramonto sui mostri di vetro e cemento, un’isola pedonale animata e commerciale, la strana sensazione di sentirsi altrove, un’economia basata sul turismo. Intorno facce sassoni, asiatiche, una miriade di cinesi, occhi a mandorla ovunque.

E’ lungo il fiume Brisbane che vedo la prima Australia: rive pulite, case basse, prati inglesi, imbarcadero. Sulle rive qualche industria e una giungla di mangrovie, dietro la quale immagino enormi coccodrilli di acqua salata. “Fa troppo freddo qui per loro” anticipa la risposta la voce registrata che esce dall’altoparlante della barca che ci guida tra i meandri del fiume “però a volte sono gli squali a risalire la corrente”. Essendo un anno in cui gli squali bianchi hanno particolarmente appetito (chiedere dettagli alla comunità dei surfisti della costa occidentale) non mi sento particolarmente tranquillo…
Non siamo tra ottobre e marzo e quindi schiveremo le letali cubo meduse, o stinger, o meduse a scatola. Meritano, tuttavia, alcune righe. Quindici centimetri di diametro, tre metri di tentacoli, venti minuti per farti fuori. Trasportate dalla corrente, è sufficiente una loro carezza per svenire all’istante. O risvegliarsi, come è capitato a una ragazza di 15 anni, una delle poche superstiti, piena di orrende ustioni. Nuotava spensierata in un fiume, a ben 15 chilometri dalla foce. Non se lo scorderà più.
Ecco qualcosa va chiarito dall’inizio: siamo nel paese dove qualunque cosa si muova nasconde un pericolo. Vivono in Australia i dieci animali più pericolosi del mondo, dall’enorme squalo bianco al coccodrillo estuarino, e i serpenti più letali, dal nero Taipan a quello marino. Senza tralasciare pesci mortali, ragni giganti, uccelli particolarmente anomali o canterini come i Lira. Non c’è da scherzare in Australia: anche certi coralli bruciano, la sabbia nasconde il pesce pietra dalle spine letali, come una tracina troppo, troppo cresciuta (se si è punti ci si salva mettendo il piede in una bacinella di acqua calda), nei flutti si nascondono il polpo dagli anelli blu e la perfida lumaca assassina, piccola e terribile, nel terriccio si possono trovare formiconi di 4 cm, detti bulldog per la forza delle loro mandibole (!!), nella steppa dell’outback ecco i clamidosauri col loro collo che si gonfia, i draghi barbuti e i diavoli spinosi, che fanno tutti abbastanza ribrezzo.
Ma perché è successo tutto questo, perché la fauna di qui è strana e pericolosa e si è riunita come su di un’Arca primordiale? Una teoria valida pare che sia legata alla deriva dei continenti: l’Australia in tempi remotissimi – 200 milioni di anni fa – si staccò dall’Asia e l’isola che andò alla deriva fece crescere e sviluppare, isolate, insolite, velenose, tante specie di animali endemici.
Al parco dei koala abbiamo un evidente assaggio della stranezza e dell’originalità della fauna australiana. Non mette la tristezza di uno zoo anche se i coloratissimi pappagalli sono rinchiusi in gabbia, così come il kookaturra, l’uccello che ride, della famiglia del martin pescatore, mentre l’ornitorinco con le sue zampe palmate e il suo becco da anatra è placido placido in una vasca ma nasconde anche lui una minaccia: il veleno che esce dallo sperone delle sue zampe posteriori. Erano anni che volevo vederlo questo mammifero, che scivola goffo nell’acqua come uno sbaglio della natura. Ti pare che l’unico mammifero velenoso al mondo non fosse australiano…??

Il parco dei koala si estende su un paio di colline sulla riva destra del Brisbane ospita poche gabbie e tanti spazi aperti. I koala ne sono i signori e trovano qui un rifugio sicuro dall’estinzione. E’ una specie di orsacchiotto peloso col marsupio, più tenero e innocuo di un pelouche, che si nutre di foglie di eucalipto e segue un processo di digestione bradipesco che causa il suo eterno sonno, pisolini di appena venti ore al giorno (pare che l’olio contenuto nelle foglie dell’eucalipto abbia un effetto narcotico). Dorme aggrappato, come un pompiere a una pertica, ai rami verticali degli alberi. Usa unghie affilatissime per sostenersi e ti guarda coi suoi occhietti orientali. Quando aggrappati alla stessa pianta, sembrano essere frutti dello stesso albero.
Se vuoi una foto mentre li tieni in braccio sono 16 dollari, e lì rifiuto. Vado piuttosto a vedere l’emù, zampe da dinosauro e piumaggio estremamente morbido. Resta lì, immobile, non usa la sua velocità leggendaria. Quanto è abituato alla presenza umana?
E i canguri? E i wallabies? Anche questi marsupiali, in natura, amano farsi avvicinare alzando, ogni tanto, i pugni in segno di guardia? Non lo so, ma stare in mezzo a loro è bellissimo. I simboli dell’Australia li avvicino per la prima volta in una vasta area recintata, un prato cui l’accesso non è impedito, amanti del sole, quando riposano all’ombra, saltellando con grazia con quelle assurde zampe posteriori ad angolo retto.

Poco oltre è il regno dei wambouts, animalotti informi dal sedere corazzato (gli servirà per difendersi dagli assalti di qualche bestia nemica…?) che, se ti danno un morso con quel muso da porcellini, fan male assai, e ovviamente in questo parco trovano spazio i serpenti più letali del mondo, immobili e gelidi, dietro teche di vetro. I dingo visti qui sembrano bellissimi cani di prateria, in verità sono dei predatori aggressivi e selvatici dal manto rosso, che ululano nell’outback australiano e costituiscono il pericolo numero uno dei canguri e dei greggi di pecore, per questo i coloni li sterminarono quasi; gli echidna, dei piccoli formichieri spinosi, sono assenti, non mi danno il benvenuto, peccato.

Squalo non ti temo
E’ un paese strano che riserva pericoli grandi e piccoli. Un primo ministro di anni fa, racconta Bill Bryson nel suo splendido “Una terra bruciata dal sole”, passeggiava a mare e fu inghiottito da un’onda. Così. E non fu più ritrovato. Avrebbe potuto andare incontro alla morte calpestando un pesce pietra o sfiorando una medusa o, inoltrandosi in appena pochi centimetri d’acqua, grazie alle mascelle dei coccodrilli. In aeroporto era riportato, in grandezza naturale, il più grande che sia stato mai catturato. Un disegno di otto metri e dieci centimetri, quasi tre piani di un palazzo.
E la percezione del pericolo?
Gli Australiani sanno bene a cosa vanno incontro ma sembrano non dargli troppo peso. Mi spiego: continuereste a fare surf lì dove gli squali bianchi fanno colazione con i surfisti? Io non toccherei l’acqua. Loro sì, tanto “abbiamo i migliori bagnini professionisti nell’avvistamento squali”. Ragazzo – mi verrebbe da dire – se arrivano dal basso, la pinna non la vedi, sono loro che vedono te, diritto nel mirino di fauci spaventose. Eppure c’è chi gli squali non li teme, in primis i surfisti che oltre a essere muscolosi, biondi, affascinanti, si sentono evidentemente invincibili e benedetti da Dio.

Il canto delle balene
Quattrocento chilometri di strada dritta e in buone condizioni ci portano a Hervey Bay, regno delle balene. Fa freschetto ma il sole brilla alto, speriamo bene.
Hervey Bay sembra non avere un centro, è un susseguirsi ordinato e pulito di villette, case e negozi lungo la litoranea. Oltre una duna, la spiaggia, aperta sul Pacifico. Le insegne dei negozi e le pubblicità lungo la strada svelano da subito tutto quello che il mare le dona, squali e balene, crociere di scoperta, avvistamenti di cetacei, attività marine.
Saliamo su un battello a motore a due piani con equipaggio formato da avvistatori, pilota e biologa marina. Lasciamo il porto in una giornata di mare calmo e sole, niente di meglio. Quando doppiamo la punta di Fraser Island avvistiamo un dingo che corre sulla lunghissima spiaggia e un paio di delfini tra le onde. Le balene si fanno desiderare. Iniziamo a prendere vento.
A un certo punto ecco l’urlo, è questa l’emozione atavica del baleniere?

La balena soffia, si muove, gioca col compagno, si rotola nell’acqua. Acceleriamo verso gli spruzzi e inizia rapidamente il ballo di sagome scure oblunghe che si muovono sott’acqua, passando da una parte all’altra della barca, mostrando la pancia bianca, il dorso pieno di incrostazioni, le pinne laterali in evoluzioni acrobatiche, la dorsale sollevata poeticamente prima di un’immersione e, solo una volta, sbattuta con fragore sulle onde. Macchinetta in mano, cerco il miracolo della foto perfetta, che non potrà mai riuscire. Troppo vicino, troppo lontano, contro sole, dal lato sbagliato della barca.
Tutti al cospetto di sua maestà la megattera. Ne incontreremo diverse, anche in coppie, e a tutte piacerà giocare e mostrarsi. Il miracolo della Sunshine Coast orientale australiana è anche questo.
Al ritorno, costeggiamo Fraser Island che domani conosceremo meglio. Una spiaggia bianca lunghissima e, alle sue spalle, una fittissima foresta pluviale. Dall’altro lato della barca un tramonto poetico, il sole che non scotta più e il vento che inizia a frustarci la pelle un po’ troppo violentemente. Dopo la doccia, scatta la lotta con il fuso. In testa il canto delle balene, che ho ascoltato ancora una volta, e la bellezza svettante e potente della loro grande coda.
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