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Australia, che continente! / I grandi reportages

Australia, che continente! – Nel verde del Kakadu

Nel Kakadu

In due ore ci spingiamo ulteriormente a Nord Est e arriviamo all’entrata del Kakadu National Park (patrimonio Unesco dal 1981), regno incontrastato di zanzare e coccodrilli (ma va???) presenti in pozze, mimetizzati nei billabong (i rami morti di fiumi), diffusi in gran numero nei laghi, nei fiumi, nelle paludi, sugli argini, tra le mangrovie e le ninfee. I cartelli che ti mettono in guardia sulla presenza dei coccodrilli sono ovunque e ti agitano pure un po’: massima prudenza dunque, sensi all’erta, bisogna restare lontano dagli specchi d’acqua e dalle rive!
Un primo panorama ci mostra la bellezza selvaggia del Kakadu, verde e pieno di stagni nella stagione secca, un’immensa piana alluvionale in quella umida. Verde assoluto, dopo il blu della barriera corallina, dopo il rosso di Uluru, dopi il giallo dell’outback: un altro colore assoluto regalato dal variegato paesaggio australiano.

la bellezza selvaggia del Kakadu, verde e pieno di stagni

Oggi il sole picchia forte, siamo assediati dalle mosche e l’acqua, ovunque sia, non può dare ristoro. Perché se entri nell’acqua non sai se ne uscirai intero…
Percorriamo un sentiero circolare vicino all’argine dell’East Alligator River, camminiamo prudenti tra cespugli, stagni ed alti termitai. Un cinghiale irrompe dalla boscaglia sbuffando come una locomotiva, quasi investendo due italiani sul nostro stesso sentiero. Cerchiamo rettili inconsciamente, scoviamo solo suini selvatici.
Un altro brevissimo trekking ci porta ad avvistare le pitture rupestri di Ubir. Il percorso è pianeggiante e agevole, le pitture dai contorni poco delineati ma dai colori accesi raffigurano scene di caccia ed animali, alcuni dei quali estinti. Si tratta di una vera e propria galleria d’arte dell’antichità, appunti di cronaca del Dream Time, d’altronde il santuario naturalistico del Kakadu è abitato ininterrottamente dagli aborigeni da 40.000 anni…

le pitture rupestri di Ubir

Chiariamolo meglio il concetto di Tempo del Sogno: trattasi della cosmogonia aborigena che animata da storie e leggende, segni e sogni, dipinti e riti, canti e danze, spiega la nascita del paesaggio, dei vari usi e costumi della cultura indigena, compresi i rapporti tra i mille clan. Gran parte del mondo per le credenze aborigene è stata creata dal Serpente arcobaleno, divinità femminile benevola o distruttrice, che si sposta nel bush e nelle foreste del Northern Territory col raggio dell’arcobaleno.
Saliamo in cima ad una collina e ululo di stupore. Mi attendevo un panorama sul fiume e, invece, a 360 gradi, ecco che si vede una scena di un verde splendente, fino a dove l’occhio si perde. A Est qualche colle, foresta monsonica e, a ovest, verso il tramonto, la piana alluvionale percorsa da pochi ruscelli, paludosa, con stagni di un accecante arancione. E’ uno dei momenti in cui si sta per conto proprio. O in due, ma in silenzio.
Brindiamo alla giungla con un goccetto di gin alle formiche verdi. Dormiamo in un posto semplicemente fantastico. Palafitte senza pareti in muratura, solo zanzariere a separarti dal mondo della giungla. E della giungla si sente tutto, un concerto di versi e suoni di animali che conciliano il sonno e ci sveglieranno in mattinata, pronti all’incontro con i grandi rettili.

I suoni del silenzio

Arrivano come un tifone. Col fragore di un tuono, ma melodico. Potente come il canto simultaneo di dozzine di kakatua. Pappagalli dall’aspetto buffo che volano in formazione, bianchi, splendenti, con la curiosa cresta, e ci regalano il migliore dei risvegli. Sinfonia pura. Natura estraniante, dominante, assai diversa da quella addomesticata all’europea.
La prima tappa è presso un billabong, una sorta di estesa palude, quel che resiste nella piana alluvionale nella stagione secca. Acqua bassa e torbida, acqua infida che nasconde minacce, piena di ninfee, arbusti ed erbacce dove uccelli meravigliosi, piccoli e grandi, sostano senza timore. Ma se gli uccellini sono tranquilli l’uomo non si deve illudere, anzi… Vedremo infatti, poco più tardi, uccelli sostare a due metri da lunghi coccodrilli, senza fare una piega, in una tregua rispettata. Il rettile continua a pigrare al sole, sa che l’uccello è troppo rapido, anche per i suoi fulminei attacchi, quindi preferisce risparmiare le energie per le cacce notturne, quando inizia a pattugliare il proprio territorio e a farsi belle scorpacciate.

dove uccelli meravigliosi, piccoli e grandi, sostano senza timore

Quindi il coccodrillo c’è, come indica il cartello, alcuni lunghi più di 4 metri….

Basito osservo che i più sbadati del gruppo (forse non capiscono niente di inglese…?) si avvicinano incautamente alla riva. Ragazzi, ma lo sapete che i coccodrilli saltano? Che riescono a scattare fuori dall’acqua, anche in verticale, per due terzi della loro lunghezza? Che il loro attacco non si vede perché è troppo rapido? Che sono bestie pazienti che sanno aspettare fino a che una sola persona resta in acqua o una sola è leggermente isolata? Che sono come degli strateghi di cavalleria? Fate pure, io seguo alla lettera le indicazioni del ranger. La pace della giungla non mi commuove, i suoni del silenzio non allentano le mie difese, le acuiscono.

ma lo sapete che i coccodrilli saltano? Che riescono a scattare fuori dall’acqua, anche in verticale, per due terzi della loro lunghezza?

La seconda tappa è Nurlange, una rupe che si erge sulla vegetazione monotona del Kakadu. Cela la leggenda dell’uomo-fulmine, la nascita dell’uomo-coccodrillo e il sogno del serpente-arcobaleno. Olè, un bel posto naturalistico e mitologico evidentemente. Ci sono pitture rupestri più belle rispetto a ieri, ma ripassate in tempi recenti, quindi sanno un po’ di falso, di artificiale.
La terza sosta è presso Maguk, raggiunta in ottanta chilometri, di cui gli ultimi dieci su uno sterrato massacrante. Sole alto, clima secco, un sentiero che si inoltra in una bellissima giungla. Una passerella per varcare un fiumiciattolo e una palude, e appare l’ennesimo, familiare cartello: “attenti ai coccodrilli”. L’acqua della pozza e del fiume è limpidissima, si vede il fondo, venato di un color verde brillante. Il laghetto con la cascata è un chiaro invito al bagno… La scena sembra quella del libro di Bill Bryson, che descrive la storia vera di una modella divorata da un rettile mentre faceva il bagno in un laghetto con cascata. Perché ho letto quel libro, perché…??? Va tutto bene, ma mi inquieto. E a chi urla, per scherzo, “coccodrillo”, taglierei la lingua.

Eccoli, bestie di 5 metri

Arriviamo a Yellow Waters puntuali, in mezzo al pomeriggio. Il giro in barca è un sogno verde, per i canali del billabong frequentati da aquile, uccelli, bufali e, naturalmente, infestati dai coccodrilli, stavolta davvero ben visibili, in modo famelico e quasi arrogante.
Un paio sono abbastanza grandi, anche cinque metri e incutono timore, un timore preistorico. Mettono in bella mostra le scaglie della coda, i denti e le zampe che sembrano rozze e, invece, li fanno correre a 18 km/h per i primi cento metri di scatto, rendendoli letali. Perché il coccodrillo, il più delle volte, quando attacca, non lo vedi. Non dichiara guerra, non è sportivo. Non ci pensa nemmeno. E’ una macchina per uccidere perfetta, che da duecento milioni di anni non ha subito la minima evoluzione e non si è mai posta minimamente il problema. Così vaghiamo col battello tra i rettili, prima sorpresissimi, quindi assuefatti. E’ la voce del ranger a svegliarci quando dice “ogni giorno mi sorprendo di quanta gente metta a rischio la propria vita nel parco. Nonostante i cartelli non capiscono il pericolo”.
Il giro in barca termina con un tramonto glorioso. In partenza ci indicano un coccodrillo che era a cinque metri dalla barca, accanto alla riva, appena sotto alla passarella di acciaio che avevamo percorso, e nessuno lo aveva notato…

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