L’età delle prime civiltà
C’era una volta… tanto tempo fa… proviamo a immaginarci cosa era Baghdad…
Forse non ce lo ricordiamo completamente ma parliamo dei primi capitoli di storia studiati in ogni ciclo scolastico: la Mesopotamia, la fertile terra estesa tra due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, l’evoluta civiltà degli assiro-babilonesi, le loro favolose ziggurat, i giardini pensili, i primi codici di scrittura cuneiforme e quelli della legge. L’alba della civiltà insomma, dove sorge la moderna Baghdad è avvenuto tutto questo.

L’età delle favole
La stagione della grande letteratura orientale racconta un’altra realtà, ugualmente antica e leggendaria, di semplici eroi e principesse senza tempo. Molte pagine delle “Mille e una notte” scritte nel corso del X secolo, forse in India, forse in Persia o nella vecchia Mesopotamia, erano ambientate proprio qui, in luoghi e terre che oggi chiamiamo col nome di Iraq e che hanno sempre profumato di fascino esotico.
Aladin che scopre la lampada magica e cavalca il tappeto volante, Sinbad il marinaio che scopre nuovi mondi e sconfigge i pericoli e i mostri, Ali Babà e i quaranta ladroni, storie d’amore, di avventure, di incantesimi, di saggezza popolare, tutti episodi rappresentati col tocco leggero e fantasioso di Shahrazad, simbolo della femminilità che sconfigge il Male.
Perché l’intreccio dei racconti nacque esattamente per questo motivo, per placare con la bellezza dell’arte oratoria l’odio che un re tradito dalla moglie portava in serbo per il genere femminile.


Baghdad nel famoso libro viene ritratta coi suoi mercati colorati e i suoi cibi speziati, i vicoli labirintici e le terrazze bellissime, aperte sulla notte. Dolci musiche, mille mestieri, la ricchezza di stoffe e gioielli, i giardini pieni di verde, di uccelli che cantano e di acqua che sgorga. Una collezione di meraviglie, le stesse evocate tante volte nelle “Mille e una notte”.

La città conobbe il miglior periodo della sua storia tra l’800 e il 1200, quando sotto il regno del califfo Harun al Rashid divenne la culla orientale della scienza, della filosofia, della medicina e dell’arte, un luogo pacifico, multietnico, dove convivevano insieme tante culture e tante religioni.

L’Europa era sprofondata nelle sue tenebre medievali, mentre Baghdad risplendeva dei suoi tesori e delle miniature, resistendo anche alle invasioni feroci dei Mongoli eredi di Gengis Khan prima e di Solimano il Magnifico dopo, involucrando anzi gli invasori nella sua millenaria cultura islamica.
Qualche brivido mi percorre se penso a cosa sia diventata.
L’età moderna

Negli anni di Saddam Hussein, diventato “presidente” dell’Iraq nel 1979 il paese conosce un nuovo destino: con le ingenti ricchezze provenienti dai pozzi di petrolio si inventa uno sviluppo veloce e moderno, fatto non più solo di minareti ma di grattacieli, non più solo di scuole coraniche ma di industrie, ma a rovinare troppo presto sogni di grandezza, di ripresa dell’istruzione, di recupero dell’antica gloria ecco piombare sulla gente i rovinosi anni della guerra contro l’Iran (1980-1988), condotta per motivi di confini geografici ma ancor di più per ragioni di una atavica rivalità nella regione del Golfo Persico fra i due paesi contendenti.


Il gusto urbanistico del dittatore riflette in modo mastodontico il suo ego esagerato e protagonista, con la sua guida la capitale dell’Iraq sembra preferire nettamente il modernismo al fascino, i monumenti colossali ai tesori più antichi. Ecco così l’Arco delle Mani della Vittoria e il Monumento ai Martiri dell’esercito iracheno sorgere accanto a moschee dalle cupole dorate e a madrasse dai cortili silenziosi.
L’età del terrore
Inizio anni ’90: al posto delle favole e delle cupole orientali, delle notti sensuali di Shahrazad e dei tappeti magici ecco irrompere la tragedia della guerra che causa una sofferenza immane al popolo iracheno e che lascia uccise a terra da missili, bombe, carri armati e proiettili oltre mezzo milione di persone. L’abbiamo conosciuta come la “Tempesta nel deserto”, la prima grande guerra vissuta in diretta sugli schermi, con le nostre tv a inquadrare le scie luminose dei razzi nelle notti di Baghdad e gli squarci da essi creati nel ventre della città magica.
Fu la muscolare risposta americana all’invasione irachena del Kuwait, una mossa questa che poteva destabilizzare tutta la penisola arabica perché negli Usa e nell’Occidente c’era il timore che Saddam Hussein potesse spingere le sue mire fino all’Arabia Saudita, entrando così in possesso della maggior parte delle risorse petrolifere mondiali.

Il dopoguerra come sempre fu tragico e Baghdad divenne una volta di più una città martire dove continuarono per anni scontri tra bande, vendette religiose, massacri di sciiti e di curdi, violazioni dei diritti umani. Una città dunque difficile e insicura.
Altro che “Luogo di Dio” (questo il significato arabo del suo nome) piuttosto un luogo di tenebre, altro che i ricordi delle “Mille e una notte” piuttosto tappeti di morti, altro che la gloria esibita al Museo Nazionale con le strabilianti collezioni archeologiche (tavolette assire, statuine millenarie, gioielli dal valore incalcolabile) risalenti alla cultura della Mesopotamia, piuttosto una realtà di sottosviluppo, povertà assoluta, fame e distruzione.
La cronaca più recente racconta che gli Usa sono riusciti a deporre il dittatore iracheno nel 2003 e stavolta con la scusa inventata di avere legami con Al Qaeda e di nascondere armi chimiche di distruzione di massa. Un’accusa furba e prepotente, che ha portato Saddam Hussein a essere condannato a morte per impiccagione nel 2006 dal nuovo governo del paese.
Ma l’Iraq non è affatto migliorato, i giovani sono quasi tutti disoccupati, èlite corrotte gestiscono il potere e i pozzi, delle milizie non si fida nessuno, un governo stabile non riesce a formarsi anche perché permangono forti divisioni religiose. Il risultato è che in tantissimi hanno lasciato per sempre l’Iraq.
Fa sensazione pensare che Babilonia sorgeva solo a 100 km dalla moderna Baghdad e fa sensazione riflettere su quanto siano cambiate le cose. La storia stessa ha voltato la faccia a Baghdad.
La metropoli è diventata vittima oltretutto di un traffico pazzesco e di un clima sempre più afoso, peggiorato dalla presenza di tanti palazzi, fabbriche e cemento. Gli chador sono di nuovo cresciuti a proteggere occhi misteriosi di donne, tante famiglie hanno perso tutto, la ricchezza del petrolio è evaporata, le guerre in serie hanno lasciato solo dolore e vuoto, i vecchi hanno uno sguardo stanco, i bambini si sono abituati a conoscere quasi solo i giochi di guerra.


Sono cadute una dopo l’altra tutte le statue e i ritratti di Saddam Hussein, come la sua macchina sanguinaria del terrore, ma ormai Baghdad è cambiata, avvilita, ridotta in macerie.


Cosa ci sarà nel suo futuro, notti di stelle e tappeti volanti o ancora notti di lampi di guerra e paura?
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