Menu
Metropolis

Il Cairo, l’antichità e il caos – prima parte

Muezzin e baksish

Questo non sarà un viaggio ma una vacanza breve, in uno dei posti più antichi e affascinanti del mondo, in una metropoli che conserva intatto il respiro della storia con le Piramidi, la Sfinge, un Museo ricco di tesori incredibili e allo stesso tempo ti soffoca col suo traffico, col suo smog, col suo caos.

una metropoli che conserva intatto il respiro della storia con le Piramidi, la Sfinge, un Museo ricco di tesori incredibili

Attendo di perdermi in uno dei mercati più grandi del mondo. Dopo Tunisi, Marrakech, Istanbul, Zanzibar e, soprattutto, New Delhi, sarò ancora sorpreso dagli odori delle spezie?
Proverò stupore davanti alle rovine millenarie, al grande e simbolico fiume, alle sterminate periferie di baracche, alle enormi moschee?

Voglio andare, voglio capire.

L’aereo di linea prosegue poi per Sharm, ed è pieno di turisti che al massimo dell’Egitto classico conosceranno un papiro fasullo comprato a Naama Bay. Alcuni sono fenomenali, non sanno neanche trovare il loro posto: “ma se mi siedo qui non è la stessa cosa?”
Il Cairo ci attende di notte, col canto del primo muezzin. L’aria si fa sospesa, intrigante, sembriamo catapultati nel regno delle Mille una Notte. Una strada a quattro corsie ci porta in città. E’ un buon biglietto da visita, si presenta ordinata e pulita. Grattacieli alti, minareti, palme, case costruite con materiali poveri. E’ buio ma sembra tutto color deserto, sabbia sporca. Come le vie laterali, malridotte e puzzolenti. Milioni di condizionatori ti guardano, sono ad ogni finestra.

Il Cairo ci attende di notte, col canto del primo muezzin. L’aria si fa sospesa, intrigante

Ecco il nostro albergo, camera molto in alto, per arrivarci un ascensore dell’Ottocento. E mancia a chiunque. Oggetti che provengono dai nostri anni Settanta, un ventilatore a pale, una grande tv, mobili di legno pesante, coperte da letto un po’ pelose.
Poche ore di sonno e poi i primi passi per questa megalopoli mostruosa, pronta a stordirti, pronta a ingoiarti. Ci salviamo dal caldo perché è dicembre, posso solo immaginarmi una passeggiatina sotto i 50 gradi di agosto. Chiedono baksish, mance, per tutto, gli abitanti del Cairo legati in qualche modo al turismo: se lasci la macchina parcheggiata, se chiedi un’informazione, se ti strappano a forza le valigie, se ti portano nell’ascensore che si attiva a manovella e tu non lo puoi sapere, se ti aprono la porta della stanza. C’è chi fuori ai monumenti si finge il guardiano e poi, astuto, si rivela una guida non autorizzata; chi ti chiede i biglietti all’ingresso delle tombe per quello che sembra un controllo di routine all’entrata e finisce col battere cassa. Tattiche sopraffine ma anche scene pietose come chi, al supermercato, si impone di riempirti le buste della spesa alla cassa, anche se non glielo hai chiesto. Sembra essere il baksish il motore informale dell’economia, un inno alla creatività, l’apoteosi dell’ingegno, l’esaltazione dell’arte di arrangiarsi. E, probabilmente, riveste anche significati antropologici di coesione e controllo sociale.

“Seppellirò anche te”

Scegliamo di muoverci con un autista maldestro, di quelli che suonano, fumano, mangiano, strillano in radio, pregano e probabilmente bestemmiano in ogni giornata che gli capita. C’è un traffico pazzesco, brevi ed isteriche suonate di clacson per svicolare, avvisare, passar prima, sorpassare. Sono talmente tanti che sembra di ascoltare una sirena continua. Una striscia d’asfalto sopraelevata taglia la città, come una lunga ferita. Anche il Nilo lo fa, ma è più elegante e maestoso e porta alla vicina foce tutti i suoi millenni. Però il grande fiume è di un color grigio triste, perché tutto Il Cairo è coperta da una coltre compatta di nebbiolina densa e opaca. Sabbia del deserto trascinata dal vento e, soprattutto, un traffico folle e marmitte obsolete di infiniti taxi scassati che spingono l’inquinamento atmosferico alle stelle e limitano la visibilità.
Avessimo potuto avremmo scelto di muoverci sul dorso di un dromedario.

tutto Il Cairo è coperta da una coltre compatta di nebbiolina densa e opaca

A proposito di inquinamento una volta le maestose piramidi apparivano da lontano e incutevano timore, fin da quando iniziava il lungo rettilineo Cairo-Giza. Oggi, vuoi per l’aria sporca, vuoi perché le due città sono ormai unite, formando un agglomerato di quasi 15 milioni di abitanti e le case ai due lati della strada si succedono ininterrottamente, la Piramide di Cheope, la più alta, sorge all’improvviso, dietro, e oltre, un buco nella fila di palazzi. Sembra una base extraterrestre, un triangolo grigio chiaro di cui si intravede solo la parte superiore del profilo.
Poi scompaiono le case ed appaiono gli inevitabili torpedoni turistici, forse l’esercito più minaccioso mai affrontato da una delle due meraviglie del mondo antico che è ancora lì, in piedi, che resiste. Resiste alle folle di giapponesi, a chi dentro fa foto e non potrebbe, alle cartacce unte di street food, a potenziali scalatori sempre in agguato, ai venditori petulanti, alle cacche di cavalli e dromedari, a orde di gruppi organizzati che “oddio ma quanto pesano i massi, ma come facevano?” – “dentro no, il cunicolo è basso, è umido, non si respira”. Ed è vero, è così, ma sei lì e non entri? Entri nelle budella del colosso, e fa caldo, si suda, anche alla fine di dicembre, pensa un po’.
Lei è lì, in tutto il suo antico, e immutato splendore, che ti guarda e sussurra: “seppellirò anche te”. Puoi solo restare a fissarla a bocca aperta.

la Piramide di Cheope, la più alta, sorge all’improvviso

Passi l’angolo e c’è la seconda piramide, quella di Chefren, mentre ancora pensi alle viscere della prima, e a come ti è entrata nelle viscere. A come non la scorderai, nonostante già da piccolo sapessi come era fatta, quanto era grande, da quanto stava lì. Niente da fare, l’impatto dal vivo è un’altra cosa, altra conferma del fatto che le emozioni non le puoi domare freddamente ma farle scorrere, fino a quando il brivido passa.

Chefren, ebbene sì. Ne vedi la cima ancora bianca, come se un po’ di neve avesse fatto la sua magia e l’avesse riportata indietro, a come era millenni fa, al suo antico splendore. Poi ti sposti appena un po’, e le vedi in linea, esposte ai punti cardinali, ai venti, al sole, e sono di nuovo brividi. Non senti più la folla ululante e il casino tutto intorno, precipiti in pensieri positivi mentre la sabbia di un deserto sporco e pietroso ti entra nelle scarpe inadatte.
La terza piramide, Micerino, è quasi un’abitudine ormai: ma il colpo d’occhio dal piazzale su tutte e tre è memorabile. Ed è una vista che è valsa la camminata in mezzo alla pietraia.
Tornando indietro visitiamo la barca del sole, trovata seppellita attorno al piramidone, che veniva utilizzata per le cerimonie funebri del faraone. Un gigante di legno, niente chiodi, solo cedro del libano, incastri e corde. E il pensiero chissà perché vola rapido, migliaia di chilometri più a nord, tanti anni fa e tanti gradi in meno, dritto dritto al museo delle navi vichinghe di Oslo.

Poi ti sposti appena un po’, e le vedi in linea, esposte ai punti cardinali, ai venti, al sole, e sono di nuovo brividi

La Sfinge, tartassata dagli elementi e dalle urla dei venditori di paccottiglie egiziane, è la ciliegina sulla torta. Sembra, dietro a quell’aria di mistero, un gattone pacifico pronto però a balzare sul nemico tombarolo e sul turista arrogante da un momento all’altro.

La Sfinge, tartassata dagli elementi e dalle urla dei venditori di paccottiglie egiziane

Bello, bello, bello sopra ogni aspettativa. Un quadro colossale, millenario. E molto emozionante, come aprire un libro di storia, anzi come camminarci dentro: altro non so dire.

I siti minori

Per arrivare a Suqqara, il secondo sito, scendiamo verso sud costeggiando un canale, vera e propria discarica di rifiuti urbani, dove la gente getta l’amo e cala le reti e dove, sulle rive, crescono ortaggi. Nausea, sensazione di vomito. Non come il fiume nero di liquami di Fez, ma poco ci manca. Le oasi lungo il Nilo sono chilometri di palme romantiche tagliate da una ferita purulenta.
Dopo aver visto Giza e i suoi quattro mostri è difficile entusiasmarsi di fronte a qualcos’altro dello stesso tipo che non potrà mai raggiungerne lo splendore. Solo sapere che la piramide di Suqqara è il primo edificio in pietra della storia dell’umanità solletica il nostro interesse. E’ rozza, approssimata, e la tomba che reca il suo nome fa abbastanza schifo. Il sito è immenso, la mia ignoranza archeologica anche, non riesco a godermelo a pieno, forse perché vengo da un’altra città strapiena di rovine, forse perché ho dormito poco o più probabilmente perché ho fatto l’errore di vedere prima la piana monumentale di Giza. Una tomba però mi piace molto, piena di bassorilievi policromi.

In centro

Ritorno alla megalopoli, al suo rumore, al folle modo di guidare e di attraversare la strada. Passeggiata lunga in centro alla ricerca di angoli particolari di una città vivissima

Ritorno alla megalopoli, al suo rumore, al folle modo di guidare e di attraversare la strada. Passeggiata lunga in centro alla ricerca di angoli particolari di una città vivissima, sporchissima, rumorosissima, piena di negozi di abbigliamento e di scarpe. Ma trovare un ristorante che ispiri e che sia a prova della maledizione di Tutankhamen ci sembra un problema… Lo slalom tra infiniti veli e rari burkha (Cleopatra, dove sei ??), tv che trasmettono all’infinito i gol inglesi di Salah e venditori di spezie miracolose per l’eccitazione sessuale ci porta a divorare una zuppetta di lenticchie, della carne di vitello e di montone alla griglia, ortaggi pieni di riso. Poteva andare moooolto peggio.
Le strade sono piene di voci e colori, sembrano respirare, ansimare, straripare a seconda dell’ora, dei quartieri, dei mestieri. Torniamo all’Hotel Windsor e i piedi stanchissimi non ci impediscono un rush da centometristi per evitare l’ascensorista e l’inevitabile mancia! Ci imbattiamo così in un lounge dalle luci soffuse e dall’arredamento elvetico (!), in una birra abbastanza schifosa e in foto in cui sfoderiamo i sorrisi magici ed ebeti di chi è stanco ma contento e rilassato. Alle 7.30 siamo in stanza in pigiama. Dalla strada un boato di voci e di clacson, le invocazioni dei muezzin che riempiono il cielo sopra i minareti in confronto sembrano il lamento di un neonato. Domani al bazar: le ossa meritano riposo in vista della battaglia estenuante.

Dalla strada un boato di voci e di clacson, le invocazioni dei muezzin che riempiono il cielo

I tassisti del Cairo

Dormita colossale, piombo nel mondo dei sogni con la copertina pelosa, consapevole di russare. Undici ore per spazzar via la stanchezza e ributtarsi nel caos cittadino con il pieno di energie. Giornata di taxi super-economici, bianchi e neri, col vello di pecora sul cruscotto. Vecchie Lada o 124 escono fuori dall’Europa oltrecortina, dalle discariche del primo mondo o dagli album di ricordi ingialliti. Puzza di cattiva benzina che ti penetra i pori, smog fitto, sabbia nell’aria: i capelli stanno in piedi da soli.

Con il primo taxi arriviamo al bazar, però solo poche botteghe sono aperte. Promette bene, con strade tortuose e buie, quelle dove puoi aspettarti trattative infinite e belle sorprese: torneremo domani.

Con il secondo taxi arriviamo al Museo Egizio, una tappa fondamentale del nostro piccolo viaggio culturale, ma farsi capire dal conducente è un’impresa. L’inglese è sconosciuto. Gesti occorrono, gesti e fantasia.

(continua…)

Offerte e prezzi

Non ci sono Commenti

    Lascia un commento

    Iscriviti al Grillo Viaggiante e Caesar Tour Clicca qui

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi