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Cultura da Viaggio

C’era una volta il Messico – seconda parte

Il luogo della libertà

“Puerto Escondido” (1992) di Salvatores dove Abatantuono

Del Messico cinematografico abbiamo visto finora forse il volto più intenso, a tratti crudele, quello delle storie del Confine e del Mostro, la sua megalopoli, con qualche deviazione nei temi del fumetto pulp (la trilogia di Rodriguez con Banderas) o dell’elegia del passato (la “Roma”di Cuaròn).

Il nostro viaggio per immagini vuole proseguire adesso coi film più leggeri e di fuga, con le commedie, nelle storie che raccontano di avventure, amori, passioni, vagabondaggi oppure di folklore, feste e tradizioni di cui questo magnifico paese è sicuramente pieno.

Il primo pensiero va a “Puerto Escondido” (1992) di Salvatores dove Abatantuono, Bisio, Bentivoglio e Valeria Golino sono in splendida forma e dove i paesaggi dell’Oceano Pacifico, delle spiagge e delle selve della regione di Oaxaca dominano incontrastate la scena, fino al viaggio cult nelle zone aride del peyote dove sorge, parecchio più a nord, la città mineraria fantasma di Real de Catorce.

le selve della regione di Oaxaca dominano incontrastate la scena
i paesaggi dell’Oceano Pacifico, delle spiagge

Puerto Escondido è il piccolo borgo marinaro, di surfisti e di artisti alternativi, che ho avuto la fortuna di conoscere dal vivo, ed è stato davvero capace di donarmi una bella dose di libertà e leggerezza.

Animato da un turismo discreto, da cantine musicali dove bevi e balli volentieri e reso sognante dalle palme e dal mare gigante lì davanti. Un posto per fuggire e allo stesso tempo per ritrovarsi. Vita semplice, fatta di amache e tequilas, di sole e di vento, di pesca e di salsa. Mi è piaciuto tanto, come il film, sempre simpatico, dai dialoghi inconciliabili tra l’uomo di città e quello d’avventura, alle piccole filosofie e verità che mostra, contro la modernità, il consumismo, la fretta, la carriera. Forse una vita come quella celebrata nel film è una fuga dalle responsabilità ma anche da una società troppo spesso soffocante o che ti costringe a vivere a ritmi eccessivi e secondo valori perlomeno discutibili.

Y tu Mama tambièn” del 2001 è un film se vogliamo più giovanilista, più delicato, un bozzetto di Cuaròn, lo stesso regista di “Roma”, impegnato stavolta a raccontare la pazza fuga on the road di tre giovani, coinvolti in un triangolo amoroso che diventa un pretesto per la vita alternativa, ecologica, di protesta, la vita presa come viene e da sfruttare finché dura, in barba alle regole, alle convenzioni, ai rapporti tradizionali e anche alla malattia.

I destini dei ragazzi, due amici messicani appartenenti al ceto borghese della capitale, coinvolti nella scoperta del sesso come della loro personalità, e della splendida ragazza spagnola che accende le loro fantasie, si risolvono nella fantastica e selvaggia spiaggia della “Boca del Cielo”, anche in questo caso sul Pacifico di Oaxaca, un nome che sembra un presagio: di orizzonti e possibilità infinite, come di passaggio in un altro mondo.

la fantastica e selvaggia spiaggia della “Boca del Cielo”, anche in questo caso sul Pacifico di Oaxaca

Bravi e belli gli attori, la sensuale Maribel Verdù e quel tipo sveglio presente in tanti film latinoamericani, il Gael Garcia Bernal di “Amores Perros”, lo stesso che impersona il giovane Che Guevara nei “Diari della motocicletta”.

Ho amato anche questo di film perché triangolo a parte (😊) mi ha fatto ricordare tanto girovagare nel Messico minore, indio e coloniale e soprattutto la voglia di prendersi tutta la felicità che la gioventù è capace di regalare. Con qualche malinconia finale che rappresenta un saluto alla vita irripetibile e scatenata dell’adolescenza, fatta di slanci, istinti, cadute, rincorse.

tanto girovagare nel Messico minore, indio e coloniale

Amori, legami e tradizioni

Come l’acqua per il cioccolato” del 1994 del messicano Arau indaga in modo felice e mai troppo languido il rapporto tra sesso e cibo. Il regista è unospecialista del genere sentimental-drammatico con la cucina o il vino al centro della vicenda, si ripeterà infatti l’anno dopo con “Il profumo del mosto selvatico” girato nelle valli della California.Interpretato da Lumi Cavazos e dal nostro Marco Leonardi il film è tratto dal romanzo della messicana Laura Esquivel “Dolce come il cioccolato” e racconta una storia d’amore difficile ai tempi di Pancho Villa.

Il titolo allude alla frase idiomatica spagnola como agua para chocolate, che si riferisce a una persona in preda alla passione, bollente come l’acqua per fare la cioccolata calda in tazza.

La passione è quella che unisce per tutta la vita Tita e Pedro.

Tita è la figlia più piccola di una famiglia molto tradizionale che vive in una fattoria di campagna e deve rimanere ad accudire la madre malata e per questo non può sposarsi, il suo innamorato per starle vicina si sposa pertanto la sorella maggiore e i due comunicano sensualmente grazie soprattutto ai dolci e alle gustose ricette culinarie dispensate anche dalla nonna Nacha, che ricorda per la sua dolcezza e saggezza una delle figure femminili mitiche dei romanzi di Isabel Allende.

Bella e calda la fotografia di tutte le scene girate tra patio, tavola e cucina. Un po’ da realismo magico il finale con le due anime belle che non ce la fanno a gioire del troppo amore…

"como agua para chocolate", che si riferisce a una persona in preda alla passione

Tanta passione anche in “Passione ribelle” del 2000, girato tra Texas e Messico del Nord, tratto dal romanzo “Cavalli selvaggi” di Mc Carthy, con Matt Damon che si innamora della figlia di un allevatore di cavalli di oltre confine, Penelope Cruz. Lui fugge dal suo West rovinato dalle nuove città e dai pozzi di petrolio il giorno che sua madre vende il ranch di famiglia e trova lavoro come cow boy in un ranch messicano. Lì trova anche l’amore ma tra scene di natura, cavalli a galoppo e tramonti infuocati la storia non può funzionare perché ci si mette di mezzo il padre della ragazza, il ricco e temuto padrone della hacienda. Il ritmo assomiglia a quello di una ballata triste ma si ammira tanto, tanto Messico.

Il versante favolistico del paese lo esploriamo invece con due film, un piccolo lavoro prodotto da Salvatores e una grande produzione della Disney-Pixar.

In “Viva San Isidro” (1995) si ricompone – guarda un po’ – la coppia Cavazos/Leonardi e il film è più che altro una favoletta di provincia che ritrae la vita di una comunità di un paesino di montagna messa a soqquadro dalla caduta di un trabiccolo volante trasportante cocaina. Lo spunto surreale è che la polvere bianca viene usata per rifare le strisce del campo di calcio e quindi… equivoci a go go fino alla vittoria finale dei buoni contro i cattivi.

“Viva San Isidro” (1995) e “Coco” nel 2017

Tocca invece al bellissimo e coloratissimo “Coco” nel 2017 rispolverare il mito del Mariachi e raccontare con ispirazione e leggerezza la celebrazione più sentita del Messico, el dìa de los muertos, quando un turista, un viaggiatore o comunque uno straniero rischia davvero di non capire niente se capita in qualche cimitero del paese ai primi di novembre perché i defunti vengono festeggiati con cibo e musica, danze e luci, come ad accompagnarli con gioia nell’altra vita o forse per non sentire un dolore irreparabile dalla loro assenza.

Personalmente lo trovo un modo molto intimo e poetico di affrontare la morte e il ricordo, non tutte le popolazioni hanno la cultura o la forza o la poesia per farlo.

Il film oltre a raccontare bene tutto questo lo fa in maniera divertente e con forte impatto emotivo: dopo la sua visione prenderesti subito un aereo e una corriera per finire in uno di quegli angoli di Messico dove si sta semplicemente bene in una piazza coi portici e il campanile, in una cantina con le bottiglie giuste e con una chitarra in mano. Magari a cantare una canzone sulla tomba di un parente, se ci fosse pure quella.

Avventura nella polvere

Un viaggio cinematografico più o meno completo in Messico non poteva che finire in un modo avventuroso, tornando sui luoghi polverosi e tipici del paese coloniale oppure nel Nord del Confine.

Quel gran pezzo di paese che prima di trasformarsi in frontiera crudele dei sogni infranti o delle tante atrocità commesse, nel passato della nazione ha significato la terra di elezione dei due principali eroi della Rivoluzione del 1910, Pancho Villa, nativo di Chihuahua, città situata alla fine della scenografica Barranca del Cobre, ed Emiliano Zapata, nativo dello stato di Morelos, tra Taxco, famosa per le chiese e l’argento, e Puebla, di cui sono ugualmente famose le chiese, il pollo al cioccolato e i grandi e scenografici vulcani. I due rivoluzionari erano molto diversi per carattere, il primo vulcanico e turbolento, il secondo più taciturno e timido. Trionfarono nel nord e nel sud del paese, contro il dittatore Porfirio Diaz e le sue truppe, contro i latifondisti, i preti bigotti, i politici corrotti, creando una riforma agraria finalmente più benevola per i contadini e le basi costituenti della Repubblica messicana che durarono oltre un secolo. Hanno avuto vari epigoni nei tempi moderni, in primis il Subcomandante Marcos, impegnato a diffondere i poveri contadini nelle selve del Chiapas. Nascosto dal mito del suo passamontagna.

Mi piace trovare un ultimo collegamento con due ultimi film che raccontano il Messico: l’indole timida ma implacabile di Zapata si può rivedere con un po’ di fantasia in alcune scene della trilogia del dollaro di Sergio Leone, mentre l’indole più burlona e dinamica di Villa si può accostare in qualche modo alla leggenda di Zorro.

Potremmo parlare ancora di film d’avventura messicani coi pericoli che vengono dal mare come il terribile squalo di “Paradise Beach” o di film dove il mare, stavolta quello dorato di Acapulco in “Sundown”, diventa luogo di ricerca e inquietudine, ma sinceramente ci basta il percorso fatto e ci basta finire questo viaggio riguardando l’espressione sempre uguale “con cappello o senza cappello” di Clint Eastwood avvolto nel suo poncho in “Per un pugno di dollari” e del ghigno beffardo di Banderas dietro “La maschera di Zorro”.

Que viva Mexico!

con un po’ di fantasia in alcune scene della trilogia del dollaro di Sergio Leone, mentre l’indole più burlona e dinamica di Villa si può accostare in qualche modo alla leggenda di Zorro.

Ecco alcune scene e trailer dedicati a questo lungo percorso nel cinema messicano:

brani divertenti della filosofia di “Puerto Escondido”

da “Y tu Mama tambièn”

per i due film di passione

la poesia animata di “Coco”

omaggio a Morricone “Per un pugno di dollari”

e finiamo con Zorro

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