Lei e Loro
C’erano una volta i meravigliosi, possenti, umanissimi gorilla di montagna.
Così selvaggi e così teneri, così feroci se attaccati, così riservati se fermi e nascosti nel loro mondo verde. Così famiglia, così gruppo.
E c’era una volta una donna intrepida che decise di avvicinarli, di osservarli, di studiarli.
Di proteggerli e di amarli.

C’era una volta un paese nel centro dell’Africa, da sempre dilaniato da terribili guerre civili e da sempre l’habitat per una razza fenomenale di mammiferi.
C’era una volta un mondo perduto, nascosto dalla vegetazione e dalla nebbia. Che ad ogni passo significava scoperta, umidità, sudore.
La storia di Dian Fossey e dei gorilla si inserisce in questo scenario, nelle foschie del mattino, nei versi dei primati al tramonto, nel groviglio inestricabile delle foreste del Ruanda e del Congo.
Vicino ai monti Virunga. Sotto i grandiosi alberi, le cime dei vulcani spenti, le alte cascate scroscianti.
Lontano dalla civiltà, dalla cupidigia, dal bracconaggio, dall’orrore dell’uomo che uccide il suo simile.

Il film dei gorilla
Molto bello, intenso, poetico, ovviamente diverso dalle versioni kolossal di “King Kong”, dagli scenari avveniristici di “Il pianeta delle Scimmie”. Diverso anche dalla versione umanizzata di “Il Libro della Giungla”. “Gorilla nella nebbia” è un racconto completamente nuovo e incredibile.
Di una donna, di una scienziata, di una zoologa tenace e sensibile, che lascia tutto, la California, le modernità, le comodità.
E che affascinata dagli studi del paleontologo Leakey e da un primo viaggio in Africa a metà degli anni’60 viene qui, in questo paradiso/inferno delle foreste ruandesi, a sfiorare i giganti neri, a disegnare i loro musi e i loro nasi, le schiene argentate dei grandi maschi, a riconoscerli uno per uno, a mimetizzarsi sotto le foglie e sotto la pioggia per vedere da vicino come si parlano, come si organizzano, come si toccano, come si amano, come si cibano di foglie e germogli, larve e formiche.
A salvaguardarli dalla crudeltà dei cacciatori di frodo.
A trovare una ragione per vivere, una causa per cui lottare e un destino per cui morire.

(locandina del film)
Dian Fossey impersonata splendidamente da Sigourney Weaver sceglie semplicemente di essere da un’altra parte: lascia la golden coast di San Francisco per l’umido abisso africano del Parco Nazionale dei Vulcani, che si trova in un paese remoto e sperduto, spesso violentato, il Ruanda.
Il film esce nel 1988 col titolo della sua autobiografia “Gorillas in the mist”, frutto di un contratto milionario che la Fossey aveva firmato ancora in vita con la Warner Bros.
Quale storia poteva essere più suggestiva di questa?
Di “Colei che viveva senza un uomo nella foresta” (la chiamavano così gli indigeni delle tribù locali), più amica dei gorilla che degli umani?
Pronta a sacrificare tutto quello che aveva per protezione della sua unica vera famiglia visto che forse non ne aveva mai avuta una (madre risposata, padre suicida, odio del patrigno)?
Cosa poteva attrarre di più l’attenzione dii una studiosa che ai lodge e alle università occidentali preferiva il fango, la macchia e gli accampamenti? L’atteggiamento remissivo e rispettoso verso i branchi di animali piuttosto che quello sensazionalistico delle interviste e delle tv?
Ecco il trailer:
I nemici di Dian
Sicurante i bracconieri, i cacciatori spietati ma anche la povera tribù dei Batwa, nelle cui trappole usate per catturare altri animali di cui cibarsi finivano – e purtroppo morivano – anche i suoi gorilla. Lei reagì malissimo, arrivò a sabotare le trappole e addirittura a prendere in ostaggio dei ragazzini della tribù, scatenando una spirale di ostilità che condusse alla sua tragica morte.

(foto prese da wikipedia)
Non si sa per mano di chi, se del nemico più spietato, di un guerriero uscito dal profondo verde africano, di un cacciatore illegale, di chi non voleva lo sviluppo turistico e pacifico e naturalista del Ruanda, di qualche sporco politico, di un assistente traditore, di una guardia forestale corrotta o di uno stregone delle foreste che voleva continuare a cacciare libero gli altri animali forse, ma il cranio della Fossey fu trovato nella sua capanna, sfondato da una panga, la stessa arma simile al machete che i bracconieri usavano per uccidere i gorilla.
Era la sera del 26 dicembre 1985, aveva soltanto 53 anni e lei era morte per amore. Solo per amore.
Nella terra, accanto ai suoi fratelli
Dian Fossey fu sepolta nella terra, sotto i grandi alberi, accanto al suo più grande amico, il gorilla maschio Digit, quello che, mutilandolo e massacrandolo, i bracconieri le avevano frantumato il cuore.
Giace ancora oggi lì, in quel centro di ricerca di Karisoke, invaso dai profughi nel terribile anno del genocidio ruandese, il 1994, si dice vicino alle carcasse di altri 700 gorilla sterminati.
Se c’è uno spirito che aleggia sui Vulcani Virunga, fra le impenetrabili foreste pluviali, è sicuramente quello della coraggiosa zoologa e dei suoi fratelli. Quei gorilla di montagna che abbiamo conosciuto e protetto meglio proprio grazie a Dian Fossey che ce li ha presentati come realmente sono, animali eccezionalmente intelligenti, empatici e pacifici.

Per 20 lunghi anni, con passione e con coraggio, la Fossey ha vissuto per loro.
Loro che oggi dopo aver rischiato davvero l’estinzione stanno provando a rinascere, a diventare di nuovo gruppo, comunità.
Tra i Monti Virunga è rimasta la traccia indelebile di una coscienza animalista, ecologica, vi si pratica un turismo sostenibile, e dietro a formidabili ranger che tengono a bada ancora qualche bracconiere le spedizioni si avvicinano di nuovo silenziose e scorgono i grandi e carismatici gorilla nella nebbia.
Album ruandese


Madri e figli, cammini nelle foreste verdi e nebbiose, villaggi nella polvere.


Dignità e povertà, speranza e abbandono. Il Ruanda ferito a morte, il paese che riparte.


La vita normale e la vita militare, la pace e la guerra.
Fino a guardare là, verso l’orizzonte verde, con l’arcobaleno che esce dalle nubi, dalla nebbia, e rende gentile il mondo selvaggio degli ultimi gorilla del Ruanda.
E’ Mal d’Africa, anche questo.

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