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Diario di Spagna / I grandi reportages

Diario di Spagna: la Barcellona di Gaudì

(Gaudì e Mirò in ritratti presi da wikipedia)

Sono ancora qui

C’è una scena meravigliosa di un film meraviglioso, “L’attimo fuggente”, dove Robin Williams indica ai suoi studenti le foto ingiallite o in bianco e nero sistemate nella bacheca della hall del college. Invita i ragazzi ad avvicinarsi a quelle immagini sfocate e, modulando la voce, racconta e anima le foto dei ragazzi di una volta, che in quelle aule e in quei giardini avevano studiato, giocato, vissuto, e così facendo li rende presenti, vivi. Ecco penso che ogni catalano possa sentirsi così nell’osservare un vecchio ritratto di Antoni Gaudì o di Joan Mirò: come rapito, in uno stato che può variare dal sogno all’estasi. Grato al segno, alla fantasia e al colore lasciato per sempre in eredità alla sua Barcellona dai suoi artisti prediletti.

Il genio di Gaudì

Ma quali mostri e fate aveva in testa Gaudì mentre creava?

Un album artistico unico, un curriculum vitae impressionante: Gaudì a Barcellona ha lasciato il Parc Guell, la Casa Batllò, la Casa Milà detta la Pedrera, il Palau Guell e la maestosa e infinita costruzione della Sagrada Familia. Ma quali mostri e fate aveva in testa Gaudì mentre creava? Quale dimensione onirica lo afferrava? Qual era il suo rapporto con Dio, con la fantasia, col colore?
Mi verrebbe da dire, restando incantato davanti alle sue opere, che di sicuro era un tipo che aveva letto molte favole. Almeno secondo me! Perché Gaudì era capace di trasferire nella sua arte un tocco magico, delicato, sognante, a ogni pennellata, con ogni scultura, su ogni guglia.

Qual era il suo rapporto con Dio, con la fantasia, col colore?

Le casette situate all’entrata del Parc Guell sembrano fatte di marzapane, col tetto di candidi e zucchero filato. La facciata di Casa Batllò sembra il ritratto etereo di un fondale marino. Le sculture sul tetto de La Pedrera ricordano l’immagine di alcuni elfi o civette o addirittura di alieni di qualche spazio lontano. Il tempio incompiuto della Sagrada Familia è un chiaro anelito verso il cielo, verso un mondo lontano e misterioso o se si vuole verso un’entità superiore. Le ceramiche colorate lasciate ovunque, soprattutto sulle panchine e i parapetti del suo giardino delle meraviglie, rappresentano un mosaico luccicante di vita e ricordano il gioco o il capriccio di un bambino.
Il primo percorso da compiere dentro Barcellona è quello nella travolgente fantasia di Gaudì, nella sua arte eclettica, rivoluzionaria e riconoscibile, resa possibile e concreta dai compiti assegnategli dal ricco mecenate Eusebi Guell che si avvicinò a lui dopo averne ammirato la vetrina disegnata per un elegante negozio di guanti. Andiamo dunque alla scoperta di queste immancabili tappe che permettono a Barcellona di avere un posto di riguardo tra le più belle città europee.

rappresentano un mosaico luccicante di vita

Il giardino dei sogni

Il Parc Guell è ampio venti ettari e costruito su un terreno in pendenza, ai piedi della collina del Tibidabo. Il suo primo valore va colto nell’aspetto progettuale e botanico perché uno spazio disadorno diventò ben presto lussureggiante, grazie a Gaudì che mise in opera una sapiente canalizzazione dell’acqua: il mostruoso drago ricoperto di pezzetti di ceramica colorata nasconde per esempio dei rubinetti!! E l’acqua arriva ad annaffiare ogni aiuola, ogni pianta, ogni siepe.
Il parco è l’evasione in un mondo a tratti fiabesco e surreale e davanti alle viste, ai colori, alle forme artistiche e architettoniche ti diverti a immaginare il motivo ispiratore, il significato nascosto o onirico delle cose. Nel suo giardino prediletto Gaudì mischiò in modo fantasioso e disordinato molti stili (le colonne doriche, le guglie gotiche, le scenografiche scalinate, i colori brillanti delle maioliche) ma lasciò all’umanità e alla storia dell’arte soprattutto un esempio, ovvero come rivitalizzare gli scarti industriali delle fabbriche di ceramiche, usando in modo magistrale tante piccole tessere colorate per dare vita a animali, fiori, motivi geometrici e alla panchina panoramica più famosa del mondo che avvolge barcellonesi e turisti con la sua onda sinuosa.
Si lascia il parco immaginando di aver vissuto un’esperienza di architettura floreale. Barcellona ce l’ha avuta in dono, come una città-giardino, esattamente nel 1900.

Si lascia il parco immaginando di aver vissuto un’esperienza di architettura floreale
rivitalizzare gli scarti industriali delle fabbriche di ceramiche

Le case favolose

La Casa Mitlà con la sua facciata di sporgenze a tratti concave e a tratti convesse che sembra riprodurre gli spasmi di uno stomaco, o l’azione del vento sulla sabbia, coi suoi comignoli e prese d’aria che fanno pensare a creature oniriche e misteriose, col terrazzo che sembra un’isola di fantasia sbucata su una surreale cava di pietra morbida e viva, anticipa tutto un filone dell’architettura espressionista.
Proprio per l’uso eccezionale della pietra fu chiamata La Pedrera, e se fu presa in giro ai tempi della costruzione per le sue forme bizzarre ebbe il meritato riscatto quanto diventò fenomeno mediatico nel 1977 con George Lucas che si ispirò ai comignoli di Gaudì per disegnare gli elmetti dei soldati di Star Wars. E quando poco dopo, nel 1984, diventò Patrimonio dell’Umanità per l’Unesco.
Questo capolavoro dell’arte moderna si trova al numero 92 del Passeig de Gracia, l’elegante via che collega Plaza Catalunya, il cuore finanziario di Barcellona e sede del Museo di Arte Contemporanea, a l’Avinguda Diagonal, la strada più mondana della città, piena di alberghi, ristoranti e negozi di lusso.

Casa Batllò, al civico 43 del Passeig, direttamente uscita da una fiaba

L’altra meraviglia di Gaudì è Casa Batllò, al civico 43 del Passeig, direttamente uscita da una fiaba, dal vestito di una fata, da un fondale subacqueo, tanto sono delicati e ipnotici i suoi colori, tanto sono strani i suoi balconi a forma di maschera e sostenuti da lunghe ossa del corpo umano.
Fu commissionata all’artista da un facoltoso industriale tessile e la sfida in questo caso era utilizzare al meglio un angusto spazio verticale e trasformarlo in qualcosa dove secondo l’intento espresso da Gaudì tra la facciata, il tetto e il patio centrale “il sole penetrerà per i quattro lati e sarà come un’immagine del paradiso”. Fermatevi a guardarla col sole che ci sbatte sopra, la facciata della casa sembra assumere forme liquide e con esse tutti i colori dell’iride. Cosa abbiamo davanti: alghe marine, coriandoli, o soltanto una visione?

Quando si sale sul tetto a scaglie che alcuni critici hanno paragonato al dorso di un rettile, dalla terrazza di Casa Batllò come da quella de La Pedrera si ha la vista sulla Sagrada Familia, il capolavoro mai finito del genio di Tarragona.

Accanto a Casa Batllò la neogotica Casa Ametller col suo tipico frontone a gradini, creata da Josep Puig i Cadafalch. Il quartiere dell’Eixample, zona nata grazie allo sviluppo della classe borghese prosperata a metà ‘800 soprattutto con le industrie tessili, è ricco anche di molte altre case in stile liberty ma è chiaro che quelle di Gaudì rubano lo sguardo e il tempo.

In ogni caso l’adesione totale ed entusiasta di Barcellona all’arte modernista ne segnò ancora di più la larghezza di vedute e la sua calorosa disponibilità verso i tempi e i venti nuovi. Nel resto della Spagna allora non accadeva esattamente questo e probabilmente il destino indipendente della città catalana nasce e cresce proprio in quegli anni di grande fermento culturale e commerciale.

Accanto a Casa Batllò la neogotica Casa Ametller
la terrazza di Casa Batllò

Il tempio mai finito

E infine il tempio della vita e della dannazione, El Temple Expiatori, la sua follia visionaria e incompiuta, quello sforzo immane di comunicare qualcosa di più alto, di più grande, di più mistico. La Sagrada Familia tenne impegnato Gaudì per 16 lunghi anni e non bastarono a finirla, forse perché il suo autore l’aveva pensata proprio come una forma aperta, un sogno e un compito morale in continuo divenire. Sappiamo che le dodici torri simboleggiano i dodici apostoli, che le tre facciate rappresentano i misteri della fede e che quelle guglie svettanti cercano forse di comunicare direttamente con Dio e che la guglia centrale è dedicata a Cristo stesso. Ma è quello che non sappiamo ad affascinare di più, a farci leggere l’opera con la fantasia che vogliamo, col significato che individualmente vogliamo darle. E’ il carattere spregiudicato e un po’ matto di Gaudì a farci innamorare di lui, a farci immaginare draghi ovunque, a farci credere che tutto è possibile, che tutto è perennemente trasformabile: un tetto come una chiesa, un parco come una casa, un tempio come un museo, i suoi pinnacoli in stile liberty come le sue creazioni che assomigliano al paesaggio di un bosco incantato. Del resto le gru non starebbero sopra la Sagrada Familia da più di 130 anni!!

La Sagrada Familia tenne impegnato Gaudì per 16 lunghi anni e non bastarono

Gaudì incredibilmente lavorava senza progetti, solo con schizzi, con abbozzi di idee. La materia cresceva palpitante nei suoi occhi e nel suo cuore, in modo estroso, in modo casuale anche. Secondo il critico d’arte Stefano Zuffi, autore di un bellissimo articolo su Gaudì nella monografia “Meridiani Barcellona”, il periodo trascorso nella facoltà di scienze naturali a Barcellona, prima di iscriversi ad architettura, giocò un ruolo decisivo per la sua arte: “I cinque anni passati tra animali impagliati, lezioni di botanica, scheletri comparati rimarranno un’esperienza fondamentale per Gaudì, che darà ai suoi edifici una vita quasi biologica, facendone gli straordinari esemplari di una favolosa specie animale”.

darà ai suoi edifici una vita quasi biologica, facendone gli straordinari esemplari

Fa sensazione pensare che un maestro del genere finì la sua vita sotto le rotaie di un tram. Lo hanno sepolto in una cripta della Sagrada Familia, sotto quelle guglie che da sempre suscitano pareri contrastanti (George Orwell per esempio nel libro “Omaggio alla Catalogna” le definisce “orribili, assomiglianti a quattro bottiglie di vino”). Ma tale destino e tale la scelta è stata davvero simbolica come ben commenta Stefano Zuffi: “Intorno a lui pulsano le grida, i rumori, i tonfi della costruzione: l’architetto è rimasto nel suo cantiere”.

Chissà di quanti sogni e colori e creazioni il buon Gaudì avrebbe ancora popolato la bella Barcellona. Intanto sotto il suo tempio solenne e aristocratico, sotto quello che sembra un enorme castello di sabbia, pronto a cadere a causa di un soffio, i bambini giocano, le bancarelle vendono, le gru continuano i lavori e la vita continua a scorrere.

Chissà di quanti sogni e colori e creazioni il buon Gaudì avrebbe ancora popolato la bella Barcellona

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