L’incanto di Al-Andalus
Il bello dell’Andalusia è esattamente questo, che a un incanto ne segue subito un altro, che la luce si posa magica sulle città dei califfi e sui paesini bianchi della campagna arida, che l’aria è dolce, come un’eterna primavera, e tutti i sensi vengono messi fortemente alla prova: la vista per l’esplosione dell’arte, il gusto e l’olfatto per i sapori e gli odori mediterranei misti a quelli dei suk orientali, l’udito per le melodie gitane che vibrano nelle notti e nei vicoli.
Al-Andalus, la Spagna islamica, è il racconto di un Oriente vicino e meraviglioso, per molti versi simile alla nostra Sicilia, se possibile ugualmente seducente e solare. Lasciata la reggia dei califfi, l’Alhambra di Granada, eccoci nel principale centro artistico e culturale fondato dai sovrani Mori, la città di Cordova.

Il destino di Cordova
Te la vedi là davanti, oltre il fiume Guadalquivir, il ponte romano a sedici arcate e la sagoma dell’Alcazar, la residenza fortificata dei re cristiani e provi a immaginartela tutta insieme, quando era la splendida capitale del califfato. La vicenda di Cordova ha pochi eguali nella storia dell’Islam e dell’Occidente perché proprio qui il miscuglio delle due civiltà ha impregnato l’aria di magia e di molteplici echi culturali. Non si ricordano tante altre epoche e tanti altri luoghi nella storia dell’umanità dove la raffinatezza dell’arte, della poesia, della letteratura e l’importanza della medicina, della filosofia, della teologia, della matematica, della scienza e della legge abbiano raggiunto dei livelli così eccelsi. Forse solo una volta, nella Firenze del Rinascimento italiano.
Illuminismo arabo

Il Lorenzo de’ Medici di Cordova, il sovrano illuminato, l’emiro-chiave della dinastia degli Ommiadi, fu Abd el Rahman, che in 30 anni trasformò Cordova nella rivale occidentale di Damasco e Baghdad, destinata a competere e spesso a vincere con le due grandi capitali orientali in termini di potenza politica e di splendore culturale ed artistico. Grazie alla sua tolleranza etnica e religiosa, alla sua fiducia nella scienza e nel progresso, al rispetto di ogni tipo di lavoro, da quello artigiano a quello contadino, grazie al rispetto soprattutto dell’uomo, arabo, berbero, ebreo o cristiano che fosse, il Califfo realizzò una specie di miracolo, permettendo a Cordova di uscire, prima in Europa, dal buio del Medioevo. In pratica il califfo non si comportava come un guerriero o un despota, ma come un feudatario capace di accogliere tutte le genti e di chiamare intorno a sé i migliori eruditi.
Correva solo l’anno 785, si gettava la prima pietra della magnifica Mezquita Mayor, gli artigiani di Cordoba producevano parimenti spade e gioielli, gli astronomi spiavano il cielo e la posizione del sole e delle stelle con gli astrolabi, nei campi arrivavano per la prima volta nel continente europeo frutti meravigliosi come l’arancia, l’albicocca, la melanzana e cereali come il riso, nelle botteghe si lavorava per la prima volta abilmente la seta, il poeta Ibn Hazal col “Collare della Colomba” divulgava i primi esempi di letteratura d’amore medievale, filosofi e scienziati come Ibn Masarra e Averroè dedicavano la loro vita a una nuova forma di dottrina che univa fede e ragione, oriente e occidente. Come scrive Massimo Jevolella nella monografia di “Meridiani – Andalusia” “tutti hanno il diritto di vivere, di lavorare e di pensare liberamente nell’Andalusia di Ab del Rahman…” .
Il palmeto di pietra

Il simbolo più alto del dominio dell’emiro illuminato e il suo ringraziamento ad Allah fu ovviamente la sua magnifica moschea, nata sulle rovine di quello che era stato il tempio romano dedicato a Giano, poi una chiesa visigota, poi appunto il principale luogo di arte e fede dei califfi e in futuro la cattedrale cattolica innalzata o meglio costruita dentro la moschea da Carlo V. Entrare nella Mezquita Mayor di Cordova prepara l’anima e il gusto estetico a un cammino favoloso dentro più strati di storia, di cultura, di stili, di ricami orientali uniti a splendori barocchi. L’effetto di una passeggiata tra le sue 856 colonne è secondo Jevolella quello di ritrovarsi in un palmeto di pietra, in una magica oasi architettonica dove le colonne sono i tronchi delle palme e gli archi delle palme ricordano invece i rami, leggeri, delicati, mossi qui non dal vento ma da un sublime spirito e afflato religioso ed artistico.
La moschea con la sua luce filtrata, con le sue zone d’ombra che possono costituire anche un’oasi momentanea nella bollente estate di Cordova, coi suoi meravigliosi mosaici bizantini, con la stupefacente Mihrab, la nicchia che indica la direzione della preghiera, col suo gioco geometrico di pieni e di vuoti, di colori rossastri e più chiari, sembra un mondo a parte. Un silenzioso e incantato mondo a parte. Dove si sente il respiro dei tempi passati, delle preghiere musulmane e cattoliche che forse sono davvero un’unica preghiera.

Grazie alla sua Mezquita Mayor Cordova prende un volo che dura almeno quattro secoli. E che guarda caso finisce nel momento in cui il potere del califfato passa nelle mani di dinastie più intolleranti, come gli almoravidi e gli almohadi. Il senso è chiaro: la bellezza e la pace prosperano nella mescolanza, nel riconoscimento delle culture altre. Ogni assolutismo, anche il più ricco, lucente e sfarzoso che possa esistere, conduce solo a un inesorabile declino.
Le tracce arabe
Il primo eco del mondo arabo di Cordova è appena fuori la Mezquita: è rimasto infatti qui, pressochè intatto, il più grande hammam della città andalusa, a rappresentare nei secoli un dovere religioso, un luogo di purificazione e un momento di socialità. Bisogna starci un paio d’ore, seguire i rituali della pulizia interiore, immergersi nei vapori, nelle acque calde, nell’incanto della luce che filtra dalla cupola, concentrarsi sull’effetto della schiuma, delle mani, delle spugne, dei teli. Sudare e rinascere, respirare e rinascere.
Subito dopo il mondo orientale si può scoprire nei giardini curatissimi del Palazzo di Viana, o nelle trifore in stile mudejar dei palazzi nobiliari o nei vicoli e nelle piazzette romantiche della Juderia, l’antico quartiere ebraico illuminato ancora dai faroles, i tipici lampioni di Cordova, oppure a tavola, dove la salsa base che accompagna ogni piatto è il salmorejo, una specie di panzanella tritata al mortaio con le prelibate aggiunte di fantasie di agrumi, di mandorle, di sardine, uova sode, olive o prosciutto locale.


L’allegra confusione dei Suk si può ritrovare con un giretto nei mercati alimentari della Victoria e di Los Patios de la Marquesa ma dove l’incontro della cultura mediterranea con quella orientale si mostra più evidente è nella magica atmosfera dei patios fioriti, ispirati e nascosti angoli di città, coi muri imbiancati a calce e appesi ai muri o sporgenti dai balconcini in ferro battuto vasi profumati e colorati di fiori. I patios più belli hanno ovviamente anche fontanelle, panchine, tavoli rivestiti di ceramica, azulejos a decorare qualche muro o qualche cappella. Ogni mese di maggio Cordova elegge il suo cortile più bello, che per la città ha un valore estetico ma anche climatico visto che la freschezza di un patio andaluso fa resistere meglio a temperature che possono arrivare ai 45 gradi.
Un caldo indimenticabile
Il mio è solo un ricordo personale, ma ancora molto vivo: dopo i giorni caldissimi ed emozionanti, di grande stupore artistico e di grande fatica fisica, vissuti in un’estate andalusa tra Siviglia, Cadice e Granada, fu proprio Cordova a darmi la botta finale. Una tana bollente, dove non bastava bere, dove le scarpe da ginnastica si appiccicavano all’asfalto, dove se non ci fossero state l’ombra gentile di qualche palma e della Mezquita e la freschezza rigenerante dei patios disposti lungo la calleja de las flores (la via dei fiori, delle zagare, degli aranci, dei gelsomini) il mio corpaccio da viaggiatore mi avrebbe definitivamente abbandonato sotto qualche portico della città. Dalla maledizione di Montezuma a quella del Califfo d’altronde il passo può essere molto breve…
Mi salvò probabilmente anche l’arrivo della sera, attesa per atto di fede e di buon auspicio sotto la grande croce di legno che campeggia nella Plaza del Cristo de los Faroles. Là sui ciottoli scuri, tra il poco fresco procurato dai muri bianchi, il canto delle cicale, la luce dei lampioni, nel luogo simbolo della Reconquista cristiana di Cordova ho riconquistato le mie capacità vitali per prolungare il viaggio in questa magnifica regione.

(Per chi ne avesse voglia, scovato su you tube, questo è un bel documento visivo, fotografico e musicale dedicato alla città dei califfi).
Passerete un bel quarto d’ora.
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