Anni verdi e ruggenti quelli tra la fine del liceo e l’inizio dell’università, anni dove bastavano gli amici giusti, una macchina neanche tanto grande, un mese libero da ogni impegno, una mappa stradale studiata per bene durante l’inverno e un mucchietto di soldi e di sogni in tasca per partire alla scoperta del paese più simile al nostro che esiste in Europa: la Spagna.

Meta facile, vicina, solare, “quella dove aggiungi una s alle parole e ti capiscono benissimo”, quella familiare grazie alle tapas de jamon serrano y pulpo a la gallega, grazie al calcio spettacolo giocato da Barca e Real, grazie alle discoteche più grandi e più divertenti che esistono, ad alcuni miti generici come il flamenco e la movida, ad alcuni piatti come la paella, la tortilla e la sangria, ad alcuni echi letterari come il Don Chisciotte, ad alcuni artisti colorati come Mirò o surrealisti come Picasso e Dalì.

E capita così, che dopo un grande viaggio ne arrivi un secondo, che dopo un’estate da brividi ne arrivi un’altra e ti accorgi poi crescendo, guardando indietro, che quel paese in una fase della tua vita lo hai attraversato e conosciuto addirittura meglio della stessa Italia. Perché l’importante era andare fuori, macinare chilometri, svegliarsi sulle spiagge, conoscere amici nuovi, ragazze sensuali, una vita per certi versi più naturale e più semplice della nostra.

La Spagna me la sono girata tutta, dai Paesi Baschi alla Mancha, dalla Catalogna all’Andalusia, ne ho ammirato i tramonti dietro le sagome degli enormi tori neri sulle carreteras, ne ho percorso i profondi rìas, i fiordi del nord-ovest e le strade polverose dell’immenso altopiano centrale, le spiagge fredde dell’Oceano e quelle animate del Mediterraneo, ho ammirato le architetture fiabesche di Gaudì e quelle in design di Valencia e i castelli e le cattedrali del Siglo de Oro, sono passato sotto gli acquedotti di età romana e sotto le macchie bianche dei pueblos del sud, ho imparato a cogliere le sue sfumature, le sue differenze, il carattere delle grandi città, le origini dei suoi nazionalismi, la poesia dei suoi borghi o anche solo dei suoi bellissimi mulini.

Mi sono ubriacato a Pamplona mentre i tori correvano all’impazzata, mi sono commosso a Campo de Criptana in una notte dove accanto al mio sacco a pelo mancava solo il cavaliere errante, mi sono sentito fresco e leggero sulla Playa de la Concha a San Sebàstian, mi sono emozionato davanti allo spettacolo incredibile dell’Alhambra di Granada. Mi sono divertito nelle notti di Madrid (“A Madrid nessuno va a letto prima di aver ucciso la notte” – scriveva Ernest Hemingway) ma anche in quelle di Salamanca, Toledo e Segovia, città di pietra e di storia. Mi sono ritrovato a pensare di trasferirmi a Siviglia. Mi sono perso nella natura dei Picos d’Europa, nella folla delle Ramblas come alla foce del Guadalquìvir tra paludi, cavalli e gitani. Mi sono sempre chiesto: “Dove arriverò il prossimo viaggio?”.

L’ho sentita sempre sotto la pelle, la Spagna, in una sorta di innamoramento perenne.
La Spagna assomiglia molto all’Italia perché ha un clima bellissimo, tanti percorsi artistici e culturali, una ricca enogastronomia, delle grandi varietà geografiche e umane, una profonda cultura musicale. E perché questa comunità la avverti negli sguardi intensi o ironici della gente.
La Spagna si può cogliere negli anni drammatici della Guerra Civile in un verso malinconico di Garcìa Lorca come nel film “Terra e Libertà” di Ken Loach, nei suoi particolari più nobili e classici in una pennellata di Goya o Velazquez, nella sua ebbrezza in una qualunque Fiesta, nella sua anima più intima e religiosa lungo il suggestivo Cammino di Santiago che ha avuto il potere di cambiare l’anima a milioni di pellegrini e viandanti.

La Spagna è anche esempio di tolleranza e mescolanza: al netto dei suoi movimenti più indipendentisti ha visto susseguirsi sul suo territorio storie e arti di tanti popoli, dai romani ai celti e non ultimi i mori, gli arabi, capaci di regalare alla magica Andalusia le stesse bellezze che si trovano in molte regioni del nostro sud. La Spagna è anche uno sguardo più largo, all’unione di grande patria latina perché tanto Sudamerica è finito quaggiù, a influenzare una nazione coi suoi colori, i suoi sapori, i suoi suoni. Dopo averne subito la cruenta conquista.

La Spagna è complice, sorella, cugina, gloria perdurante, piccolo incantesimo, la Spagna è gente aperta, positiva, con la quale spesso basta un’occhiata di intesa, visto lo stesso modo latino che abbiamo di godere la vita, di intendere i legami, di rifugiarci nelle stesse passioni, di indulgere nelle stesse pigrizie, di amare le stesse bellezze.
La Spagna ha vissuto un po’ tutto, un passato agricolo e arcaico, le grandi spedizioni navali e l’ansia di scoprire l’Eldorado, le tenebre militari e religiose, le rivolte più anarchiche, il boom industriale più veloce, fino alle Olimpiadi più belle della storia moderna che hanno cambiato per sempre il volto di Barcellona.

La Spagna ha sempre amato molto le sue tradizioni e il suo folklore e allo stesso tempo è stata sempre capace di richiamare e sedurre i giovani, con le mode, col passaparola, coi locali di Ibiza o Marbella o Benidorm, con le follie di San Firmino a Pamplona, col turismo più economico e più scatenato possibile dalla Costa Brava a la Costa del Sol. Negli interminabili on the road vissuti coi miei amici ho incrociato cento processioni e cento popolazioni: cappucci in testa, croci e odore di incenso, lanci di pomodori e bevute colossali, sudamericani in giro con lo zaino e legioni di nordeuropei a cercare il sole, spagnole col fuoco dentro, vecchiette con dio dentro. Cammini diversi, solitari e selvaggi in Galizia e nella Mancha, accecanti di luce nel sud, eccitanti di possibilità nelle grandi città. Una morale rigida e un’altra pagana, una provincia lirica e una vitalità bollente.
La Spagna può essere una grande protagonista del futuro, lo hanno già svelato i premi alla cucina molecolare, le mille start up catalane, le forme moderniste del Museo Guggenheim di Bilbao.

Il senso di questo Diario di Spagna sta nel riaprire vecchi album di fotografie, quelle che ordinavi con amore perché il digitale non esisteva ancora, sta nel riaprire cassetti della memoria, fatti di più emozioni, più andate e più ritorni, sta nel ripensare a quei giorni pigiati a bordo di una Panda azzurra che ormai conosceva ogni svincolo e ogni costa del paese che ci ha visto giovani, più di ogni altro. E se la gioventù per molti è soltanto uno stato d’animo devo dire Gracias alla Spagna che mi ha mantenuto per sempre giovane.

P.S
Se vi fa piacere seguite questo viaggio nelle varie puntate del reportage. Sarà diviso per comodità in capitoli geografici ma non temporali, perché a Barcellona e Madrid ad esempio sono andato tre volte e in Andalusia e nel Paese Basco due. Le isole non sono incluse ma tra Baleari e Canarie troverete parecchi racconti nei topic de “Il grillo viaggiante” intitolati “Isole” e “Fiesta”.
E ora Vamos!
Non ci sono Commenti