La mia “missione” quando sono con amici e conoscenti, e si parla di vino, è quella di far capire che un passito non deve necessariamente essere un vino dolce e stucchevole, di quelli che devi bere gelato e che richiamano alla bocca immediatamente un bicchiere d’acqua per pulire.
Sui passiti si potrebbe fare il giro d’Italia.
Anche perché sono passiti vini che non vi aspettate.
Ad esempio l’Amarone: lo sapete che è un vino passito? Si, però vinificato secco. Idem lo Sforzato Valtellinese, che è passito ma non dolce.
Parlo di giro d’Italia in quanto se è vero che al sud i grappoli si possono far appassire sul la pianta o stesi al sole, al nord le tecniche sono diverse. Ad esempio metodi di appassimento che prevedono i grappoli appesi in stanza molto ventilate…o comunque metodi coerenti con il clima della regione.
Io credo che per i vini passiti ci manchi un po’ di cultura. Quella cultura che non ci permette di capire che per avere un buon passito non bastano 10 euro. Quella cultura che non ci permette di “provare” e scoprire che di un buon passito e basta un dito nel bicchiere per provare un gusto e una lunghezza che faranno di un vino costoso un vino non così costoso come si pensa.
Come fare per non sbagliare?
Non lasciatevi incantare solo dalla scritta “Passito di Pantelleria”.
A Pantelleria si produce il meraviglioso Bukkuram di Marco De Bartoli o Ben Ryé di Donnafugata, ma anche tanta roba che io definisco acqua e zucchero.
Concedetevi il lusso di una bottiglia diversa. Fatevi consigliare e provate. Poi mi direte.
Maurizio Gabriele
www.bordolese.it
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