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Metropolis

Dopo la polvere, Dakar

Alla fine della pista

Anche se la corsa più pazza e pericolosa del mondo inaugurata nel 1979 dal 2007 in poi si è spostata anche in altri paesi, deserti e continenti il solo nome di Dakar per decenni ha significato per gli amanti delle moto, del rally, dei potenti camion, del Sahara e delle sfide la fine di un incubo.

L’avventura bella e dannata fra le grandi sabbie infatti finiva qui, nella grande metropoli dell’Africa occidentale, affacciata sull’Oceano Atlantico.

L’avventura bella e dannata fra le grandi sabbie infatti finiva qui, nella grande metropoli dell’Africa

Quante avventure, incidenti, morti sulle alte dune dell’Algeria, del Marocco, della Mauritania, del Mali. Quanto caldo sofferto, le tempeste di sabbia, l’aria bollente, i motori sforzati allo stremo, ma lo spettacolo, il circo doveva sempre proseguire, nonostante i caduti sul campo fossero almeno due all’anno. A volte non si parlava neppure più di eroi intrepidi ma di esploratori di una sorte di “cuore di tenebra”. Dakar si proponeva per tutti loro come un vento più fresco e leggero, come la grande promessa che li attendeva, il premio, l’essere arrivati, l’essere sopravvissuti soprattutto.

L’edizione del 2023 si è appena effettuata nei deserti dell’Arabia Saudita. Dopo il Mondiale di calcio in Qatar un altro ricco paese arabo è stato scelto per ospitare questo grande business. Ma l’eco del nome è rimasto e per lo meno nel nome la corsa finisce ancora …in Senegal.

Le spiagge da dove partivano gli schiavi

Le spiagge da dove partivano gli schiavi

Dopo il deserto il mare, dopo la sete finalmente l’acqua.

Mi immagino che i piloti smessi i caschi, le tute si tuffassero felicemente nell’Oceano. A far rinascere i corpi, a liberare i pensieri. Per buttare alle spalle l’immane fatica o forse anche per ricordare davanti a un falò l’ultimo amico scomparso.

Le barche di legno colorato di Dakar sono ancora in riva al mare, a raccontare il destino dei pescatori, della vita dei quartieri sulla sabbia tutta in mano alla pesca e al turismo.

La capitale del Senegal si estende sulla Penisola di Capo Verde, è abitata da circa 2 milioni di persone e ovviamente dal mare si è sviluppata molto anche all’interno.

Ha un clima tropicale semi-arido, da luglio a ottobre riesce anche a piovere un po’ ma la stagione secca è lunga e dura tutto il resto dell’anno. Chiaramente rispetto a tante zone bollenti e disperate dell’Africa più interna a Dakar il mare porta un po’ di vento e un’aria gradevole e la vita è senz’altro migliore.

Le prime tracce della futura metropoli si hanno nel 1444 quando i coloni portoghesi fondarono un insediamento sulla vicina isola di Goree che sarebbe diventato nel secolo successivo uno dei centri della triste tratta degli schiavi. Bisognerà aspettare il 1848 per vedere abolita la schiavitù da tutti i territori francesi. Eh sì, perché nel frattempo al Portogallo si era sostituita prima l’Olanda e poi la Francia, che contribuì con lingua, cultura, edilizia e investimenti a segnare per sempre il destino di quella che nel 1960 diventerà la capitale del Senegal.

La città dell’arte

Dakar di oggi è una città moderna, aperta sempre sul mare, coi bambini che giocano a pallone sulle spiagge e con molti europei che vi hanno aperto locali, ristoranti, industrie. Ci sono la grande moschea coi minareti gemelli, proprio in faccia al mare, ci sono una famosa Università e le gallerie d’arte, i musei e le associazioni culturali. Nel Museo Monod sono conservati i costumi, i tamburi, le sculture mentre nel Museo delle Civiltà Nere inaugurato nel 2018 si possono ammirare reperti africana dalla preistoria all’età contemporanea.

Il cuore artistico dell’Africa Occidentale si può dire tranquillamente che batta qui e che batta forte.

Ci sono la grande moschea coi minareti gemelli, proprio in faccia al mare

Teranga

La gente di Dakar per la maggior parte è accogliente, serena, pacifica, ben disposta verso lo straniero. Una parola chiave in Senegal è Teranga, che significa Ospitalità. I senegalesi hanno una naturale predisposizione per il dialogo, per lo scherzo, per la conoscenza dell’altro. A Dakar è tutto sommato facile fare nuove amicizie. L’armonia tra religioni diverse ed etnie diverse nella città come in tutto il paese è assolutamente possibile, anche se in maggioranza netta ci sono i musulmani e i wolof.

A Dakar sono molto pittoreschi i piccoli bus colorati che possono trasportare fino a 20 passeggeri: le scene ricordano quelle latino americane di Perù e Colombia, la gente sale con larghi sorrisi, polli in mano, fagotti, ceste di frutta in testa e abiti sempre sgargianti.

A proposito di abiti i giovani della capitale si vestono quasi sempre in modo tradizionale il venerdì e le donne si sistemano collane di perline intorno ai fianchi per essere più seducenti nelle bollenti notti del week end.

A Dakar sono molto pittoreschi i piccoli bus colorati

Cucina e vita notturna

I ristoranti del centro di Dakar sono ben arredati e sia qui che nelle taverne più semplici sulla spiaggia i piatti tipici sono ovviamente i pesci che vengono mescolati con un riso condito da aglio, cipolla e spezie piccanti, ma anche il pollo stufato con le verdure, il sesamo e il succo di limone e lo spezzatino condito con pasta di arachidi.

Il riso è il vero protagonista dell’alimentazione: si mangia praticamente ogni giorno e ogni senegalese si calcola che ne consumi 90 kg all’anno!!

I pasti si concludono con un infuso a base di fiori di ibisco essiccati, che si chiama Bissap.

il pollo stufato con le verdure, il sesamo e il succo di limone

La vita notturna di Dakar è assai vibrante, uomini e donne africane sono bellissimi in questa parte del continente e il bianco delle pupille e dei denti brilla in corpi d’ebano scolpiti e generosi.

La musica più amata si chiama mbalax che con artisti diventati celebri come Yousson Dour è diventata un manifesto della world music, vedi l’esempio celebre di “Seven Seconds”:

Molto seguiti sono anche Ismael Lo per la dolce “Tajabone” e Pape Diof per i ritmi più allegri.

Gli altri monumenti

E poi c’è lui, il Monumento più alto di tutti, più alto della Statua della Libertà, più alto del Cristo Redentore di Rio: 49 metri di bronzo e cuoio, dedicato alla “Rinascenza africana” con una coppia che tiene in braccio un bimbo che indica il futuro con un dito.

il Monumento più alto di tutti, più alto della Statua della Libertà, più alto del Cristo Redentore di Rio: 49 metri di bronzo e cuoio, dedicato alla “Rinascenza africana”

Prima o poi una giornata a Dakar finisce con la visita al tramonto dell’isola di Goree, il luogo di una tragedia che durò tre secoli. Da qui partivano una trentina di navi coi neri di tutto il continente costretti in catene ad affrontare viaggi e destini terrificanti.

E nella Casa dello Schiavo le catene si vedono ancora, come la malinconica “Porta del non ritorno”.

L’aria è malinconica, le case screpolate, sembrano scene della colonia penale del film “Papillon”, i ristorantini sotto i baobab, le palme in riva al mare e le opere degli artisti, fra cui i tipici quadretti con la sabbia, non riescono a rendere il paesaggio più idilliaco.

Altro panorama, più sereno, quello godibile dal grande Faro di Les Mamelles, situato poco lontano dal centro di Dakar.

Fuori Dakar

Il Senegal regala altri bellissimi scorci fuori la sua capitale: uno dei più famosi è probabilmente il Lago Rosa così colorato per la forte presenza di sale, un grande lago navigabile abitato da tantissime specie di uccelli fra cui spiccano per numero le colonie di fenicotteri di e aironi. Poi la cittadina di St. Louis, patrimonio dell’Unesco, visitabile con dei simpatici carretti trainati da cavalli. Oppure le lunghe spiagge di Saly, per abbronzarsi e viziarsi in qualche bel resort. Infine la straordinaria natura africana che fa conoscere gli animali, come nella Riserva di Casamance, nella Lengua de Barbaria, il Djoudi coi pellicani e il Niokolo Koba tra selva e fiume.

Un po’ ovunque e all’improvviso ti colpisce il mal d’Africa.

Il Senegal regala altri bellissimi scorci fuori la sua capitale: uno dei più famosi è probabilmente il Lago Rosa
nella Riserva di Casamance, nella Lengua de Barbaria, il Djoudi coi pellicani

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