Come un presepe
C’è poco da fare o da dire: quando a Matera il sole tramonta colorando ogni chiesa, ogni casa e ogni sasso e si assiste a questo spettacolo da un belvedere panoramico o dalla terrazza di un romantico albergo la scena che si mostra davanti ai nostri occhi è unica al mondo, la pietra si anima e sembra parlare e tutta la città vecchia si trasforma in un poetico presepe.

Ti diverti quasi a immaginare le sagome dei pastorelli che corrono dietro alle caprette o dei Re Magi che in una notte propizia di miracoli portano i doni percorrendo le strade lastricate di pietra o degli artigiani che lavorano alacri fino a tardi nelle pittoresche botteghe.
Con uno sforzo di immaginazione ulteriore ambienti in una grotta sullo sperone difronte alla città vecchia la capanna della natività e sopra ai sassi, sui sentieri che partono verso i costoni rocciosi e brulli della Gravina e raggiungono le antichissime chiese rupestri, rivedi quasi camminare il Cristo flagellato, colto nelle sue ultime, drammatiche e crudissime ore di “The Passion” (2004) di Mel Gibson o il meno fortunato “King David” di Richard Gere. Oppure ti accorgi e ne sei grato che nelle varie inquadrature di vicoli, croci, scalinate, persone, taverne e caverne può rivivere in bianco e nero, evocativo e potente, quasi metafisico, “Il Vangelo secondo Matteo” (1964) di Pasolini.


(copyright: qui sopra le due scene madri a confronto dei film di Gibson e Pasolini)
L’incanto maggiore di Matera si respira proprio con l’arrivo della sera, quando si accendono i primi lampioni, quando si affievoliscono i rumori, quando la luce accecante del sole che eterna la bellezza della pietra lascia il posto ai colori più lievi e soffusi del giorno che se ne va. E tutto rallenta, tutto respira, resteresti fermo fino al mattino seguente a guardare il presepe notturno. Da una finestra di una pensione, dalla terrazza di una osteria, dalle scalinate della cattedrale, dalle colline più alte, dalle passeggiate panoramiche percorse dagli innamorati e abitate a tutte le ore dalle allegre grida e dai semplici giochi dei bambini locali.

Come in un film
I magici e silenziosi sassi materani hanno ospitato non solo alcuni dei film più potenti ispirati a Gesù e al Vangelo ma anche storie del nostro sud più arretrato, dimenticato e offeso, come ne “La lupa” di Lattuada o in “Tre Fratelli” e “Cristo si è fermato ad Eboli” (1979) di Rosi, con un gigantesco Gian Maria Volontè che dai Sassi denunciava i ritardi e le malefatte della politica e le vittime designate della società e della storia: la storia tratta dalle atmosfere oscure del romanzo di Carlo Levi diede a Matera un’eco internazionale.

Dal grande schermo ecco rappresentato anche il sud solare e spirituale adatto a una storia di eremiti e di vocazioni nell’ispirato “Il sole anche di notte” (1990) dei fratelli Taviani, quello sognante e mitico, scalcinato e creativo, di Giuseppe Tornatore, ritratto ne “L’uomo delle stelle” (1995). l fondali dei Sassi hanno messo in scena di volta in volta il sud dell’Italia e il sud del mondo, un paesino siciliano di fantasia o la Terra Santa del Signore. Ideali a farlo per la loro sacralità, per la loro nudità, per la loro essenzialità.
Come in un sogno
Dagli anni ’60 sono ormai disabitati e hanno ripreso vita grazie al mito del cinema e ai coraggiosi imprenditori che li hanno trasformati in splendidi relais e dimore di pietra viva, con le pareti letteralmente scavate nella roccia, gli arredi essenziali in design che seguono le curve e i colori e le atmosfere che solo la pietra è capace di creare. Minimalismo, lusso semplice, la forza degli elementi, la purezza dell’architettura. Ho avuto la fortuna di dormirci e di sentirmi avvolgere da tutto questo.

A volte questi luoghi pieni di charme custodiscono nel sottosuolo di cunicoli e cisterne addirittura delle terme romane o hanno comunque delle spa meravigliose, con delle vasche da bagno enormi troneggianti nella nudità di una grotta, con mobili, utensili in legno, anfore e bacinelle che ricordano i tempi passati. Quasi sempre sono dotati di meravigliosi affacci sul Sasso Caveoso, sul Sasso Barisano, sullo sperone delle Murge. Meta preferita degli amanti del buon gusto e della cultura, dei soggiorni lenti e della cucina tipica, di quelle emozioni che poi ti inseguono poi per anni e anni.
Bastano due notti per dormire e svegliarsi a Matera e poter vivere un sogno che è quello creato da un insieme di elementi del paesaggio artistico, naturale ed umano: i balconi in ferro battuto, il suono delle campane, la lucentezza delle pietre, la colazione con vista, le vie lastricate, le colline spoglie, le piazzette nascoste, l’eleganza dei campanili, i vasi di fiori, le sagome curve dei contadini, gli scialli neri delle vecchiette, l’estro di giovani artisti, i profumi che escono dalle cucine.

I Sassi di una volta
Ma come erano i Sassi tanto tempo fa, a cavallo tra ‘800 e ‘900 e fino al 1960 circa? Sembravano diramazioni dell’età del bronzo, rifugi quasi primitivi, costruiti uno sopra l’altro, col tetto di uno che era il pavimento dell’altro, il fianco di una parete di roccia che diventava la parete di un’umile casa, la stalla posizionata accanto alla cucina o più spesso nella cucina stessa. I Sassi erano disposti sulle spelonche e i pendii di una Matera che viveva di pastorizia e col commercio della lana, in una geografia fitta e caotica, simile a quella di una piccola Cappadocia.

Una scenografia povera e allo stesso modo affascinante, una favola di pietra e senza tempo, anzi ferma nel tempo, dove a fatica trovavano spazio le piccole stanze, i giardini pensili, i focolari domestici, gli estetismi mai superflui di un archetto o di una cupola. I lavori più duri, le persone più rassegnate. Dieci persone a famiglia, che si riscaldavano con la compagnia degli animali o col letame sotto il letto. Uomini, donne e bambini spesso denutriti, ammalati, analfabeti, costretti a vivere in uno stato di degrado tale che Palmiro Togliatti nel 1948 lo chiamò di “vergogna nazionale”. Col cielo sopra Matera che tutto guardava e tutto benediva, anche quella vita difficile, di stenti, di malaria, senza acqua, senza fogne, senza luce, senza treni che vi arrivassero, senza una scuola degna di questo nome.

Il Rinascimento
Furono sfollati per legge negli anni ’60 i Sassi, rimasero come monumento arcaico di una povera civiltà contadina, vuoti, puzzolenti e dismessi. Fino al Rinascimento di Matera, iniziato negli ultimi anni del secolo precedente, proseguito fino ad oggi, con la città che li ha riscoperti, restaurati, valorizzati, cooperative di giovani che li hanno saputi raccontare in bellissimi tour tematici, con una nuova generazione che è stata capace di trasformarli in location di moda e movida, sempre guardati dalle chiese meravigliose, dalle grotte della Gravina, dalle pitture rupestri di Santa Barbara o di Santa Maria de Idris. I Sassi hanno permesso a Matera nel 1993 di diventare Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco, Capitale Culturale d’Europa nel 2019, uno dei primissimi tesori artistici del nostro Paese. Qualcosa che con la sua magia e il suo Parco della Storia dell’Uomo va assolutamente visto e vissuto, al pari di Roma, Firenze, Venezia, Pompei, la Sicilia, le Dolomiti, la vicina Puglia e scusate le immancabili dimenticanze dell’elenco di bellezze proposto.
Matera come viene
Ma come scoprirli? Come cercare le vie, i percorsi, gli incanti? Il modo migliore è avere il giusto tempo, camminare per ore, puntare sui propri piedi, i propri occhi e il proprio cuore. Salire e scendere le vie di Matera a caso, come mi è capitato di fare a Santorini per esempio. Ritrovarsi su un terrazzo, scansare un lenzuolo, inseguendo sempre come motivo ispiratore la qualità della luce o i passi di un gatto, il richiamo dei sensi e quelle curve e quelle tonalità cromatiche che solo la pietra sa assumere.
Matera va scoperta almeno all’inizio come viene, casualmente, emozionalmente, personalmente.
Tanto si arriva dappertutto, alla bella cattedrale e al suo corso moderno e vitale, ai Palazzi Lanfranchi e dell’Annunziata e alle chiesette rupestri, agli affacci panoramici che lasciano a bocca aperta, nelle trattorie più genuine e nei cortili più curati. Poi si può ripetere la sua scoperta affidandosi a questi gruppi di preparatissimi giovani, i suoi figli, che ne raccontano la storia, i segreti, le magie. La passata povertà e la moderna gloria. Le usanze, gli aneddoti, le locations dei film nel dettaglio.
La sua meraviglia di pietra, la sua meraviglia di luce.

Invito a cena
Fino a che arriva l’ora della tavola… Mio nonno mi diceva sempre che mi aprivo in un bel sorriso appena ficcavo le gambe sotto il tavolino, beh l’abitudine e il piacere di mangiare e bere a Matera è assolutamente soddisfatta, sia se si capiti in una trattoria con gli utensili della campagna appesi alle pareti di calce bianca, sia se la pausa gastronomica avvenga in un terrazzino che sporge sui Sassi o in un bar alla moda new age tra spuntini, musica chill out e luci soffuse che si riflettono sul covo di pietra.
La cucina materana rappresenta ovviamente un trionfo della campagna, della cucina che sa di terra, di grano, di campi, di orti e di allevamenti. In genere sfilano come antipasti taglieri di provoloni stagionati capocolli e salsicce lucane, lampascioni, peperoni cruschi (un tipo dolce che viene essiccato e somiglia a chips di patatine) e purea di fave e cicorietta selvatica.

Il piatto forte può essere una zuppa di stagione come la crapiata a base di grano e più legumi, o una pasta tirata a mano e condita col saporito sugo d’agnello, o la ricotta, o le melanzane. O le orecchiette con le cime di rapa e le alici, vista la vicinanza della Puglia.
A seguire l’eccellente carne podolica delle mucche locali, la pignata, ovvero l’umido di pecora con salame e pecorino, gli gnumiredd (involtini di interiora) o come variante a sorpresa il baccalà mantecato o l’uovo e ciambotta, condito con peperone e cipolla. Si apprezza tanto il pane, di quelli cotti al forno, che condito con patate, uova, cipolle, erbette e rape costituiva la colazione dei mietitori: la ciallèdd. A proposito di pane per Matera è un fattore quasi culturale e la focaccia chianca con pomodorini e olive è il più tipico street food locale.
Dulcis in fundo la pasticceria golosa, creme ottime, pasticcini secchi o soffici di mandorla (le strazzate e le spumette) resi più appetitosi dal limone grattugiato, da un bagno di liquore o dalle gocce di cioccolato. E anche la stracciatella con fragole per il dessert. Vini corposi come il primitivo ad accompagnare il tutto e per digerire l’obbligo morale di un bicchierino di Amaro Lucano! A pancia piena il terzo e ultimo giro della città assume sicuramente i connotati del sogno.

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