Un moldavo in Italia

Questo racconto non è un viaggio, ma un piccolo viaggio soltanto raccontato. Da un mio amico conosciuto nel circolo sportivo dove alterno alla passione dei viaggi quella per lo sport. Lui è venuto a vivere qui, a cercare il suo futuro qui da noi, con tutta la famiglia. Per insegnare sport, una specie di ginnastica-danza creativa e divertente che vede mia moglie e le sue amiche fra le primissime fan. Ci ha creduto tanto Nicolai, applicando al fitness una passione, una disciplina interiore e una capacità di sognare fantastica e limpida. Meritandosi ogni cosa che conquistato, soffrendo magari qualche volta la sua ormai perenne lontananza da casa, senza mai farlo vedere.
Tra palestra, bar, parco e allenamenti questi sono dei piccoli insegnamenti che mi ha trasmesso sulla sua Repubblica di Moldova (Moldavia è il nome italianizzato). Credo che siano viaggi anche questi, pur solo della mente: squarci e testimonianze su un mondo che non conosciamo e dove difficilmente andremo per quanto è tormentato, che però come tutti ha la sua storia, la sua identità.
La geografia umana del mondo si allarga anche così.
Sull’Atlante
Una prima volta, forse perché aveva letto durante i precedenti caffè qualcosa di curioso nel mio sguardo, Nicolai si presenta al Circolo con un piccolo atlante… Eccola là la sua patria di carta.
Scoviamo l’antica Bessarabia, schiacciata tra Romania e Ucraina. Mi indica la sua “metropoli” Chisinau, mi inoltra ai primi misteri della Gaugazia e della Transnistria, mi racconta brevemente della loro autonomia, delle guerre e delle guerricciole che puntuali seguirono il crollo dell’Unione Sovietica, della secessione dei territori oltre il fiume Dnestr, la Transnistria appunto, piena di criminali siberiani, gli Urca, deportati in epoca sovietica con un viaggio interminabile via treno.
Racchiuso tra i fiumi Prut e Dnestr sorge il suo paese che ha vissuto un destino che sembra il solito balletto tipico delle terre di confine dell’ex impero sovietico. Rumena, zarista, rumena di nuovo dopo la prima guerra mondiale: la Bessarabia, ovvero la regione compresa tra i due fiumi, passa da un dominatore all’altro. Slava e latina, latina e slava.

L’Unione Sovietica si appropria della Transnistria, poi, con il patto Ribbentrop-Molotov di tutta la Moldova attuale. In seguito una bottarella la danno i Nazisti, alleati ai Rumeni, che riconquistano il territorio, la seguente i Sovietici che lo riannettono con il nome Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia. Il Risiko non finisce mai… e vari pruriti indipendentisti collegati al timore di una possibile riannessione alla Romania dominano gli ultimi anni dell’era Gorbaciov.
Pasticcio geopolitico
Fine agosto 1989: due leggi chiave scuotono la giovane Repubblica Socialista. La prima elimina il russo, e fa tornare il rumeno-moldavo come lingua ufficiale (il moldavo è semplicemente un suo dialetto, ma attenzione a dirlo in giro se si è a spasso per Chisinau). La seconda si sbarazza dei caratteri cirillici in favore di quelli latini. Ancora oggi il 31 agosto è una data fondamentale per i Moldavi. Nicolai mi racconta che una delle vie principali della capitale è dedicata all’evento. La ci sono le vecchie palazzine sovietiche, palazzi con simboli massonici, casette in legno colorate, basse e cadenti, in un misto di neve sporca, fango e puzzolenti gas di scarico. Ai suoi lati il museo militare, con un cortile in cui stazionano carri armati e mig con la stella rossa, una bella cattedrale ortodossa colorata di azzurro dalle cupole a bulbo dorate e il museo storico, palazzo imponente di fronte al quale c’è una copia della lupa capitolina, a sottolineare le origini latine di questo popolo.

Pochi mesi dopo, e ancora si fa parte dell’URSS, si cambiano i simboli. Addio, bandiera rossa, benvenuto tricolore rumeno, con in mezzo lo stemma moldavo, un’aquila che regge uno scudo con raffigurata la testa di un uro. Anche l’inno viene cambiato. Si adotta Deşteaptă-te, române! (svegliatevi Rumeni!), esattamente l’inno rumeno prima del 1946 e dopo il 1989. Anche il nome del paese cambia. I termini Sovietico e Socialista vengono depennati. Resta Repubblica di Moldavia. Non dimentichiamo che nello stesso periodo cade Ceausescu, con fragore mediatico. Cosa può ormai ostacolare un’unione con la Romania?
Accade che le due province della Gaugazia e della Transnistria reclamano, vogliono mantenere i legami con la Russia e la propria lingua. Come ovunque accade nell’ex impero sovietico, le nazionalità si risvegliano da un torpore durato settanta anni. In questo caso c’è un doppio movimento. Secessionista da un lato, conservatore dall’altro. Chi è l’uno o l’altro? Non è la Moldova secessionista dall’URSS forse? Non lo è la Transnistria con la sua gente dura proveniente dal gelo siberiano dalla Moldova? Dipende dai punti di vista e da cosa si considera patria.
In ogni caso, la Gaugazia con la sua popolazione di lingua turca e religione ortodossa dopo alcune scaramucce ottiene un certo grado di autonomia dalla nuova neonata Repubblica di Moldova, in cui non si riconosce. In Transnistria invece è guerra, portata avanti tra la fine del 1990 e l’estate del 1992, prima timidamente, poi, con più convinzione, dagli abitanti locali spalleggiati da Russi, Cosacchi e Ucraini contro i Moldavi appoggiati militarmente, e con volontari, dai Rumeni. Non è secondario che oltre il fiume Dnestr si trovi l’unica parte della Moldavia in cui c’è un certo sviluppo dell’industria pesante, in un paese altrimenti in prevalenza agricolo. Perdere quella regione può avere pesanti ripercussioni economiche. E, infatti, viene persa. E questa difficoltà si aggiunge a quelle derivanti dal crollo dell’URSS che delegava a ogni repubblica la produzione di pochi beni. Vino in questo caso, e ortaggi. Altre risorse assenti, altre industrie mai sviluppate.
Che fine fa la Transnistria
Lilin, lo scrittore del romanzo “Educazione siberiana”, racconta che dopo la caduta dell’URSS, la Transnistria non apparteneva più a nessuno, era rimasta al di fuori della Federazione Russa e solleticava gli appetiti di Moldova e Ucraina. I primi la invasero con l’appoggio rumeno, con il patto segreto di riservarsi l’uso del territorio e lasciare ai Rumeni quello dell’industria pesante e bellica, rimasta fino a quel momento in mano a criminali che fecero della Transnistria un supermercato, incontrollato, delle armi e del contrabbando.

A Bender, la sua seconda città per estensione dopo la capitale Tiraspol, appena prima del Dnestr, si formarono milizie spontanee che ricacciarono indietro i carri armati moldavi e passarono alla controffensiva penetrando in territorio moldavo. E’ l’Ucraina a chiedere l’intervento russo, la Russia ad intervenire, dopo tre mesi di scontri, a difesa di quelli che considera suoi concittadini, a imporre il coprifuoco e a farne una sorta di stato di polizia mascherato da protettorato, quello che è ancora oggi.
Da allora le truppe russe stazionano in Transnistria e Bender è divisa a metà, una Berlino dei giorni nostri. Una parte ai Moldavi e una ai “secessionisti russi”, come li chiama Nicolai con rabbia malcelata. Da allora la Transnistria ha una sua valuta, un suo esercito, passaporti diversi, statue di Lenin ovunque, una specie di moderno KGB, una frontiera frequentata da doganieri taglieggiatori e una bandiera a strisce orizzontali rosse e verdi, ancora con la falce e martello in bella mostra.
Solo “paesi” in condizioni analoghe la riconoscono internazionalmente: Ossezia del Sud, Abkhazia, Nagorno Karabak. Tutti facenti parte di regioni etnicamente complicate dell’ex Unione Sovietica, il retaggio dei giochini di Stalin nelle creazioni di frontiere etniche interne, insidiose e invisibili.
In quanti ne hanno mai sentito parlare? Una specie di internazionale dei poveracci, di stati paria. C’è solidarietà tra la gente dimenticata, che vive richiedendo un’autonomia che il mondo più celebre raramente si degna di dare, a meno che non ci siano di mezzo petrolio e risorse appetibili. La Russia fa finta di nulla, ma la Transnistria è una sua creazione geopolitica.
“Educazione siberiana”

Per saperne di più di questa bolla russa o meglio siberiana ai confini moldavi ho letto questo libro che nonostante la violenza, regala le prime cento pagine che sono stupende. Narrano dei significati dei tatuaggi, vere e proprie mappe segrete dell’esistenza di una persona, che raccontarli, come Lilin rispose a Saviano è disonesto. “I tatuaggi sono un linguaggio muto, ci si tatua proprio per evitare di parlare. Solo un siberiano può capire. Chi racconta uccide la tradizione, e rischia di essere ucciso”.
Le pagine del crudo romanzo di formazione, trasformato in film da Salvatores, raccontano dell’importanza dei legami del clan e del primo coltello posseduto, la picca, quella che dicono vibri o si scaldi, o addirittura suoni quando il pericolo è vicino. Della mancanza di rispetto verso l’autorità costituita, del non dover neanche parlare agli sbirri perché sono non-persone, del potere degli anziani, dei codici del comportamento criminale, una vera e propria etica alternativa. Dove l’aggettivo “criminale” sta per chi accetta solo l’autorità della sua comunità, antizarista e brigante prima, antisovietica e deportata poi e infine anticapitalista, e non si riconosce in nessuno stato. Potrebbe sembrare qualcosa di vicino, in un certo senso, al codice mafioso. Ma non è così. C’è onestà, rispetto per la natura, e una dignità che li porta a rifiutare qualunque cosa provenga dal materialismo ossessionante della Russia post-crollo sovietico.

Piccolo Marzo
Quando Nicolai torna in Moldavia dai suoi genitori e dai suoi amici, in genere alla fine dell’inverno per godersi i panorami verdi e climi meno rigorosi, gli regalano ancora due fiori di filo legati assieme, uno bianco e uno rosso, da appuntare al petto. Un simbolo detto Martisor, ovvero “Piccolo Marzo”.
E’ un benvenuto alla primavera, all’ospite, a quello che ritorna e insieme un augurio di buona salute che deriva da tradizioni vecchie 8000 anni. Mi racconta che quei due fili sono le loro forze vitali che fanno ricominciare la vita, così come la primavera fa con la natura. Si fa attendere spesso la vera primavera, fra nevischio e nuvole grigie e basse, giacconi ancora pesanti e colbacchi che tengono i pensieri al caldo. Come per miracolo molte belle ragazze riescono a riescono a restare in equilibrio su vertiginosi tacchi spillo, anche su strade innevate e ghiacciate, percorse da veicoli ricoperti di fango. Aria di città provvisorie, né moderne né antiche. La gente nei parchi cittadini cerca ancora la legna da ardere. I cibi del conforto dal freddo e di ogni benvenuto sono la ciorba, brodaglia saporita con carne, una delle tante varianti delle zuppe orientali con panna acida, il goulasch di maiale e la tocana, il piatto nazionale: una mestolata di polenta al burro con spezzatino, uovo, sottaceti e formaggio di capra. C’è poi chi per sentire più caldo o per disperazione si attacca più di ogni altro europeo a una bottiglia di alcool. Nicolai me lo confessa con lo sguardo basso.
Chisinau

Della capitale moldava imparo questo: sulla via principale, in uno slargo, si trova il gigantesco e geometrico palazzo del governo, probabilmente per far spazio alle parate militari. Ai due lati si aprono, simmetricamente, in diagonale, due grandi parchi con fontane, vialetti ghiacciati, busti di poeti e scrittori (Puskin su tutti, che passò qui il suo esilio), panchine per fidanzati.
L’eroe nazionale è ricordato con una statua: Stefano il Grande, mitico personaggio medievale, fu protagonista, assieme al rumeno Vlad III l’impalatore (ovvero Dracula), della resistenza contro il nemico turco. Il resto: una lapide grigia e severa che ricorda i caduti contro il comunismo, la cattedrale ortodossa costruita in stile neoclassico, un improbabile arco di trionfo, un colorato mercato dei fiori. Ma anche venditori di fortuna, giocatori di scacchi sulle panchine gelate, alberi spogli, librai di strada, banchetti improvvisati con merce che un occidentale non proverebbe neanche a vendere, un mercato stabile di quadri, chincaglieria varia, matrioske (anche qui).
Il russo non si usa più ma le scritte resistono, ovunque, sui prodotti, sui poster pubblicitari, sulle locandine che annunciano spettacoli teatrali e musicali.
Di sera le luci si accendono sull’architettura della dittatura, come a Tirana, e i palazzi del potere sembrano soltanto un po’ più gradevoli.
Nicolai con un sorriso timido mi conclude la descrizione della città confessando che le cose che ne ricorda di più sono le buche, il fango, la neve, il buio, le macchine sporche, le palazzine malridotte. L’Italia, per ovvio contrasto, lo ha ammaliato col suo sole, con la sua Grande Bellezza.
Il vino moldavo
Nicolai mi dice “se un giorno vai nel mio paese devi assolutamente andare a visitare le cantine, di Purcari per esempio, a una ventina di chilometri a sud della capitale, in un posto che si chiama Milestii Mici”.
Pare che siano una specie di mondo sotterraneo e che si scoprano come il percorso in una vecchia miniera. Con la fantasia mi immagino che siamo a sessanta metri sotto terra, dentro un labirinto lungo duecento chilometri, cinquantacinque dei quali sfruttati come cantina, la più grande cantina del mondo, con il suo posto nel Guinness dei primati, che Nicolai esibisce con orgoglio.
Ma cosa accade là sotto?
Pare che un piccolo veicolo ti porti per quei labirinti sperduti che magicamente si chiamano coi nomi dei vitigni più famosi, Cabernet, Savignon, Pinot, eccetera, e che al lato delle strade scavate sottoterra, ci siano botti dalla capacità di anche diecimila litri di vino. Piene. Poi altri tunnel, stavolta percorsi a piedi, non più botti ai lati, ma bottiglie, classificate per anno, invecchiamento, cambiamenti di tappo, tipo, vitigno… Un milione e mezzo di bottiglie da collezione!! Poi comincia la degustazione sottoterra, accompagnata da musica di violino. Un bicchiere di vino e un piatto di salumi e formaggi locali, un altro calice e un robusto arrosto, un marsala, uno che sembra champagne (??) e un dolce con miele e frutta secca. Con la grande probabilità che qualcuno, riconoscendoti e sapendo da dove vieni cominci a intonare la canzone senza confini di Toto Cotugno!!

I problemi moldavi
“Te lo dico subito io perché se leggerai o studierai qualcosa sui grandi problemi del mio paese lo scoprirai subito… i miei compatrioti guidano come pazzi e quando guidano un auto troppo lussuosa significa che fanno qualche lavoro sporco, come il traffico di armi o di alcolici o, nel caso dei bastardi peggiori, di prostitute o addirittura di organi di esseri umani”.
Raggelante, comincio a pensare che Nicolai tornerà sempre meno a Chisinau…
Mi confessa anche che al netto dei suoi abitanti peggiori molta gente in Moldavia vive sopra i propri mezzi e compra prodotti, dall’abbigliamento al telefonino e al computer portatile ultimo modello, che non potrebbe permettersi. Accade perché non sanno quale sia il vero valore del denaro guadagnato con il sudore della fronte, semplicemente perché non sono loro a metterlo da parte. I soldi che utilizzano sono quelli delle rimesse degli emigranti. Sono loro, gli espatriati, che permettono una vita sopra le righe in madrepatria ai parenti. D’altronde da queste parti lo stipendio mensile di un ministro è pari a cinquecento euro. Basta pensare quanto sia quello degli altri…
Butuceni

Capita che un giorno facciamo un giro nella campagna laziale. Nicolai si lascia andare al confronto con quella moldava e qui il suo racconto finalmente diventa più sereno.
Villaggio di Butuceni, poche case in pietra e in legno, frequentemente colorate di azzurro.
Da noi una piccola abbazia, da loro un monastero rupestre completo di pope e icone.
Da noi una trattoria all’aperto, da loro al chiuso, intorno a un grande camino.
Da noi un ruscello tra i prati fioriti, da loro terra marrone e fiume ghiacciato dove si vedono sagome di contadini simili agli Inuti della Groenlandia che aspettano con pazienza che un grosso pesce destinato a sfamare tutta la famiglia esca fuori appeso dall’amo gettato nel buco di ghiaccio.
Da noi ancora dei giovani in giro, da loro solo bambini e anziani, perché gli altri sono andati quasi tutti a lavorare all’estero.
Da noi chiesette discrete dove suona la campana, anche da loro ma dipinte di colori accesi forse per spezzare il grigio e il grigiore.
Ecco, voglio finire questo viaggio immaginario immaginandomi finalmente un colore, un po’ di serenità e di speranza per la Moldavia.
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