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Storie dal mondo

Far West boliviano – prima parte

Ritorno in Bolivia

Certi pezzi di mondo seppur poverissimi ti restano nel cuore e senti che casualmente magari entrano a far parte del tuo destino di uomo e di viaggiatore. Di Bolivia ne ho parlato già tanto (vedi vari capitoli di “Sguardi andini” nel Topic “I Grandi Reportages” de “Il Grillo viaggiante”) e nella vita per una strana occasione di lavoro che mi ha riportato nello stupendo e tormentato paesaggio andino ho avuto l’occasione di andare sui luoghi di un mitico film, protagonisti Butch Cassidy e Sundance Kid. A sud di Potosì, del Cerro Rico, della montagna dannata d’argento.

Far West boliviano

L’ultima pista

La prima giornata dopo il solito ambientamento nella scenografica La Paz è dedicata a una lunga tappa di spostamento che, con freddezza, potrei semplicemente definire Potosì-Tupiza. Preferisco però, con un po’ più di fantasia, pensare che stiamo cavalcando verso l’ultima pista percorsa da una banda di fuorilegge dai tratti picareschi.

Robert Leroy Parker era figlio di mormoni, nato nello Utah. Suonava l’armonica, seguiva le Messe, poi il suo perfetto cammino improvvisamente deviò. Dopo qualche disavventura giovanile che lo portò in prigione per un paio di volte, decise di dedicarsi alle banche che, notoriamente, come scrive Luis Sepùlveda in un piccolo libro che per me è una pietra miliare di queste latitudini, “Patagonia Express”, o si dirigono o si rapinano. Butch Cassidy, il nome con cui Parker entrerà nella storia preso in prestito da un ladro di bestiame, decise, verso la fine dell’Ottocento, per la seconda opzione. Radunò intorno a sé criminali, anarchici, rapinatori e sognatori in quella infallibile banda chiamata The Wild Bunch – Il Mucchio Selvaggio.

La loro avventurosa attività si basava su una raccolta di informazioni straordinariamente efficiente, la fulminea rapina di banche, di compagnie del carbone e di vagoni ferroviari portavalori e la fuga rapida a cavallo, coperta dai botti di dinamite, lungo l’outlaw trail, il sentiero dei fuorilegge. Questo era costituito da una serie di fortezze nascoste nei grandi spazi americani, Hole in the wall, Robbery Rost, e da una catena pressoché ininterrotta di case sicure e di appoggi insospettabili, che assicuravano omertà, protezione, ristoro e un veloce cambio di cavalli, dal Montana fino giù al Messico. Una curiosità romantica: la banda pare che nel Nord America non uccise mai un uomo, piuttosto Butch dopo le rapine regalava caramelle o cavalli ai ragazzini dei paesi rapinati.

Gli Imprendibili

le foto reali dei tre prese da wikipedia
*copyright – wikipedia

Il leader carismatico Butch Cassidy, l’amico monello Sundance Kid, l’ex prostituta Etta Place (vedi qui sopra le foto reali dei tre prese da wikipedia), Harvey Logan e gli altri furono imprendibili per anni, fino a quando il famoso poliziotto americano Charlie Siringo dell’Agenzia Pinkerton non gli si mise tenacemente alle costole e li costrinse a “ripianificare” le proprie attività. Fecero un ultimo colpo in Nevada e si scattarono una foto nella banca, con il bottino, che spedirono al direttore: ancora oggi è lì, affissa al muro. Un po’ di vita a New York e poi via verso sud, verso il Sudamerica: Butch, Sundance ed Etta, negletti, romantici fuggiaschi, ma sempre insieme. Per il loro secondo atto. Per quello che sembra un inno alla libertà, all’anarchia e all’anticonformismo del ’68 americano, accompagnato nel celebre racconto cinematografico da una musica, una fotografia e una sceneggiatura da Oscar (il film su Butch e il Kid vinse 4 statuette in queste precise categorie nel 1970).

Il film che li riportò alla ribalta, con Paul Newman nella parte del loquace e furbissimo Butch e Robert Redford in quella del laconico pistolero Kid, li dipinge come anarchici sognatori che decidono di trasferire la loro lucrosa attività in Bolivia, fino a quando furono massacrati a San Vicente, sperduto paesino di minatori, crivellati di pallottole da una cinquantina di soldati dell’esercito boliviano.

L’ultima immagine, celebre, li vede correre, feriti, verso la morte.

Il suono delle pallottole

L’immagine si ferma, la luce diventa soffusa, i colori diventano antichi, a fermarsi sui ritratti dei due uomini, mentre i suoni delle pallottole che li uccideranno continuano ad andare avanti per diversi secondi. Questa la versione ufficiale. La storia, tuttavia, non è semplice ed è un labirinto di ipotesi, un mucchio di libri da leggere, una febbre che divora chi si mette sulle loro tracce.

Ecco la canzone che vinse l’Oscar, Raindrops keep falling on my head:

Ecco l’abilità di Sundance Kid con la pistola:

Ecco la celebre scena finale del film, quando Butch pensa all’Australia come prossima meta, un attimo prima della pioggia di pallottole:

Ecco infine la sua locandina:

*copyright

La tesi di Chatwin

Il primo fu lo scrittore nomade, Bruce Chatwin. Trovò le loro tracce in Patagonia, identificando una delle loro capanne di legno a Cholila, parlando con molta gente del posto che sapeva o ricordava. Dipingevano i gringos come tranquilli mandriani e, di certo, non li davano per morti a San Vicente. Secondo le dicerie popolari diverse croci sono disseminate come loro tomba tra le Ande e la Pampa, nessuna sicura.

Chatwin riuscì anche a parlare con la novantenne sorella di Butch che gli garantì di averlo incontrato nel 1923, e che morì tranquillamente nel suo letto per malattia nel 1937. Mentre il Kid sarebbe morto in Argentina, dalle parti del Lago Puelo. Sembra facile, quindi, che Butch avesse preferito scomparire, fingendo la sua morte, per sfuggire una volta per tutte agli inseguitori del governo e ai cacciatori di taglie. C’è chi dice addirittura che in Bolivia andarono in seguito a “sollecitazioni” degli Stati Uniti e ad un patto stipulato tra i due governi.

La tesi di Pratt

Hugo Pratt, l’indimenticabile autore di “Corto Maltese”, fu un altro a percorrere la pista del trio, avendo vissuto per parecchio tempo da quelle parti in gioventù. Si mangiò le mani dopo aver letto “In Patagonia” e vi tornò, a parlare con i vecchi amici, compagni di scorribande, e a raccogliere una documentazione che avrebbe fatto invidia all’Agenzia di Detective di Pinkerton. Quel che ne tirò fuori in “Tango” e su numerose interviste fu che il trio si recò in Sudamerica a difesa degli interessi dei proprietari terrieri. Erano i pistoleri di inglesi, gallesi e americani che possedevano tutta la Patagonia, in un periodo caratterizzato da frequenti insurrezioni anarchiche. Poi però ricaddero nel vecchio vizietto delle rapine.

foto di Bruce Chatwin presa da wikimedia
*copyright – wikimedia

(foto di Bruce Chatwin presa da wikimedia)

La tesi di Sepùlveda

Strano però. Perché Sepulveda si dice convinto che con il frutto delle loro rapine finanziassero rivoluzioni anarchiche. Con gli anarchici o contro? Insomma, un gran ginepraio ma una bellissima storia, che non finisce di certo in Bolivia, ma che qui porta i turisti cinefili come noi a vedere un paesino insignificante, capanne di legno e croci di tombe sperdute nella pampa alta e gelata.

The Wild Bunch

Il film uscito nello stesso anno, “Il mucchio selvaggio” di Sam Peckinpah è un altro manifesto nostalgico del tramonto del western: una banda di rapinatori in fuga verso il Messico si ritrova a difendere i peones di un villaggio di frontiera da gente più cattiva di loro, in un racconto che precipita duramente nel caos, nella corruzione e nella sconfitta, in una sequenza di scene crude, violente, spettacolari, fino alla ricerca della morte vista quasi come una forma di redenzione. Questo film con William Holden, con maggiore asprezza e cupezza, ricorda molto da vicino la storia irriverente e a tratti scanzonata coi due biondi anti-eroi di Hollywood: stessa idolatria del gruppo, stesso destino che unisce la posse di fuorilegge (“Quando ti schieri con un uomo, rimani con lui, e se non puoi farlo sei come un animale”), stesse fughe spericolate, stessa malinconica fine. Sarà il Sudamerica della polvere e degli altopiani che chiama a sé come in un sortilegio finale le anime che si sono perse?

film con William Holden, con maggiore asprezza e cupezza, ricorda molto da vicino la storia irriverente e a tratti scanzonata coi due biondi anti-eroi di Hollywood
*copyright

Verso il Far West

Abbiamo appena il tempo di salutare Potosì alle prime luci dell’alba, di salire su un pullman, dare un ultimo sguardo al Cerro Rico e ai minatori, scendere un po’ di quota, gustarci un altopiano deserto, brullo e arido, percorso da fantasmi di fiumi, abitato da poche persone, bestiame e migliaia, migliaia di cactus. Non ci sono alberi, ma sterpaglia che prende lo stesso colore della terra marrone che impolvera tutto, che forse secca anche l’anima. Qualcosa che rende l’uomo una macchina dedita alla sopravvivenza, contro un ambiente ostile.

Ci fermiamo a pranzo in un paesino insignificante, dove le costanti sono la polvere, la sporcizia e i vestiti colorati delle donne, dai volti ramati, scavati dalle rughe di un’età indefinibile. Mentre tutti piombano nel sonno, resisto alle lusinghe di Morfeo e vengo premiato dall’apparizione di montagne rosso fuoco. Se non fossi a tremila metri, mi aspetterei di veder saltare fuori cow boy e mandrie del far west americano. Mi accontento dei lama. Riesco solo a fare una foto a Tupiza, appena prima che il sole cali.

Se non fossi a tremila metri, mi aspetterei di veder saltare fuori cow boy e mandrie del far west americano. Mi accontento dei lama

Ci aspetta un’ora di logistica, pagamenti, pianificazione, necessaria per l’affitto delle jeep che ci porteranno a spasso per questi altopiani nei prossimi giorni. Poi ci chiudiamo in una specie di dopolavoro ferroviario, frequentato da un paio di coppie e pregno dei profumi delle grigliate. Divido col mio compagno di viaggio una parillada colossale, che ci portano sul suo fornello, rosso di brace. La accompagno con una bottiglia di rosso che non è indimenticabile, ma che ci voleva proprio. Siamo a quota 2900, rinuncio alle soroche pills. Le pillolette magiche per il mal d’altura serviranno di nuovo tra un paio di giorni, quando oltrepasseremo quota 4000 e dovremo dormire sotto zero, accalcati in un rifugio senza né acqua né riscaldamento.

Ma domani, intanto, è Far West boliviano.

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