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Isole

Fenomenologia di Mykonos

Abbraccio la baia

Fenomenologia di Mykonos

Giro il mondo per scrivere racconti di viaggio e scattare fotografie ma torno spesso qua, nell’isola più famosa delle Cicladi, e non per ballare. O non solo. Ci torno perché a Mykonos trovo le spiagge più belle della Grecia e perché la nettezza della luce è unica. Verso le sette di sera parto a piedi dal mio alberghetto di Platis Gyalos e scelgo sempre una prospettiva, anzi in genere due, due luoghi alternati tra loro, che si guardano l’uno con l’altro.

Salgo sulla collina dei mulini e guardo giù dove c’è il lungomare più affascinante che conosco, la Mikri Venetia, come la chiamano qua. Dove le vecchie case bianche dei pescatori si sono trasformate in ristoranti e lounge bar, con le verande, le finestre, i ballatoi e i balconi di colore azzurro o rosso, dove i tavolini sono vicinissimi alle onde e l’acqua ti schizza pure.

Oppure mi fermo proprio lì, nel cuore dell’Egeo, a sorseggiare un ouzo ghiacciato, a spizzicare delle olive favolose, bocconcini di polpo arrosto, e guardo in alto, la fila dei mulini, fedeli custodi dell’isola, simbolo una volta di lavoro e fatica e oggi della più pura estetica greca.

E quando il sole comincia a calare sulle cupole delle chiese e sulle due scene il mio spirito grato abbraccia tutta la baia, la magia delle Cicladi esplode, la tavolozza dei colori non basta a descriverla e si rinnova un nuovo e infinito incantesimo. Non esiste un legame o una nostalgia che sento così forte, che nessun altro viaggio riempì.

“Non esiste un tramonto così”.

la magia delle Cicladi esplode, la tavolozza dei colori non basta a descriverla

Guardami

E guardami. Guardami tutta. Guardami da sotto. Guardami mentre muovo il sedere. Guardami quando lo scopro, il sedere. Guardami perché vado guardata, perché nel mare degli dei sono io la tua dea, perché questo cubo vuole solo me.
Guardami perché devo sentirmi i tuoi occhi addosso, mille corpi addosso. Guardami come non mi guardano nella nebbia, nel traffico, in periferia, alla cassa del supermercato. Guardami che qui siamo in Paradiso, o al Super Paradiso, che su queste spiagge dorate si rinasce, che con questi ritmi assurdi chiudo gli occhi, batte forte il cuore e comincio a cambiare e a volare.
Non serve un altro viaggio, un altro locale. Non guardare indietro e non guardare avanti. Prendi un altro bicchiere e guarda qui. Solo qui.

“Non esiste un’illusione così”.

Guardami che qui siamo in Paradiso, o al Super Paradiso

Il mare è mio

Da inizio maggio comincio a pescare meno, nel senso che le mie reti catturano meno pesci. Dò la colpa sempre a loro, ai primi nuovi aerei che atterrano, alle comitive di turisti che arrivano, che strillano, che rombano, che ballano, che bevono. Sono sicuro che i pesci si spaventano. E che restano in tana.
O forse sono io che non ho più il fiuto, che ho gli anni che mi pesano e mi passano. Che prima indovinavo sempre lo scoglio, la corrente, la luna, l’ora.
Però quando prendo il largo con la mia barca di legno e doppio il faro di Armenistis e vedo i riflessi argentati del mare nella notte; quando vedo il bagliore di Kalo Livadi e Psarou sotto il sole del giorno, sono l’uomo più fortunato del mondo. Perché divento parte di questa natura, riconosco tutti i lidi, le coste, i venti e le baie. Ho le mani e la faccia screpolate dal mare, il mio mare.

Ho la fortuna di pescare ancora i polpi e di metterli a seccare davanti casa, o sulle cime della barca.
Ho la fortuna di conoscere tutti i pesci per nome e di capire qualcosa del loro sguardo morente.
Ho la fortuna di tornare ogni volta dalle tempeste e dalle onde o di ritrovarmi solo nella placida immensità del blu. Vivo per questi momenti qui.

“Non esiste un mare così”.

Ho la fortuna di pescare ancora i polpi e di metterli a seccare davanti casa

Non devo nascondermi

Coi miei proprio non riesco a parlarne. Così a casa mi nascondo. All’università pure e nella squadra di calcio pure. Negli spogliatoi tengo sempre gli occhi bassi, per non farmi capire. Ma forse il portiere e il centravanti l’hanno capito proprio per questo.
L’anno non passa mai ma poi arriva l’estate e con lei arriva Mykonos. Ci resto due mesi, mi piace l’aria che respiro qui, il divertimento, la mescolanza, la tolleranza. Incontro tanti giovani e sto bene, i legami sono uguali, importanti o avventurosi come quelli dei miei amici. Un agosto faccio l’amore dietro una duna, senza sapere il suo nome. L’agosto dopo mi innamoro e scrivo quel nome sulla sabbia.
Balliamo, tanto. Trasgrediamo, tanto. Andiamo in giro felici, colorati, a volte sfacciati, esibizionisti, chiassosi. Chi per indole, chi per vincere le sue paure, le sue timidezze. Che restano sempre lì.

“Non esiste una libertà così”.

poi arriva l’estate e con lei arriva Mykonos

Pietra nuda che parli

Mi basta vederli ogni due o tre anni i leoni di pietra che mi aspettano negli scavi archeologici di Delo. Quelle pietre nude che mi parlano. Le colonne rimaste nel niente. Il respiro della storia sul mare.
I micenei portarono qui il culto di Apollo, dio della luce e della musica. E di Artemide, dea della luna e della caccia. L’isola custodiva santuari ed enormi ricchezze fino a che gli ateniesi portarono via tutto e purificarono questo piatto scoglio, per motivi religiosi. Si decise che nessuno più poteva nascere o morire a Delo, che l’isola diventasse sacra.
Fino all’età moderna, quando siamo arrivati noi, con le pale, coi libri, con gli occhi curiosi e le mani sudate per cercare altre verità nella terra. Solo chi scava e chi studia, solo chi ama le pietre può dormire a Delo. E sentire da lontano le discoteche e le smanie dionisiache di Mykonos.

A me piace restare qui, sotto il sole, col meltemi in faccia, con altre pietre, colonne o mosaici che mi aspettano, che mi raccontano i miti o le filosofie del passato. Di questa Delfi sul mare.

La vita è a Mykonos, di fronte. Il silenzio è a Delo, per sempre.
Ma se mi chiedi “rimani”? Ti dirò sempre sì.

“Non esiste una storia così”.

I micenei portarono qui il culto di Apollo, dio della luce e della musica

Da Ano Mera a scuola

Anche quest’anno l’estate è finita, ho visto tante facce straniere, belle e strane. Sul mare comincia a fare più freddo. La mia cartella è di nuovo pronta.
Prendo un piccolo bus dal mio paesino di Ano Mera, proprio sotto il monastero. Le quattro taverne ora sono aperte solo per la gente del posto, le nonne ricominciano a seminare i fiori sui balconi, il campanile suona e nessuna musica dalle spiagge soffoca il suo suono. Saluto mia madre che rivernicia gli studios, mio padre che controlla i motorini e le barche noleggiate e stanche.
Arrivo al porto, gli amici, la scuola. Pescatori che riprendono il posto dei turisti, le boutique di Matoyanni Street ora sbarrate, coi proprietari tornati ad Atene. I dj muscolosi e abbronzati ripartiti per le loro città europee. La Chora diversa, più intima, più abbagliante che mai, con le sue case e le sue vie pitturate a calce. L’incenso della Panagia Paraportiani, che ci accoglie col suo profumo antico. Il pope che ridacchia o beve già un ouzo alle nove mattina. La campanella che ci invita ad entrare.

Mi aspettano lunghi mesi diversi, mi faranno compagnia la matematica, le letture, i nostri filosofi. Coi miei amici rincorrerò le caprette o un pallone. Con la ragazza che mi ruberà il cuore passeggerò sull’arenile morbido e vuoto di Elia e Kalafatis, senza più cocktails, feste e surfisti. O ancora più lontano, nella deserta Panormos.
Mykonos per cento giorni non ha mai dormito, ora si riposa. Ed è bellissima, è radiosa, è come una sposa che dice sì.

“Non esiste un’isola così”.

Mykonos per cento giorni non ha mai dormito, ora si riposa. Ed è bellissima
L’incenso della Panagia Paraportiani, che ci accoglie col suo profumo antico

E’ giorno o è notte?

Ditemi se il pellicano è andato a dormire. Ditemi se è giorno o notte che non lo so più.

Sono arrivato ieri sera con un volo speciale, stipato di gente del mio quartiere. Ho mangiato quattro gyros pita appena sceso e sono già pieno di bolle. Mi sono riposato un’oretta sul terrazzo della pensione, prenotata un anno fa. Ho ingoiato una caramellina per sentirmi più forte. Non ho visto neppure il mare. Sono andato a ballare coi bermuda preferiti, la camicia di lino e gli occhiali da sole. Mi sono scolato cinque cocktail azzurri e verdi. Al ritorno era buio e pensavo al pellicano. Il motorino scassato mi ha tradito in curva. Ho una gamba rotta. Ma che ore sono? So solo che tra poco rientro in Italia, dritto dritto in ospedale. Voi però salutatemi il pellicano, messaggiatemi se è ancora lì.

“Non esiste uno sballo così”.

P.S
Giuro che quest’ultimo fenomeno esiste davvero.
E che Mykonos se volete forse è nella somma di questi ritratti.

Ditemi se il pellicano è andato a dormire

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