Il senso della Muraglia

Questa è la linea, questo è il confine, questo è il segnale.
L’avamposto della Civiltà, la fine del mondo noto e chiaro. La protezione di questo mondo, anche.
Oltre ci sono solo l’incuria, la decadenza, la ferocia. Oltre cominciano le Tenebre.
Provateci a passarla questa linea, Barbari.
Noi siamo e restiamo qui, a difendere la Muraglia più lunga mai costruita, a farvi capire che non riuscirete a conquistare per davvero nulla, né il nostro paese, né la nostra cultura.
Rimarremo soli e puri, distanti da ogni contaminazione, da ogni vento di novità.
Alessandro Baricco nel saggio “I Barbari” mi sembra assegnare alla Grande Muraglia Cinese soprattutto questa preziosa funzione psicologica, diventa la metafora della Civiltà che non verrà spezzata, offesa, corrotta o distrutta dalla Barbarie.
Ma è veramente possibile questa ostinata salvaguardia del passato?
O i Barbari come credo voglia suggerire l’autore vanno visti non solo come distruttori ma anche come degli impudenti e sfrontati innovatori che prima o poi quella roccaforte la penetreranno?

In realtà le invasioni dei Mongoli di Gengis Khan e dei Manciù non trovarono nella lunga costruzione di pietra un valico inespugnabile, ma il valico morale rimase sempre nelle loro teste, questo sì.
La Muraglia non serviva a proteggere soltanto i campi coltivati e i laboriosi villaggi della Cina feudale dalle numerose incursioni dei briganti, non serviva solo a far sentire più sicuro un popolo, ma aveva questo significato simbolico e filosofico, questa dimensione nobile: il mondo dei padri non sarebbe mai finito, non sarebbe mai stato cambiato con la forza, con gli attacchi, con le sconfitte subite in guerra. Quelle leggi, quei costumi, quei valori, stili di vita e rapporti umani sarebbero rimasti validi per sempre.
Per Baricco ogni imperatore cinese avrebbe avuto due possibilità davanti ai Barbari: commerciare con loro, entrarci in contatto, familiarizzare, rischiando però la “contaminazione” con degli incivili.
Oppure fronteggiarli, combatterli, mischiandosi comunque ad essi in un altro modo, il più cruento.
La scelta fu quindi terza e particolare: alzare la Grande Muraglia per le antiche dinastie cinesi significava proteggersi dai Barbari, ma al tempo stesso questa robusta opera difensiva letteralmente creava e inventava il nemico, lo definiva. E in un certo senso lo rafforzava, gli dava un’essenza, un corpo.
Con l’ostacolo di pietra della Muraglia il fascino e il pericolo di una contaminazione, di una mutazione, rimanevano là sotto, alle porte dell’Impero Celeste, pronte al primo istante a sopraffarlo.

I Barbari sarebbero entrati con ancora più impeto in quei templi religiosi, in quei campi fertili, in quei palazzi del potere, avrebbero sconvolto costumi e coscienze, fatto cadere l’ordine costituito. Il vento nuovo e inevitabile, appunto.
E la Grande Muraglia poteva solo porre un argine, non certo capovolgere il corso della storia. Ma per i cinesi è sempre rimasta un simbolo identitario.
Provateci ancora oggi a passare quella linea, quel segno, a invadere o anche solo a disturbare i cinesi, chiusi nella loro economia, nelle loro città-alveare, nelle loro scelte etiche e politiche, nei loro virus misteriosi.

Work in progress
La più lunga muraglia del mondo con funzioni difensive nasce nel Nord Ovest del paese e nasce come somma di singole porzioni di mura e di possenti baluardi già esistenti.
E’ qualcosa di impressionante, basti pensare a due o tre dati, a queste verità: cominciata circa 200 anni prima di Cristo sotto la dinastia Qin (la stessa del famoso esercito di terracotta che fa mancare il fiato per la sua bellezza) è stata perfezionata fino al XVII secolo dalla potente dinastia dei Ming, come dire che la sua storia è infinita e millenaria; questo lungo cammino tortuoso, questo serpente di pietra, torri, bastioni, mura merlate con feritoie e sbocchi per i cannoni, scale, gradoni, piattaforme elevate e fortini raggiunse una lunghezza di 22.000 Km, utili anche all’unificazione geografica e politica delle immense province cinesi e oggi visibili e abbastanza integri ne sono rimasti ben 8.000.
E ovviamente sono patrimonio culturale mondiale dell’Unesco.
Veniamo a sapere inoltre, fin da ragazzi, che la Grande Muraglia Cinese sia l’unica realizzazione umana che gli astronauti in orbita attorno alla terra riescano a scorgere a occhio nudo, guardandola con stupore dai loro lontanissimi oblò, distinguendola chiaramente sui radar, puntando il dito ed esclamando qualcosa come “E’ lei, è proprio laggiù”. In realtà servono potenti telescopi per scorgerla.

Forse gli antichi romani ne vennero a conoscenza in qualche modo, grazie ai racconti di esploratori o legionari del mondo di allora, e vollero emularla col Vallo di Adriano eretto nel II sec d.C per difendere i propri territori in Britannia dalle pericolose invasioni dei barbari scozzesi.
Il destino dell’incontro-scontro coi barbari, benché ad altre latitudini, ritorna… perché anche i cinesi quell’interminabile fila di mattoni per la prima volta l’avevano tirata su per proteggersi dalle incursioni, gli assalti e le razzie dei popoli del nord, i barbari delle steppe asiatiche, che si chiamavano Xiongnu e – guarda caso – appartenevano allo stesso ceppo dei ferocissimi Unni.
Il capolavoro edile e ingegneristico fu evidente fin dall’inizio perché la Grande Muraglia seguiva tutte le asperità, i fossati, i picchi, le altezze e le ondulazioni diverse del territorio.
Saliva e scendeva con la terra, col paesaggio, seguendo le rotte della Via della Seta. Fin dagli albori era un disegno, un ricamo di roccia sulle colline verdi, sulle pianure brulle, sui monti innevati.

La Muraglia in sostanza era una comoda strada militare per attraversare o superare zone remote e terreni accidentati. E a grandi distanze tra le sue torri e le sue trincee i reparti dell’esercito distaccati a difesa delle diverse regioni dell’Impero comunicavano tra di loro grazie a segnali di fumo creati durante il giorno con sterco di lupo misto a erbe e a segnali di fuoco accesi durante la notte.
Sappiamo anche di leggende nate intorno alla Muraglia e addirittura di famelici mostri che vivevano ai suoi bordi, divorandosi le guardie durante la notte (lo abbiamo visto nel film fantasy in 3D con Matt Damon, “The Great Wall”, la produzione più costosa mai girata in Cina).
Il destino della Muraglia
Alta in media dai 5 ai 10 metri, larga circa 6 metri, fortificata per mille anni di seguito, tenuta insieme dall’argilla e dalla farina di riso glutinoso, costruita in epoche diverse da almeno venti dinastie, da vari milioni di persone (e costata un milione di morti, rimasti lì dentro sepolti…), la Grande Muraglia venne messa a guardia di borghi, di piccoli villaggi contadini, di eleganti palazzi imperiali, di guarnigioni militari spesso tanto potenti quanto istericamente impaurite dall’arrivo incombente dell’Altro.
Di quello che possiamo definire il popolo straniero, rozzo, indurito dalla vita nei deserti e nelle steppe.
Di coloro che i cinesi non avrebbero mai voluto provare a capire o a conoscere.
Di quelli che portavano nuovi idoli, linguaggi, usi, cibi, danze, animali, dèi.
Di quelli che sarebbero stati inevitabilmente i protagonisti del tanto temuto contagio.

Di quegli invasori con frecce e cavalli che avanzavano inesorabilmente verso la Muraglia, pronti a cambiare la storia e a inquinare e a sorprendere l’antico ordine feudale cinese.
Perchè ogni grande muraglia o muro o steccato o confine alla fine cade giù, perché la storia procede, cancella, ricrea, evolve e i popoli malgrado tutte le differenze e diffidenze si incontrano.


Le intemperie, le incursioni dei vandali, l’incuria, il passare dei secoli l’hanno in molti punti rovinata ma la Cina moderna la sua magnifica e imponente opera difensiva sta provando con passione e coraggio a risistemarla, a elevarla di nuovo a primo simbolo della sua storia millenaria. E stavolta senza l’aiuto di schiavi, prigionieri, ribelli, soldati o contadini, di tutti quei protagonisti sfruttati e invisibili che resero le mura leggenda.
Leggenda e simbolo anche per Mao che in un suo discorso affermò che nessun uomo poteva definirsi eroe se non fosse salito almeno una volta sulla Grande Muraglia. A testimonianza del fatto che nella vita servono le scalate e le prove più dure prima di dichiararsi eletti o vincitori.
Tra visita e significato
Resta da capire un aspetto: se la mutazione è inevitabile, se il futuro prima o poi arriva, se la mescolanza è anche augurabile, che cosa ci dobbiamo portare dietro del vecchio mondo, della tanto amata civiltà?
Cosa deve sopravvivere di quella che era una delle Sette Meraviglie del Mondo antico?
Quali radici e quali idee? Quali significati e quali legami?
Forse è semplicemente bello e importante vederla lì, immaginarla ancora lì, a difendere orgogliosamente un perimetro di civiltà, a ritardare un declino.
Lasciamola allora snodarsi lenta e maestosa dove si trova, a memoria di un grande regno e di un grande passato, come un dragone di pietra che collega Pechino ad altre 15 province: partendo dal passo di Jiayuguan nel Gansu, conosciuto come la coda della Muraglia, dove essa incontra nel deserto la Via della Seta; passando per Mutianyu dove lo sguardo umano dagli spalti resta atterrito da quella che una volta era la brulla e minacciosa steppa mongola da cui provenivano gli attacchi più insidiosi; incontrando nel suo infinito percorso zone impervie, selvagge, calde e fredde, boscose e pietrose e addirittura il mare nella provincia dell’Hebei. E con la sua testa a Badaling, il punto più celebre per le foto dei turisti frettolosi, a soli 80 km da Pechino.
Un’opera senza fine e senza tempo e muta testimone della grandezza della Cina.
Una straordinaria metafora utilizzata dal grande Baricco per descrivere l’assetto antropologico di quella che chiamiamo Civiltà, l’insieme delle culture precedenti, profonde, consolidate, rassicuranti, inutilmente opposte alla Barbarie delle nuove conoscenze, siano esse rivoluzionarie, veloci, superficiali (da surfisti direbbe l’autore) o digitali.
Prima della lettura de “I Barbari” sinceramente non avevo mai pensato a tutto questo.

Non ci sono Commenti