L’organizzazione svizzera
Passo in aereo accanto al Monte Bianco che emerge imperioso da un mare di nuvole. L’aria appena sceso a terra è frizzante, tersa. Tutto intorno è Francia, Ginevra è terra di confine, ma gli abitanti di Ginevra neanche si sentono francesi. Si ritengono solo migliori.
Ginevra è in quell’angoletto, circondata dai monti, in fondo al Lago Lemano, dove schizza in alto il pittoresco Jet d’eau, dove entra e da dove esce il Rodano, altro fiume di cui ho visto sia la foce, splendida, in Camargue, tra vento, neri tori minacciosi e cavalli lipizzani bianchi, che la parte alpina, più vicina alle sorgenti.

Una città-orologio. Un’organizzazione svizzera proverbiale.
Arrivo in soli cinque minuti con un treno veloce e gratuito, in dieci appena sono in albergo. Faccio in tempo anche a cambiare i soldi, per affrontare i folli prezzi svizzeri (una semplice pizza o un piatto di pasta nella parte storica della città costa l’equivalente di 25 Euro tanto per fare un esempio!). Mi accorgo da subito, dall’aeroporto, dai cartelloni stradali, dalle vetrine dei negozi che qui si sfornano pubblicità di orologi come da noi di detersivi: impressionante.
Come prima cena una bella fetta di groviera a darmi il benvenuto, una deliziosa zuppa di zucca con nocciole e un buon piatto misto che unisce carne di maiale, funghi, patate. Difficilmente riesco a trovare qualcosa di originale quando sono da queste parti. Ginevra, come Bonn, poca fantasia, siamo troppo vicini all’influenza culinaria della grande madre tedesca. Più avanti mi rifarò con almeno tre cibi degni di nota: il pesce di lago e di fiume, il plateau di formaggi e salumi, il latte denso delle fattorie che puoi gustare con una gita sulle colline dei dintorni.
Mi basta una passeggiata lungo lago per andare ad ammirare il celebre e incredibile orologio floreale per rendermi davvero conto in che luogo perfetto sia capitato: tutto lindo, tutto ordinato, tutto funzionante. Non c’è una carta per terra, i prati sono pettinati, le fioriere ti emozionano, i lampioni funzionano sempre, i ragazzi hanno dei campi sportivi pubblici che in Italia ce li sogniamo, la gente parla fluentemente almeno tre lingue, i bus passano alle 17.37 se sul cartello c’è scritto 17.37, gli immigrati qui sono lavoratori europei dagli standard eccellenti, spesso molto colti, non vengono da paesi disperati.
La città per tutti

Leggo su wikipedia un dato clamoroso: il 50% degli abitanti di Ginevra sono stranieri, e non lavorano di certo tutti per le Nazioni Unite; sono presenti in città ben 180 diverse nazionalità, in pratica quasi tutto il mondo (e in questo di ONU c’è molto).
Tanti immigrati negli anni addietro furono accolti da Spagna, Portogallo, Francia ed Italia: valigie di cartone legate con lo spago, pane e cioccolata alla Nino Manfredi. Eravamo anche noi gli invasori di questi laghi, di questi monti, di queste strade pulite e ordinate, faremmo bene a ricordarcene un po’ più spesso. Non a caso, ogni volta che vedo un ristorante italiano (e sono tanti) penso ad un’attività intrapresa con fatica anni fa, alle rimesse degli emigranti al paesino del sud, ma anche ai numerosi kebabbari e pizzaioli egiziani o libanesi così comuni nelle strade dei nostri quartieri, che stanno tentando lo stesso percorso.
Quel che è certo è che Ginevra è una specie di Città del Messico europea, terra d’asilo che ha nelle vene l’accogliere riformatori (Calvino), esuli (moltissimi dei profughi della ex-Yugoslavia finirono da queste parti), rivoluzionari perseguitati (Lenin prima del 1917). La comunità internazionale presente sul territorio ha la possibilità di partecipare alla vita sociale locale: chi è residente in Svizzera da otto anni e da tre almeno nel comune ha diritto di voto alle elezioni comunali.
L’anima francese
Città ricca Ginevra, ricchissima, opulenta, eppure neanche tanto snob. Città pacifica, ovviamente neutrale sui grandi temi politici, come la sua nazione. Porta in dote la più alta qualità della vita al mondo, è moderna, pulita, elegante: ha un’anima? Di notte direi di no.

Si vedono solo le insegne delle banche, delle infinite società finanziarie, luci di brasserie e di ristoranti. Le mura della cattedrale sono illuminate, così come qualche torre.
Ma il lago è scuro, nero, troppo buio per ammirarlo, anche se si intuisce che è il suo cuore pulsante, se di anima parliamo quella ginevrina deve essere lì, sulle sue sponde.

Nelle vetrine scintillano i coltellini multiuso dell’armata svizzera, fantasiosi orologi a cucù, cioccolata di mille tipi, campanacci di mucche alpine, tanta roba high tech.
Mi rendo conto abbastanza che dietro ad una funzionalità asburgica, teutonica, Ginevra tuttavia la nasconde un’anima, ed è tutta latina. E’ la scoperta personale della Svizzera francese, e dei forti influssi del vicino sulla vita culturale: i caffè, le gallerie d’arte, le librerie, i negozi di antiquariato, le pasticcerie rinomate, la gente che si accalca fuori, il brusio che cresce, a metà strada tra ritrovo di universitari alternativi e festa di paese.
E vicino alla stazione c’è una Soho multirazziale vivissima, ristoranti indiani, cinesi, marocchini, thai, italiani, un caffè tanzaniano, altri bar portoghesi e brasiliani, kebabbari, take away libanesi, odori giapponesi. Qualche luce rossa di troppo, qualche movimento ambiguo nell’ombra, qualche richiamo nel buio, l’ubriaco di turno, ma per forza, sei vicino alla stazione!
Dalla collina storica ai verdi parchi
Che contrasto con la Ginevra delle banche, delle boutique di lusso e con quella che per visitarla basta una giornata a piedi: la città che dall’alto della collina, sulla rive gauche, quella antica, storica e universitaria, guarda un bellissimo lago azzurro, dove si ammira a intervalli stabiliti un getto d’acqua alto 140 metri che è diventato il suo simbolo, verticale come i suoi palazzi, come gli alberi delle barche a vela che solcano le acque; la città che vive le sue piazzette discrete e silenziose, lo spazio scenico intorno alla cattedrale di St. Pierre (che dentro è di una semplicità calvinista), le vie di storia e di pietra, come la Rue de l’Hotel de la Ville, come la Grand Rue, i pub deliziosi, i caffè all’aperto nonostante le temperature fresche, le strade di ciottoli tra i caseggiati eleganti ma anche le vie commerciali un po’ freddine, dove si muovono pantaloni e borse coi portafogli strapieni; la città dei parchi sulla riva droite infine, quello del Mon Repos, all’interno del quale si trova la villa-museo di Henri Dunant che nel 1863 fondò la Croce Rossa Internazionale, quello della Perle du Lac con Villa Bartholoni, quello dell’Ariana, coi potenti palazzi dell’Onu, o il Parc La Grange, sull’altra riva, dedicato da sempre ai fiori più belli.
Si abbraccia e si respira così Ginevra, la città di Calvino, seria e ordinata e lavoratrice come lui, la città di Rousseau, che coi suoi ideali di libertà e giustizia fu uno dei padri spirituali della Rivoluzione del 1789.
Il gigante e la natura

Tutti gli angoli, i lungo-lago, le viste, le prospettive di Ginevra rendono omaggio al Monte Bianco che col cielo sereno, svetta candido in lontananza. In un giorno solo ce la fai a raggiungerlo, a salire su, a inebriarti di bianco, di sole, di ghiacciai, di vette. Oppure a scegliere le acque del lago, a sentirti un po’ navigatore, un po’ poeta, un po’ viandante, toccando con la vela o con un battello tipico che batte la bandiera rossa con la croce bianca una sponda lontana, un villaggio sui prati, un pezzo di natura incantata quando è baciata dal sole, più malinconica se ti tocca in sorte la pioggia.
Per rifugiarti qualche ora lontano dalle banche e dai rolex sui polsi, dai diplomatici in pausa pranzo, dai convegni delle nazioni unite, dai concerti, dalle regate, dagli incroci dove non conoscono i clacson, tra i filari di un vigneto, a fissare le azzurre lontananze, la neve perenne sulla cima del gigante o i riflessi di un vecchio castello nel lago.


Non ci sono Commenti