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Luoghi magici

Guardando il Fuji

La divinità del Giappone

I grattacieli e la vita frenetica di Tokyo, la calma di un giardino zen o di una sorgente termale col suo tempio accanto, il profilo misterioso di una geisha e poi la fiera e candida sagoma del Monte Fuji, con un ciliegio in fiore in primo piano. Sono probabilmente queste le immagini iconiche del Giappone ma qui vogliamo decisamente schierarci: la grande montagna per carisma e spiritualità le supera tutte e quindi il Giappone è il Fuji. L’elenco come in un gioco potrebbe continuare a lungo, a testimonianza del fascino emanato ovunque dal paese asiatico. Samurai e judo, sushi e bonsai, manga e origami, il sumo, Sony e Nikon e via dicendo ma davvero nessuno supera il magnetismo straordinario che trasmette questo gigante solitario.

Guardando il Fuji

I giapponesi venerano il Fuji come una divinità per la sua perfetta forma conica e per le sue proporzioni impeccabili, così evidenti perché spuntano dal nulla di una pianura: una figura in completa armonia col suo ambiente, ideale da riprodurre in una stampa, in una xilografia con inchiostro a acqua, in un ideogramma o anche in un fumetto o in un cartoon, visto che questo vulcano attivo ma che non erutta da 300 anni è rappresentato dappertutto come il simbolo più famoso del Sol Levante. Il più caro ma anche il più temuto. Dove salire in pellegrinaggio almeno una volta nella vita. Con alcuni vecchietti dalla salute di ferro che ci provano anche dopo aver compiuto i 100 anni e col record che spetta a una guida locale che si è arrampicata fino al cratere ben 1672 volte!

Di certo agli scienziati fa paura l’ipotesi di una nuova eruzione quindi il Fuji è controllato con estrema attenzione: sorge infatti fra Tokyo e Osaka, in un territorio dove ormai vivono quasi 40 milioni di abitanti. Per ora continua il suo placido sonno, aleggia su di lui un senso di bellezza unito al terrore che da sempre per il suo aspetto severo e le sue viscere bollenti è in grado di suscitare. Forse per questo evoca insieme paura e meraviglia, tenebre e splendore, “la neve e il fuoco, l’eterno scontro tra gli elementi della natura” secondo il poeta Mushimaro, “lo ying e lo yang” mescolati insieme secondo la studiosa Cathy Davidson.

evoca insieme paura e meraviglia, tenebre e splendore

Il mondo in cielo

Il rispetto alla grande montagna si deve pure al fatto che è quasi sempre coperta di neve o circondata da pittoresche masse di nuvole bianche che si ingoiano la cima, quasi a renderla parte di un altro mondo, più etereo, più misterioso, più lontano. Un enigma ineffabile, affidato al cielo.
E’ una montagna imponente, con un diametro di 153 km alla sua base e di 3 km sul cratere in vetta. L’altezza precisa del Fuji è di 3.776 metri, sfidarla secondo i saggi orientali e i maestri zen significa arrivarci senza nulla, senza pensieri pesanti e superflui, senza desideri né illusioni, in uno stato di grazia progressivo che aumenta con la salita. Il satori, ovvero la consapevolezza dell’essenza delle cose, si può raggiungere se scalando le pareti del vulcano vengono buttati giù tutti i pregiudizi, i condizionamenti, le emozioni. Poco importa salire con tanti altri curiosi, viandanti o pellegrini, importante è trovare la propria concentrazione, rispettare una certa condotta, fatta di raccoglimento, silenzio, gratitudine. L’ascensione del Fuji è una prova morale. La conoscenza si conquista attraverso il nulla e il vuoto, la liberazione dalle sofferenze. Per questo obiettivo serve appunto meditare, digiunare, contemplare, camminare, serve affidarsi all’esercizio e alla preghiera, a rette parole, azioni, sforzi.
Come fece un certo Buddha.

I primi a salire sù furono i monaci buddhisti

Le scalate nel tempo

Nei tempi antichi il grande vulcano era molto temuto e visto solo da lontano. I primi a salire sù furono i monaci buddhisti tra il sesto e l’ottavo secolo: volevano bere alle sorgenti sacre e sentirsi più vicino al cielo. Ma la prima parte del cammino, quello nella foresta, per loro era il tempo delle rinunce e dei sacrifici, salivano senza mangiare, senza lavarsi, vagando tra gli alberi, purificandosi dai propri mostri interiori. Poi si usciva dall’ombra e dai limiti personali, cominciava la conquista della vetta, gli spazi si aprivano, come la mente si elevava. Nella nuova luce i pellegrini meditavano sui precetti buddhisti e riuscivano a sentire compassione per tutti gli esseri viventi. Il terzo stadio della mente avveniva nei pressi della cima perché la cima significava l’incontro con gli dèi e la comprensione della propria impermanenza e del distacco da tutte le cose. Finalmente libero l’asceta poteva iniziare la sua discesa, più leggero, saltellando quasi tra sentieri e dirupi.
Tra il 1200 e il 1500 gli scalatori aumentarono, sempre per motivi esclusivamente religiosi, fino a quando nel 1600 la crescita urbana di Edo fece della futura Tokyo la nuova residenza dello shogun, con relativo e progressivo aumento di traffici, popolazione, viaggi. Il mitico vulcano cominciò a essere un luogo frequentato di passaggio, più visto, più avvicinato. Da cittadini “moderni”, borghesi, che cominciavano ad apprezzare i teatri, i divertimenti, le sale da thè e anche le esplorazioni e le fughe dentro la natura. Finalmente dal 1872 poterono scalare il Fuji anche le donne, la prima fu la moglie dell’ambasciatore britannico di allora, in un Giappone che usciva dal suo lungo periodo di feudalesimo (in realtà un’intrepida contadina ci riuscì 40 anni prima ma dovette farlo travestita da uomo…).

Le trentasei vedute del Monte Fuji

Le trentasei vedute del Monte Fuji

Ma come divenne definitivamente il Fuji un’icona del paese? Col famoso ciclo di xilografie dell’artista Hokusai, create a inizio ‘800 e capaci oltre che di influenzare profondamente gli impressionisti europei di creare il mito della montagna sacra: di bellezza sempre ineffabile ma più quotidiana, proprio perché rappresentata come un’opera d’arte fruibile da quel ceto medio che con la cultura stava crescendo. Sullo sfondo del cono perfetto e tra luci e atmosfere cangianti appaiono figure di contadini chine sui campi, si stagliano templi o pagode, umili casette di legno, si rivelano macchie di neve, piantagioni di riso e di thè, dettagli minuti di foglie, di fiori di ciliegio o di mandorlo, di alberi, oppure signore con kimono, ombrelli e ventagli, o più lontane le onde agitate del mare, disegnate con tanto di spuma e di riccioli, in una prova di realismo impressionante. Il Fuji sembra essere il guardiano silente di una umanità operosa, di un paesaggio incantato. Ecco che grazie alla raffinata opera di Hokusai la montagna diventò meno oscura, meno remota e nello stesso tempo più familiare, più accessibile. Lasciò la sfera celeste per avvicinarsi a quella terrestre e reale.

famoso ciclo di xilografie dell’artista Hokusai
lontane le onde agitate del mare, disegnate con tanto di spuma

La natura del Fuji

Sotto la montagna, fino ai 2550/2700 metri domina una fitta foresta di cedri, pini, faggi e noccioli, tanti cipressi, tanti licheni. Felci gigantesche che crescono ancora nell’aria umida o protette e svelate all’improvviso dalla nebbia. Tappeti di muschio molto pittoreschi, azalee, colate nere di lava solidificata. A tratti la foresta diventa anche tenebrosa e se piove fitto non sembra poi un luogo così ameno, lo diventa di più coi raggi del sole, quando si possono osservare i fiori più belli, gli uccelli sui rami o sentire il profumo degli aghi di pino o udire lo scorrere dei ruscelli. Per antiche credenze la foresta è anche abitata da spiriti sfuggenti e da animali fantastici, specie nella zona di Aokigahara si teme l’incontro coi demoni, ci si perde volontariamente e purtroppo ci si suicida anche, in una sorta di mistico e tragico abbandono della società, ma il mito come sempre è una categoria che si arricchisce volentieri di immagini…

La natura del Fuji

Una dea e una città da conoscere

Ai piedi del Fuji ci sono almeno cinque laghi vulcanici, luoghi silenziosi e poetici, circondati da piante di pruno e ciliegio. Il più famoso è quello di Kawaguchi, sede di un Sengen, un santuario, dedicato a sua maestà il vulcano, impersonato da Konohana, la dea dei fiori che viene adorata da tanti moderni giapponesi in pellegrinaggio. E non solo, perché nel pantheon del paese Konohana è diventata la dea protettrice degli agricoltori, dei pescatori, dei naviganti, dei tessitori e delle partorienti e viene festeggiata nella cittadina di Fujiyoshida nei grossi falò di fine agosto che chiudono la caotica stagione delle scalate.
Nella stessa cittadina ci si può rilassare in un Onsen, un caldo e rilassante bagno termale che purifica dalle energie negative; si può gustare un brodo di Ramen per scoprire tutti i nascosti sapori della zuppa; e si può infine visitare il museo con le foto in bianco e nero delle prime ascensioni sul Fuji e con la rassegna degli oggetti per esse usate, dalla valigia di vimini al cappello di paglia, dal sandalo di paglia di riso ai bastoni usati per il cammino. Era l’epoca delle tuniche bianche e dei kimono e non delle giacche a vento tecniche in goretex, questo è chiaro…

le prime ascensioni sul Fuji

Il sentiero più sacro

Sulla cima del vulcano arrivano tante vie che se ascoltiamo i dettami dello shintoismo possono essere descritte come “le vie degli spiriti” (questo il significato giapponese del nome) ma che in realtà sono sentieri in mezzo alla meravigliosa natura che circonda il Fuji. Il sentiero più sacro si chiama Yoshida e lo hanno tracciato monaci e asceti tanti secoli fa. E’ sempre stato un cammino di fede usato dai pellegrini ed è sempre stato vissuto come una profonda esperienza spirituale: il modo (il più terreno possibile) di raggiungere il Sole e le sfere celesti.
Attraverso dieci tratti, dieci stazioni, luoghi eletti al riposo, alla meditazione, alla contemplazione e alla devota preghiera. Anche dieci soste, per adagiarsi sotto umili capanne, prepararsi un thè, inginocchiarsi davanti a un tempio shintoista dove lasciare un foglietto volante con scritta una supplica, una evocazione, un desiderio. Meglio in primavera o a settembre, con l’aria ancora dolce, perché a luglio e agosto sulla vetta del Fuji si incontrano ingorghi di curiosi e di alpinisti improvvisati che ricordano – con le dovute proporzioni – quelli delle giornate più frequentate sulla via finale del Monte Everest.
Il traffico “emozionale” è creato da chi arriva alla quinta stazione, a metà percorso, con macchine e pulmini: in fondo si tratta di sole due ore e mezza da Tokyo e la voglia di “sfidare” la natura in un modo più facile nei tempi moderni si è fatta strada, perché da qui si galleggia già sopra qualche nuvola e si arriva in cima e in modo agevole in massimo 8 ore di cammino.

si galleggia già sopra qualche nuvola e si arriva in cima e in modo agevole in massimo 8 ore di cammino

Così all’altezza della quinta stazione, del quinto tratto di ascensione, sono cresciuti i negozi di souvenir, le spianate per i parcheggi e i ristoranti e gli alberghi, la calca dei selfie sui sentieri, tutto meno autentico, tutto purtroppo più consumabile. Ecco perché la vera ammirazione va a chi cammina solo, a chi si ferma, a chi guarda per ore un tramonto, a chi legge un libro di poesie, a chi si accontenta di vivere la montagna con la semplicità e la sacralità di un tempo, a chi vuole arrivare in cima per vedere sorgere il sole e per non mancare l’appuntamento personale con gli dèi. A chi preferisce dormire la notte prima dell’incontro coi sacri Kami in una capanna di legno sul tatami invece di urlare nei luna park nati alla base del vulcano per vederlo da una montagna russa a testa in giù! A chi ad uno o più dei 1300 Kami che dimorano sulle vette, nei boschi e nei torrenti vuole donare tutto il suo spirito, tutto il suo rispetto.

 1300 Kami che dimorano sulle vette, nei boschi e nei torrenti

La lezione Zen

Lungo lo Yoshida non va mai dimenticato il primo insegnamento della cultura zen e cioè che il cammino, il percorso, è più importante dell’arrivo e dell’apparente conquista di una meta. Coi principi di Buddha e col rispetto della natura la salita del Fuji lascerà la vista di una magnifica e delicata vetta d’argento ma lascerà soprattutto questo segno di un viaggio iniziatico. Che è la vera luce che riesce a diffondere in ogni cuore puro la sacra montagna.

il primo insegnamento della cultura zen e cioè che il cammino, il percorso, è più importante dell’arrivo

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