Saluto a Dingle
Oggi ci alziamo un po’ prima. Tagliamo la penisola passando per il panoramico Connor Pass, facendo una sosta nella lunga spiaggia di Brandon Bay che dalla sua punta guarda le Magharee Islands; poi sfioriamo appena Tralee, cittadina abbastanza normale che sale alle cronache ogni fine estate per l’elezione della “Rosa di Tralee”, la Miss di Bellezza locale. A Tralee c’è anche il parco acquatico più grande d’Irlanda ma non abbiamo il tempo o la voglia di andarci.

Se andavamo a Limerick
Lasciamo la contea di Kerry e arriviamo a Tarbet per attraversare in battello l’estuario del fiume Shannon fino a Killimer. L’alternativa sarebbe allungare di 150 Km passando per il villaggio tipico di Adare, coi tetti paglia, e per Limerick, la terza città d’Irlanda, città vera, grigia, operaia, con un bel castello adagiato sul fiume, dove sono cresciuti i Cranberries della povera Dolores O’Ryordan, dove Mc Court ha ambientato il potente romanzo “Le Ceneri di Angela”.
Preferiamo puntare verso nord seguendo la costa, di Limerick leggo a tutto “l’equipaggio” due bei ricordi di Vanessa Marenco che ne celebra i pub, tra i più autentici del paese (“qui incredibili quantità di pinte vengono alzate durante i festeggiamenti, legati a matrimoni, battesimi, comunioni ma soprattutto a funerali e vittorie di rugby”) e ne ricorda la cattedrale “dove si trovano dei biglietti con appesi dei sogni: “Vorrei che mio papà trovasse lavoro”, “Vorrei un nuovo inizio” “Vorrei che Lisa fosse in salute”. “Limerick con le sue bottiglie di latte alle porte, coi suoi nuvoloni e i suoi gabbiani – per citare un’ultima volta Heinrich Boll – la città più devota al mondo…la mattina tutti in chiesa e la sera nelle bettole, bettole e birra, rosari e bestemmie”.
Brividi in cima alle scogliere
La meta sospirata arriva nel primo pomeriggio: le scogliere di Moher costituiscono la meraviglia naturalistica dell’Irlanda occidentale.

Le celebri Cliffs sono protese nell’Atlantico come imponenti fortezze, 8 km di rocce buie divise tra strati scistosi, arenari e sedimentari che si trovano a picco sul mare e raggiungono a volte i 214 metri di altezza. Il loro nome deriva dal vecchio forte di Mothair.
Su tutta la baia il panorama dalla Torre di O’Brien – dal nome di un signorotto locale che la costruì per stupire le donne difronte a una delle viste più grandiose d’Europa – è di selvaggia bellezza e a volte arriva fino alle isole Aran. Si ammira il perfetto prato all’inglese (ma chi lo falcia??), il volo delle 35 specie di uccelli capitanati dalla sule, la pittoresca pulcinella di mare, si godono i tramonti se il meteo è clemente ma si vive soprattutto la sensazione di camminare sul vuoto e ai confini del mondo, con quel senso di solitudine e immensità che solo la “finis terrae” e l’Oceano con le sue distanze e i suoi abissi sa trasmettere. Da qui si spalancano i 5.000 km che separano l’Irlanda e l’America e qui il pensiero corre avventuroso e libero perché come il mare “non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare” (grazie per sempre Lucio Dalla).

Moher, davanti all’infinito
Le Cliffs of Moher che appaiono anche nel film di Harry Potter sono un capolavoro di roccia, regalano cromatismi diversi, burroni selvaggi, sentieri verso l’infinito, sono un posto dove l’umanità è superata da qualcosa di grande, un luogo dove la natura è sovrana, modellata soltanto dagli eroi, dalle leggende o dalla forza del mare e del vento.
“Le Moher sono un luogo dove il cuore ti deve entrare in tumulto – secondo il saggista Pasanisi – dove se credi in Dio è il momento giusto per trovarlo, dove bisogna inchinarsi alla maestosità della natura e dove ti senti come il viaggiatore di Caspar David Friedrich nel quadro dipinto davanti alla Montagna, come il filosofo di Holderlin davanti al vulcano… le scogliere sono l’idea mistica dell’ignoto che fa capolino”. “Ma attenzione… Perché? Perché qualcosa potrebbe rompere l’incanto – va detto – e questo rumoroso e bambinesco qualcosa sono le enormi folle di turisti (un milione l’anno…) che si accalcano sulle scogliere per le foto e i selfie (e l’oh collettivo alla Disneyland potrebbe spegnere l’oh privato di cui parla Baudelaire)”.
Perciò meglio passarci più ore, cogliere un eternal moment esclusivo, di quelli che descrive E.M Forster nei suoi romanzi di viaggio (“Camera con vista”, “Passaggio in India”), scegliersi un angolo privato, fermarsi a osservare, a respirare, non solo a scattare foto o a comprare souvenir.
Percorriamo tutti insieme il sentiero piastrellato di 600 metri che parte dal Centro Visitatori e offre la vista di bei prati fioriti e panorami nel blu.

Need to Talk?
I turisti più pazzi “sfruttano” le Moher per tentare audaci arrampicate o percorsi in mountain bike sull’abisso. Nei giorni di mare tranquillo si riesce a visitarle da sotto, con un giro in battello che ci raccontano pieno di stupore davanti alle pareti imponenti: ma non abbiamo questa fortuna. Sul ciglio di un burrone c’è un telefono con la scritta need to talk? per dissuadere eventuali suicidi dal loro proposito… Noi grandi, “leggermente allarmati” teniamo d’occhio le piccole perché non sarebbe una bella idea inciampare su qualche sentiero!


L’ultimo sguardo è sul lato nord delle Cliffs, con una spiaggia di sassi e una parete nera che donano al paesaggio un’aria primitiva. La nebbia cala e ci ingoia piano piano. Fa sparire tutto, anche le enormi pareti. Non so perché mi vengono in mente scene di assalti vikinghi.
La cena avviene nel piccolo villaggio di Doolin, una fila colorata di casette e di pub nella prateria, un posto molto amato in passato dagli hippies che lo elessero a meta ideale per i loro raduni, molto vicino alle Cliffs e primo porto di imbarco per le isole Aran, visibili già da una bella torre panoramica.
La musica e la birra di Doolin
Entriamo nell’istituzione locale, il Pub O’Connor’s, dove si sono esibiti tutti i grandi artisti della musica celtica e folk del paese e dove si esibiscono oggi con struggenti ballate i Russell, una famiglia locale. Tra ostriche di benvenuto, stinchi di maiale, zuppe calde, salsicce, montagne di patate e boccaloni di birra, ci abbandoniamo ai suoni, alle facce e ai ricordi di una delle notti più belle del viaggio. Netta sensazione che la gente tra panche, violini e boccali si conosca tutta, sia una vera comunità: ma forse è solo la magia d’Irlanda che dentro un pub rende tutti uguali.

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