Il primo sguardo
Ti aspetta in mezzo al mare e in mezzo alla notte. Possibilmente gli dedichi il primo sguardo dal ponte del traghetto preso la sera prima a Napoli perché è così che ti impressiona ancora di più, quando fra le tenebre e l’alba la nave arriva lentamente verso l’isola e scorgi la sua mole nera e severa emergere come un antico sortilegio dal fondo del Mediterraneo. Una terra remota, primitiva quasi, specie se dalla cima del grande cono nel cielo scuro si alzano gli zampilli di fuoco. E ti ricordano che forza ha la natura e quanto sei piccolo.
Ti accoglie con questa scena essenziale: il mare, il fuoco, la montagna, la terra, il vulcano. Le pendici quasi disabitate, percorse da scie di lava. Le spiagge nere, le scogliere dove sbattono le onde, le macchie bianche delle case del capoluogo, l’altro villaggio quasi nascosto all’occhio umano, col suo destino riparato e discreto. Ti accoglie coi suoi pochi abitanti rimasti qui, per fatalismo o necessità.

Ti emoziona con quella che sai essere la sua storia, il suo mito, fatto di eruzioni e di paesaggi incredibili, di riprese cinematografiche e grandi paure, di magma che ribolle, di mare che ruggisce.
L’isola di Iddu
Stromboli non è un’isola normale e mai potrà esserlo. E’ l’isola vulcanica più famosa dei nostri mari, un puntino nero perso nel blu, un prodigio del fuoco. Ci abita gente tenace, dura, abituata ai lunghi inverni isolati, alle invasioni estive di turisti che cercano la cima del vulcano, la foto da ricordare con l’eruzione, a volte molto pericolosa, colta in diretta.
E i pescatori, i marinai, i contadini, i vecchi e i giovani di Stromboli, quelli andati per il mondo in cerca di fortuna, il loro amato e temuto vulcano lo chiamano semplicemente “Iddu”, “Lui” in dialetto siciliano, lui con la sua immagine austera, le sue nuvole di fumo, la sua forza primordiale. Lui che incute rispetto e timore come un ombroso parente della stessa famiglia, ma che ispira anche preghiera e amore.
Lui che domina il mare, la notte, i destini di questo manipolo di fratelli isolani che hanno scelto di rimanere qui, a sentire il brivido continuo della natura, le scosse, il vento, a respirare quando capita la cenere, a fissare incantati lo spettacolo che ogni eruzione provoca con lapilli e blocchi litici che finiscono sulla “sciara del fuoco”.

A Stromboli almeno una volta nella vita ci devi assolutamente andare, i periodi migliori sono quelli di maggio-giugno e settembre-ottobre, quando le invasioni barbariche finiscono e la natura ritorna come sempre sovrana e ti sembra di entrare nel suo ventre.
Il mio ricordo è fortissimo, una specie di incantesimo, di scoperta prima, di viaggio alle origini. Arrivato con mio fratello e con due zaini appunto da Napoli, a fare a gara alle 4 di mattina a chi lo vedeva prima, nella foschia, nel mistero. Arrivato per salire la notte adatta sul vulcano, col meraviglioso chiaro di luna.
Arrivato per camminare sulle spiagge sassose e scure dell’isola, per le stradine deserte del borgo silenzioso, unici schiamazzi le risate dei bambini che giocavano a pallone in piazzetta, il suono delle campane, i polpi sbattuti dai pescatori sulle scogliere.


E lo sguardo sempre in su, verso la cima a 750 metri, verso Iddu, che incanta e che protegge, che brontola e che spaventa. Lo sguardo oltre i muretti a secco, i fichi d’india, gli ultimi grappoli di casette bianche, quelle col tipico palio eoliano, abbellite da opere d’arte in ossidiana, vasi colmi di fiori, raggiungibili a bordo di piccoli Ape, come quello cavalcato da Moretti in alcune scene di “Caro Diario”.

A Stromboli avviene qualcosa di raro, riesci a percepire meglio la nettezza e la profondità dei colori, capisci quanto il bianco sia bianco, il nero nero, come il rosso del fuoco spicchi nella notte, come il blu profondo del mare conservi chissà quali misteri geologici, come la terra bruna distilli saggezza.
Eolie di vento e di fuoco
Il bello delle Eolie è che sono isole di vento e di fuoco, ognuna con caratteristiche proprie e uniche: Lipari un buen retiro turistico con la cittadina più affollata e le spiagge bianche di pomice, Vulcano un santuario naturalistico con la sua caldera che sa perennemente di zolfo, Salina la verde con le sue alte montagne coperte di felci, Panarea quasi troppo mondana per essere vera, Alicudi e Filicudi le più lontane e remote, posti per pochi intenditori, per gli ultimi pescatori, per i quattro bambini che animano una classe elementare e per quegli artisti che vi cercano rifugio. E poi Stromboli, l’isola di Iddu, entità eterna e a tratti soprannaturale, Stromboli di terra, di acqua e di fuoco, un mare profondo fino a 700 metri sotto la sciara, un paesaggio tale che solo Lanzarote in tutta l’Europa me l’ha ricordata.


Lassù
Il ricordo più netto è quello delle albe e dei tramonti, quello delle lunghe nuotate e della pesca intorno allo scoglio sentinella di Strombolicchio, dei pomeriggi passati nel patio a leggere, a riposare, a guardare, anzi a sentire la natura.
E soprattutto l’emozione della scalata, che parte in genere, quasi a ingraziarsi qualche dio del fuoco, dalla poetica e screpolata chiesetta di San Vincenzo: un paio d’ore dietro una guida preparata e prudente, che ti indica le piante, gli strati più o meno recenti di lava, che segue lo stesso sentiero da anni, il sentiero che arriva al cospetto del grande vulcano. Dal 2002, anno dell’ultimo incredibile maremoto e degli enormi nuvoloni di vapore che oscuravano il cielo, fino alla Terrazza del Pizzo che guarda le bocche crateriche non si sale più, ci si ferma un po’ sotto, ad abbracciare con lo sguardo l’orizzonte. Poi ecco l’attesa, la notte, la speranza di vedere qualche stupefacente bagliore, di intuire tutta la potenza del magnifico vulcano sempre attivo.
La discesa è a sbalzi, tra pozze di cenere e sabbia, canneti fitti e profumi emanati da gialle macchie di ginestre ritorni giù col cuore colmo di gioia, perché la fatica è stata premiata da quello che hai visto. Iddu ti ha ospitato e ti ha lasciato andare, feroce e eppure lieve.

L’amore sotto il vulcano
A questo punto passi gli ultimi giorni a ciondolare sulla spiaggia nera di Ficogrande, ad accarezzare le barche tirate a secco, a immaginarti qui quanto sia lungo l’inverno e forte il mare.
Un’altra possibilità è quella di intuire che film e che storia d’amore sia stata quella vissuta da Roberto Rossellini e Ingrid Bergman nel lontano 1949 durante le riprese di “Stromboli, terra di Dio”. Mi piace pensare a una passione ispirata dal vulcano, a una sensualità inevitabile e… bollente!

Il destino di Ginostra
Ti resta Ginostra, appollaiata e dimenticata sul fianco nascosto del l’isola-vulcano, il villaggio col porto più piccolo del mondo, raggiungibile solo via mare o via trekking. Soprattutto donne anziane le poche rimaste, vedove perlopiù, o in attesa del ritorno dei mariti marinai e pescatori, donne che stendono le lenzuola al vento del mediterraneo, che coltivano un piccolo orto, preparano sughi e raccontano storie incredibili quando si lasciano avvicinare.
Ginostra è il posto alla fine del mondo, l’ululare delle onde e del vento. La solitudine cercata o voluta. La compagnia estrema della natura.
L’occhio va su una giovane famiglia siciliana, genitori giovani, figli piccoli, che inseguono due galline a piedi nudi, che sembrano felicissimi. Che hanno poco ma che forse hanno tutto. Degli asinelli vicino a loro fissano il mare.
La melanzana e il faro
Con mio fratello cerchiamo di celebrare l’appartenenza al luogo con un rituale simbolico, magari banale, perché già visto, già raccontato magistralmente nel finale del film “Mediterraneo”: il taglio di una melanzana, pietanza della sera. Cosa altro ci serve? Solo la speranza che questo angolo di paradiso non sprofondi mai nell’abisso per colpa di una eruzione definitiva. Che Stromboli così essenziale, così selvaggia, continui a restare per sempre col suo sbuffo di fumo bianco e con le sue bombe di lava il faro naturale più bello di tutto il Mediterraneo.
Plinio, duemila anni fa, già lo chiamava così.

L’ultima grande eruzione del 04/12/2022
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