La contea di Cork
Per dirigerci subito verso la suggestiva penisola del Beara sacrifichiamo la pittoresca cittadina di Kinsale, raccontata dalle guide come centro velico e marinaro, porto pittoresco che ispirò Swift nella scrittura de “I Viaggi di Gulliver” e oggi capitale gastronomica d’Irlanda con promontori abitati da tanti uccelli marini. A dire il vero saltiamo pure Youghal, cittadina dei merletti e location del “Moby Dick” di John Huston con Gregory Peck, sulla quale avevo letto che i suoi abitanti più vecchi si ricordano ancora le bevute dei due a fine riprese. Ma il Beara ci regalerà bellissime emozioni, ne siamo sicuri, e poi a volte l’itinerario lo decide l’istinto o una semplice curva che salti per seguire il volo di un gabbiano.

Baciata la pietra magica del Blarney Castle che secondo una millenaria tradizione dà il dono dell’eloquenza, attraversiamo lentamente i villaggi pittoreschi di Clonakilty, con le sue ampie spiagge e la sua musica tradizionale, città natale di Michael Collins, morto 31 enne per difendere l’indipendenza irlandese; poi Rosscarbery e Castletownsend che hanno l’aria di pacifici luoghi di vacanza circondati di verde e di azzurro. Su una spiaggia scelta a caso e invasa da maree che cambiano di continuo ci gustiamo un ottimo irish picnic open air!
Il rastrello
Fino a che arriviamo nella zona delle cinque penisole selvagge e bellissime che si allungano nel mare come le dita di una grande mano, quasi un gesto di apertura verso il nuovo mondo, quasi un ricordo delle mille partenze degli irlandesi che sfuggivano da guerre e carestie e disoccupazione verso l’America. Di queste cinque dita ne vedremo benissimo una.
Eccoci infatti alla prima vera meraviglia del viaggio, una lunga giornata dedicata ai paesaggi da favola della Penisola di Beara, percorribile col suo Ring: natura selvaggia e in balia degli elementi, stradine deserte (più i percorsi irlandesi sono improbabili, più regalano soddisfazioni e conquiste!), verde e mare dalle mille tonalità, gente autentica, laghetti, alture, porticcioli, circoli misteriosi di pietre, fattorie isolate, villaggi coloratissimi come Eyeries, atmosfere rarefatte che durano chilometri.
Silenzio, vento, greggi di pecore e la scoperta finale di Allihies, ex centro minerario e di pesca, dove ci sistemiamo in un BB che sembra la casetta di Biancaneve anche perché il suo giardino che guarda la baia luminosa al tramonto è popolato dai sette nani!

Una famiglia di Allihies
La proprietaria che l’indomani ci preparerà una colazione strepitosa con almeno 25 cose diverse ci racconta di come i suoi figli siano andati via, chi a Londra, chi a Dublino, a studiare e a cercare fortuna. Le loro foto sono appese in salotto, dove ci rilassiamo a sfogliare dei bellissimi libri fotografici sull’Irlanda. Uno in bianco e nero sull’Irlanda rurale è commovente.
Al mattino davanti al caffè lei ci racconta che invece ha scelto di rimanere qui, di vivere sempre qui, a due ore di curve dalla città più decente, da sola, col mare che da ottobre si ingrossa e fa paura a volte, il cielo grigio che sembra incombere sull’erba, le notti lunghe, il silenzio del nord, i pochi pescatori che sfidano l’Oceano, i contadini che riparano i cottages per la stagione estiva e le persiane che sbattono per le folate di vento tutto l’inverno. Parla piano e in modo poetico, il suo inverno ci sembra di viverlo.

Il sabato del villaggio
Ad Allihies capitano poche cose ma qui possiamo dire che entriamo davvero dentro l’Irlanda e dentro al viaggio. Intanto camminiamo per l’unica strada del villaggio con un grande senso di libertà addosso, scapigliati per il vento, il mare ruggisce lontano, i pochi abitanti ti salutano dalle semplici case e da dietro i muretti di pietra e capiamo subito che l’unica meta per tutti è il Pub rosso, O’Neill’s, che è di fronte al campo da basket che è di fronte ai prati che sono di fronte all’immenso Oceano Atlantico.

Prima ceniamo dentro il locale coi soliti pochi ma saporiti piatti – stasera c’era un colossale merluzzo fritto ricoperto di patate – poi ci sistemiamo sulle panche all’esterno avvolti nelle nostre giacche a vento, a gustare una birra dopo l’altra, a vedere come la luce dura tantissimo in questo sabato sera di un villaggio irlandese del Beara, a osservare commossi le nostre bambine che vanno a scambiare due sillabe di inglese con dei simpatici ragazzini locali, i padroni assoluti del parco giochi.
I monelli di Allihies hanno frezze bionde, guance rosse, occhi vivi, lentiggini sparse in quantità, sorrisi splendidi, maglioni in tweed, le immancabili biciclette al seguito, le scarpe da ginnastica sporche di fango e si sentono importanti a conoscere quattro bambine italiane che anche grazie a questo viaggio sono diventate delle ragazze e che oggi, a qualche anno di distanza, ricordano la serata di Allihies come uno dei momenti più emozionanti del loro Tour dell’Irlanda.
Perché i bambini sono così, aperti all’incontro con l’altro, pronti allo stupore per un paesaggio nuovo, un mare nuovo, un bambino straniero, una manciata di vocaboli sussurrati con un ditino in bocca per l’imbarazzo di farsi capire in un’altra lingua.

E ora accettate questa disgressione.
La scrittrice Vanessa Marenco si merita un sincero omaggio perché decanta questo posto nel suo libro “Racconti d’Irlanda”. Se siamo arrivati a scegliere di toccare Allihies è grazie a lei, grazie a queste impressioni, a queste frasi anche: “E’ un giretto alla fine del mondo…, stradine di campagne al cardiopalmo, segnaletica incerta, buche, mille tornanti e deviazioni e poi alla fine l’Oceano… a premiare il viaggiatore che arriva quasi alla punta estrema della penisola ci sono le venticinque case colorate di Allihies, interrotte soltanto da tre pub, una scuola, un ostello, un paio di chiese… In un posto così verrebbe automaticamente da pensare che lo stress, le guerre, le liti e i mal di pancia siano lontani… In realtà come mai ad Allihies ti rendi conto che la vita è reale proprio perché qui è basata su azioni e bisogni semplici. I bambini giocano ancora per strada, felici, facendo rotolare barili di legno, fino a che il sole non cade nell’oceano. Sembrano più leggeri, qui, forse proprio perché non sono costretti in mezzo alla paura… mentre molti miei coetanei di Belfast avranno come ricordo delle loro infanzie il suono dei proiettili sui muri questi bambini di Allihies avranno l’immensa fortuna di ricordare il vento che rimbalza sulla spiaggia, ricorderanno che calcolare il tempo in luoghi come questo è inutile perché bastano due mucche per bloccare una strada… Allihies è reale e semplice, camminando sulla spiaggia incontaminata ho la sensazione che la forza delle cose semplici riesca ad avere la meglio su tutto…”.

Dopo il mitico sabato sera al Pub O’Neill’s, un ritrovo di famiglia per i pochi abitanti di Allihies, tutti amici tra di loro, tutti persi dietro fragorosi e ripetuti brindisi, passiamo la mattinata a camminare sulla grande baia: il mare è freddo, la spiaggia è fredda, i turisti dai camper escono con due maglioni addosso, eppure i piccoli irlandesi giocano tra le onde e come sempre succede ai bambini liberi e curiosi alla fine si tuffano tra le risate. Ci salutano mentre partiamo, insieme a un volo di gabbiani. Le bambine tengono il viso attaccato al finestrino.
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