Welcome to Dingle
Verso sera, sulla favolosa spiaggia di Inch.
Questo è il benvenuto scenografico che ci regala la penisola di Dingle, una magica striscia di natura incontaminata che si protende nel mare per 50 km ed è un paesaggio verdissimo dominato da prati e pascoli e modellato dalla luce atlantica che rende a ogni ora del giorno i colori diversi.
A Dingle si passa dalle brumose e grigie atmosfere, a squarci di luce emozionanti e inattesi che si aprono sui mille sentieri ritratti nel film storico “La figlia di Ryan”: spesso in un attimo. E poi ci sono tanti ruderi, fattorie, paesini e soprattutto loro, gli abitanti di Dingle, molto legati alle loro tradizioni, costumi e cultura di chiara impronta celtica, apertissimi nell’accoglienza del turista straniero.
Dingle è una vera cartolina d’Irlanda. Forse uno dei suoi punti più belli, una bellezza a volte aspra e a volte dolce, e la variante credo che dipenda proprio dal sole! Dingle che a noi ispira i miti della libertà, della natura e dell’avventura.

Perdersi sui bohareens
La Penisola di Dingle è tutto quello che si è sempre pensato, letto, scritto o visto nei film della verde Irlanda. Tutto questo è racchiuso qui.
I mitici cieli d’Irlanda sono qui (e c’è un sito specializzato nelle foto dei cieli oltre che la canzone di Fiorella Mannoia a ricordarceli!), gli arcobaleni che si sciolgono nella pioggia pure e sui prati risaltano le capanne di pietra grigia, gli agnelli dalla bianca e morbida lana e gli splendidi puledri dal manto rosso e con le criniere al vento. Nei dintorni della punta della penisola si seguono a caso i bohareens, i sentieri tra i campi, per respirare lenti i ritmi della vita quotidiana.
Le atmosfere di Inch Beach

La prima meraviglia è appunto Inch Beach che si apre davanti a noi immensa, con promontori bassi, un’ampia baia che sfida l’oceano, una lunga spiaggia bianca di 6 km adatta ai surfisti, alle foto romantiche e alle passeggiate in riva al mare. Notiamo subito l’informalità dell’ambiente e anche del turismo, ci sono tanti camper, un ostello-pub che avevamo cercato di prenotare ma che è sempre pieno perché ha camere accoglienti e una buona cucina e una vista unica, ci sono tanti ragazzi con le mute e coi surf, cani, cavalli, bambini che corrono dietro gli aquiloni, tutti a loro modo felici di sentirsi la brezza marina sbattere addosso. Sarà l’effetto della luce, delle maree, della libertà ma prolunghiamo il momento a oltranza, fino al primo freddo della sera. Riflessi d’argento si spargono nell’aria.

La casa sul mare
Arriviamo poi al nostro alloggio, stavolta una casa di campagna vicino a Ventry Bay, sorpassata Dingle città che scopriremo domani. Come a Cork è una casa “senza padrone” e qui addirittura non lo conosceremo mai, lo sentiremo solo per messaggio: stesso schema di fiducia all’irlandese già vissuto a Cork, la chiave lasciata sotto lo zerbino, un bigliettino welcome to my farm, una grande cucina e un grande salone, le mucche che ci guardano oltre il giardino, quattro stanze spartane, il mare appena attraversata la strada, oltre l’unico pub del luogo.
Slea Head
La mattina comincia con la passeggiata sulla perfetta mezzaluna di Ventry Beach ma purtroppo il giorno designato al giro della penisola da un punto di vista meteo è il peggiore della vacanza: pioggia, nebbia, cielo grigio. Con queste tonalità e con qualche brivido di freddo visitiamo le rovine di pietra di Dunbeg Fort, alcune capanne di pietra risalenti all’anno mille e usate dai pastori come rifugi in giornate come questa. Però ci sono anche i classici lampi di luce irlandese che ci permettono brevi viste meravigliose sui prati e sulle baie, sulle scogliere e sulle spiagge. Davanti al promontorio di Slea Head, subito dopo una di quelle curve che possono esistere solo in Irlanda, si apre una scena incantata: pecore lanose ci aspettano letteralmente in posa sul prato in discesa, dietro di loro sabbia, mare, luce, la sagoma delle isole Blasket. Una cornice perfetta, un paesaggio naturale e selvaggio di grandissima suggestione.


Il molo più piccolo del mondo?
Dura poco però, i nuvoloni neri si addensano, riprende a piovere, il mare si ingrossa e con grande pena in fondo a un piccolo molo che è finito in mille cartoline per la sua fila di pecore che seguono il tortuoso tornante fino al mare, scopriamo che i collegamenti navali verso le Blasket sono sospesi. Qua mi prende uno di quei momenti di cui farei volentieri a meno, la “depressione” per un obiettivo sfumato del viaggio, la tristezza di non vedere le Blasket coi loro prati verdi brillante, le spiaggette disabitate nell’oceano, le foche e i cormorani che si buttano dalle scogliere. L’alternativa è d’obbligo: thè caldo a casa, una bella pastasciutta che ogni tanto ci vuole, riposino, letture. Col ticchettio della pioggia sui vetri.
Dingle città
Nel tardo pomeriggio il cielo si riapre e decidiamo di visitare il porticciolo colorato di Dingle. Dopo la pioggia c’è una calma quasi irreale, le case, le persone, le campane delle chiese, gli orti recintati, le vecchiette con le buste della spesa, i capannelli di ragazzi fuori a una buona gelateria e i pescatori che riparano le reti sembrano tutti avere la stessa consapevolezza: che qui la vita va presa con tranquillità.
A Dingle abbondano i gabbiani e i pescherecci, per questo si frequentano volentieri i suoi ristorantini sul molo, alternati alle case dalle facciate gialle, rosse e blu. Nei singing pubs spesso la serata finisce al suono di cornamuse e tamburi. Ovviamente ci cadiamo dentro ed è una bella serata.

In giro per la penisola
Altro giorno dedicato a Dingle, a zonzo per la penisola, stavolta sui litorali di Dunquin dove hanno girato “La figlia di Ryan” e lungo la strada costiera che porta a Ballyferriter che presenta le solite mille tonalità di verde e di azzurro. Da vedere fortini, chiesette e suggestivi monasteri tra fucsie e eriche: soprattutto l’oratorio in pietra di Gallarus, testimonianza di una fede cattolica che arriva indietro a tempi primitivi. Scegliamo una spiaggia e un molo a caso, ci portano gamberoni e salmoni e crudi a volontà, va bene così direi.

Quelli di Dingle
La gente del luogo non l’abbiamo conosciuta a fondo, privilegiando le tappe turistiche. Questo è un po’ un rimorso della vacanza, che con tempi più rilassati avrebbe permesso quegli approfondimenti che elevano la qualità di un viaggio. Abbiamo osservato però che le donne del luogo hanno capelli spesso rossi e lentiggini simpatiche, sguardi luminosi dove si alternano momenti di gioia e lampi di malinconia. Sono solo fugaci sensazioni raccolte ma ci è sembrato che abbiano la vita nei cuori, un carattere indomito e ardente, e che amino la musica dei violini come la schiuma e il sapore di una birra scura. Gli uomini sono per lo più contadini o pescatori, in passato ma purtroppo anche oggi molti sono abbastanza poveri o col fuoco ribelle nelle vene o con l’immagine perenne di un esilio, di una prossima emigrazione nella testa. Delle parole in più le abbiamo scambiate con un ragazzo di una fattoria che ci ha messo in braccio il suo agnellino.

In barca con Fungie
L’ultimo pomeriggio a Dingle decidiamo di guardarla dal mare, compiendo una piccola crociera su un peschereccio “dove paghi solo se vedi il delfino” – come recitano i poster locali.

Il delfino in questione è Fungie, una star del luogo, celebrata dagli abitanti del porto più bello d’Irlanda addirittura con una statua. E’ entrato nel Guiness dei Primati come il delfino solitario più longevo, ha accompagnato per 40 anni le gite nel golfo di Dingle, saltando fuori accanto alle barche per la gioia dei bambini e delle macchinette fotografiche. Puntuale, simpatico, abitudinario, una presenza rituale e – bisogna dirlo – anche un’ottima fonte di guadagno. Grazie anche a lui Dingle è diventata una famosa meta turistica, sono arrivati artisti che hanno aperto gallerie di quadri, sono arrivati chef che ti deliziano nei loro ristoranti. E tanti stranieri come noi. Fungie in un certo senso è diventato l’amico di tutti, l’eroe e l’icona della popolazione locale, l’esempio della vita selvaggia e marina che si fa addomesticare, come la volpe ne “Il Piccolo Principe” si direbbe o magari come i condor che volano nel canyon peruviano del Colca per gustarsi i bocconi di carne lasciati dai contadini in fondo alla valle?

P.S
Purtroppo da siti irlandesi scopriamo che nell’ottobre del 2020 Fungie non è più tornato a casa.
Ha lasciato il suo golfo per nuove avventure?
Ha accettato l’offerta di sgombri di quel villaggio rivale del Kerry di cui ho letto più di una volta?
Ha deciso di tornare alla vita selvatica?
O ha deciso di riposarsi per sempre nei flutti dell’oceano?

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