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I grandi reportages / Il viaggio verde

Il viaggio verde: Irlanda ti vivrò

Irlanda ti vivrò

L’attesa

Già sappiamo che andremo nell’isola verde, dei pub più socievoli che esistono, della musica celtica che crea atmosfere uniche, delle scogliere infinite, della pioggia anch’essa continua, dei muretti a secco, della genuina accoglienza, del rugby che è una religione, della religione qui portata e difesa da tante figure di santi come San Patrizio e San Colomba, di una tradizione rock infinita che ci ha regalato gli U2 con le loro struggenti ballate e pezzi pieni di energia positiva, Sinead O’Connor col suo stile ribelle, Enya con le sue sonorità new age che arrivano dagli spazi vergini del Donegal, The Chiftains, lo storico gruppo folk che ha saputo valorizzare come nessun altro tutti gli strumenti tradizionali, Van Morrison e il suo vocione soul cresciuto tra i drammi di Belfast, i Cranberries con il loro dream pop made in Limerick e la parabola dolente di Dolores O’Riordan…
Poi c’è l’Irlanda altrettanto gigantesca della letteratura, dei romanzi di Joyce basati sulle vie di Dublino e sulla rivoluzionaria tecnica del flusso di coscienza, delle poesie di Yeats che rappresentano un tuffo nella quiete della natura e del misticismo celtico, dei poemi anticonformisti e delle maschere di Oscar Wilde e dei drammi teatrali dell’assurdo di Shaw e Beckett…

l’Irlanda altrettanto gigantesca della letteratura

Purtroppo ci è arrivata spesso anche l’immagine dolente dei conflitti irrisolti tra cattolici e protestanti che ancora segnano la vita e i muri di Belfast e Londonderry nell’Ulster, magari solo attraverso canzoni come “Sunday Bloody Sunday” o “Love is Blindness” degli U2 o dai film impegnati con Daniel Day Lewis (“Nel nome del padre”, “The Boxer”, “Il mio piede sinistro”) e Liam Neeson (“Michael Collins”). O in quel piccolo capolavoro di dialogo tra le due parti che è “The Journey”.
Sempre dal cinema i grandi echi della cultura e della natura irlandese sono stati affidati a capolavori come “La figlia di Ryan” girato nei grandi pazi della penisola di Dingle, spazzati via dal vento e dal mare e ambientato ai tempi dei conflitti con gli inglesi; “Il Campo” che parla delle dura, umile e orgogliosa vita contadina del Connemara; “Un uomo tranquillo” con un insolito John Wayne, vero ritratto della provincia profonda della idilliaca contea di Mayo; “Barry Lindon” il film di Kubrick in costume girato a Kilkenny e “The Dead” basato sul racconto più potente e nostalgico di Joyce, dove la memoria esce fuori come un fiume in piena, sollecitata dalle note di un pianoforte. Ma il mio film preferito è probabilmente “The Commitments” di Alan Parker che ritrae a un ritmo travolgente sogni, speranze e malinconie di una giovane band dublinese negli slums a nord del fiume Liffey (vedi articolo a parte su “Il Grillo Viaggiante” nel Topic Cultura da viaggio). Inoltre l’Irlanda è stata la location di parecchie scene di “Braveheart”, di “Moby Dick”, fino al “Trono di Spade”, consegnando all’immaginario di noi tutti quelle vedute selvagge di oceano e brughiera, scogliere e colline…
Fino a qui gli echi culturali, molteplici appunto. Da ascoltare, leggere e guardare, per entrare meglio e se si vuole prima (o anche dopo) dentro l’anima di un paese.

dentro l’anima di un paese

Ma magari non sapevamo altre cose della “nostra” isola e dei suoi abitanti: che l’irlandese è il primo al mondo per consumo personale di pinte di birra, di whisky e anche di thè per fortuna (ho letto da qualche parte dalla gola di ogni irlandese ne passa tanto in un anno da poterci riempire una piccola piscina!!); non sapevamo che è il cittadino che probabilmente al mondo va di più al cinema; non sapevamo che da qui più che da ogni altra parte escono fuori sacerdoti e suore; o che ci sia il tasso di suicidi minori sulla terra perché tutto quel verde e quell’azzurro forse un senso di pace e serenità lo donano per davvero. Tutti primati che si imparano leggendo il “Diario d’Irlanda” dello scrittore tedesco Heinrich Boll, che ci ricorda anche una verità rara e preziosa: “il popolo irlandese non ha mai intrapreso guerre di conquista”, al massimo si è difeso, quindi la sua indole, il suo dna è pacifico, eccetto che per il terrorismo interno mosso da motivi politico-religiosi. L’unica piaga di una terra altrimenti innocente.

la famosa pioggia d’Irlanda

Sempre da Boll alcune definizioni sulla famosa pioggia d’Irlanda: “qui la pioggia è assoluta, grandiosa, terrificante, è una dimensione assoluta, è più tempo che maltempo, è acqua dura che cade e che si mischia al vento, è grigia come le acque della Liffey o dello Shannon; crea le pozzanghere dove finiscono sempre i giocattoli dei bambini che corrono all’aperto, non fa asciugare mai le migliaia di panni stesi, negli umili slums di Dublino come nelle più remote campagne; porta dentro i corpi in modo più evidente l’umidità dell’Oceano, trascina via le balle di fieno, fa nascere tanti fiori e tante erbe, fa restare volentieri vicino ai camini con un bicchiere in mano, fa tirar fuori la Bibbia e le candele, le carte da gioco e i ferri per filare la lana; prepara l’arrivo di arcobaleni unici al mondo…” Insomma tanti acquazzoni hanno i loro lati fascinosi ma speriamo che non piova sempre!! Per entrare meglio nel paesaggio e nell’atmosfera ecco un link alla ballata dei Modena City Ramblers, “In un giorno di pioggia”

Un’altra osservazione poetica di Boll sulla natura irlandese: “E’ impossibile dire com’è verde il verde di questi alberi e di questi prati, essi gettano ombre fredde nelle acque dei fiumi e la loro luce verde sembra arrivare al cielo… Il verde forma come una volta spaziale sull’isola”.

E’ impossibile dire com’è verde il verde di questi alberi e di questi prati

Secondo me è questa natura genuina, insieme allo spirito aperto della popolazione, ad aver comunque rubato il cuore di tanti viaggiatori e ad aver migliorato la vita di tante persone che hanno messo l’Irlanda nel cuore. Infatti nel mondo esistono città e anche castelli e abbazie più belle ma il paesaggio e i suoi abitanti meritano più di ogni altra cosa il viaggio. L’Irlanda è nella sua acqua e nel suo verde ed è percorsa da storie che vengono dalla terra e dal mare, dalla fantasia e dalla vita e la sua cultura musicale e letteraria fiorisce dappertutto perché la nazione è giovane, indipendente relativamente da poco tempo, con le sue energie creative migliori liberate in quella che è stata chiamata da più di un intellettuale o studioso di geopolitica “la stagione del rinascimento celtico”.
L’ospitalità poi in Irlanda rappresenta quasi qualcosa di sacro: “questa gente è capace di accogliere come pochi altri il viaggiatore perché ha conosciuto la povertà, la sofferenza, la guerra, l’emigrazione e le ha sapute superare e trasformare in accettazione, tolleranza, persino in grazia” (dal saggio di Fabrizio Pasanisi, “L’isola che scompare”). Quindi si incontrano persone oneste, semplici, dignitose, capaci di confrontarsi con l’altro e di dividere pane o birra con chiunque.

Ritrovarsi a viaggiare in un paese genuino e accogliente, in un’epoca permeata sempre più da divisioni e nazionalismi, non è affare da poco.

Ritrovarsi a viaggiare in un paese genuino e accogliente

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