
Aran’s Day!
Ti svegli con un’energia diversa quando sai che ti aspetta una giornata particolare e per noi scoprire la più grande isola delle Aran costituiva dall’inverno romano uno dei momenti più sentiti del viaggio.
Ci affascinava la sola idea di sentire l’aria fredda del mare, pedalare nel vento, avvistare le foche, fotografare i tetti di paglia, fermarci a parlare coi bambini liberi o coi vecchietti piegati dalle fatiche.
Ci piaceva l’immagine di guardare uno spaventoso burrone sdraiati sulla roccia, dalle rovine di un vecchio fortino. Ci si riempiva la testa di certe musiche irlandesi, di certi pub di legno scuro, di certe stradine che si perdevano nel verde.
E ora è giunto il momento di farlo.

Come balene spiaggiate
In 90 minuti dai docks di Galway (che una volta erano il porto della speranza e dell’emigrazione, quello più rivolto verso l’America…) o in 30 minuti dal porticciolo di Rossaveal (distante 25 km da Galway ma si risparmia poi un’ora di nave che può essere spesso mosso…) si raggiunge in battello l’arcipelago delle Isole Aran, che sembrano tre barche basse e grigie che nuotano nella baia di Galway, in estate a volte molto affollate di turisti che vanno lì per camminare nel vento tra il verde e il mare, vedere gli sterminati muretti di pietra e respirare l’antica e serena dignità celtica.
In queste oasi di pace, vita e lavoro passano senza fretta, le tradizioni si tengono vive con amore e tenacia e i pochi abitanti parlano ancora gaelico, vivono in casette bianche coi tetti di paglia, costruiscono ancora le curraghs, le tipiche imbarcazioni in tela catramata (“quei gusci neri e bislunghi, ritinti, impeciati, che visti a giacere sulle spiagge, dall’alto delle scogliere, stremati e riversi con le carene rivolte al cielo, somigliano a dorsi di cetacei morenti, sputati sulla terra dalla violenza cieca del mare” – definizione del bravissimo giornalista di “Airone” Massimo Jevolella) allevano le pecore, credono nelle storie di fate, indossano sandali in cuoio grezzo e producono i famosi maglioni in lana ecru, bianchi, caldi, pesanti, adatti al mare e al vento, venduti poi in tutto il paese.
Il segreto dei maglioni
Una curiosità su questi maglioni: nelle Aran, specie in passato, si intrecciavano come si intrecciavano le reti da pesca e ogni famiglia sceglieva una sua trama, perché se il corpo di un pescatore spariva in un naufragio e si ritrovava dopo molto tempo, il poveretto si riconosceva solo dal tipo di maglione indossato… Capite perché non potranno mai essere souvenir normali???

In bici o in calesse
Inishmore coi suoi 15 x 4 km di superficie è l’isola-capoluogo, una specie di gigantesca roccia calcarea galleggiante sul mare (“sdraiata sul mare come uno squalo” secondo Joyce – una risorgenza marina dell’altopiano del Burren secondo i geologi) che volendo si può visitare in bici o su un calesse trainato da un pony, tanto per entrambi i tour si parte dal capoluogo di Kilronan dove si può pranzare al Pub Wattys proprio al porticciolo.

Le Aran che scopriamo e respiriamo metro dopo metro, erba dopo erba, pietra dopo pietra, mantengono fino in fondo l’idea del luogo ultimo (pare che si senta spesso l’autista del pulmino che accompagna i turisti dire che la prossima fermata è Boston…), nonostante i flussi turistici negli ultimi anni siano di molto aumentati. Noi otto in grande allegria abbiamo preferito la soluzione della bici e la mia amica Alessandra ansimando in cima a una curva è stata la prima a vedere le teste delle foche salutarci dal gelido mare.


Dopo un pic-nic nella baia delle foche, un tentativo di bagno nella baia più calda e delle foto a un cimitero nel prato e a un campo di pallone e da rugby in rovina abbiamo proseguito verso le affascinanti rovine di Fort Dun Aengus.

Il fortino sull’oceano
Il sito è antichissimo, risalente forse addirittura al VII sec A.C, raggiungibile anche coi bus per i più pigri, tranne che nella scalata finale che è davvero emozionante perché sali su e piano piano si apre alla vista il panorama infinito e selvaggio dell’oceano. Mia moglie Lara come sempre è la più audace e mentre io seguo preoccupato i movimenti, le arrampicate e le corsette delle figlie a due passi dal precipizio, lei si apparecchia proprio sul ciglio dell’abisso e guarda giù, e ancora giù e ancora giù, dove ci sono solo uccelli che volano bassi sulle rocce, sugli scogli e sulle onde.
I pensieri che ti colgono tra i ruderi del fortino vanno a qualche saga celtica, a qualche sbarco o cerimonia di vikinghi: è un posto davvero rudimentale, isolato e freddo. Ma se ami il vento, il mare e la solitudine, almeno qualche volta, è sicuramente il tuo posto.


Chi rimane qui
Sulla via del ritorno osserviamo gli infiniti muretti a secco costruiti dalle mani pazienti dell’uomo per riparare dalle gelide folate di vento i pochi pezzi di terra coltivabili, sostiamo davanti ad altre capanne o croci celtiche buttate lì tra i prati e le onde. Gli appezzamenti agricoli hanno del miracoloso, la gente delle Aran è riuscita a coltivarvi le patate, che per molti sono le migliori del paese, concimandole con un misto di alghe marine, letame e sabbia.

Vita dura quella alle Aran, dove la quotidiana lotta contro l’inclemenza degli elementi fisici e atmosferici ancora assorbe le energie e le cure dell’uomo, come narrato ormai quasi 100 anni fa nel film documentario di Flaherty, “The Man of Aran”.
Più serena nella pausa finale al porto dove osserviamo i bambini locali impegnati in tuffi, partite a pallone e gare di acrobazia in bicicletta. Una nave arrugginita fa da quinta al loro spettacolo. Da un altro battello scendono i turisti che dormiranno qui: sono tanti, davvero. La sensazione è che questo posto in fondo al mondo ogni anno che passa diventi un po’ meno autentico, perché le isole si spopolano di abitanti e tradizioni, telai, pesca e danze mentre aumentano i BB, i pub e le bici in affitto per i turisti, vera e unica economia rimasta. Se si raggiunge anche Inishman, la seconda isoletta (la terza è davvero poco più di uno scoglio…), si possono visitare l’unica fabbrica di pullover e l’unico pub gestito dall’ex guardiano del faro. Il resto è solo mare, vento e malinconia. Paesaggio gratis per chi rimane a vivere qui.


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