Sulla tavola italiana non mancano mai del buon vino e manicaretti deliziosi, ma esistono anche eccellenze un po’ meno note eppure degne di essere raccontate e che non finiscono solo sotto i nostri denti!
…Oltretutto spesso le loro storie sono assolutamente avvincenti!

Il chinotto è tra questi: seguendo la sua storia si può quasi raccontare quella dell’Italia. Il chinotto è ed è stato una ricchezza del territorio, frutto di incroci, di migrazioni, di contaminazioni; già nell’Ottocento fu capace di dare vita ad una fiorente industria, poi è passato di moda fino quasi a scomparire.
Attenzione: non stiamo parlando solo della bibita scura che trovate al supermercato.
Questa pianta, considerata una mutazione dell’arancio amaro, probabilmente è originaria della Cina: da lì nel ‘500 venne importata in Liguria, dove attecchì particolarmente bene trovando un territorio propizio soprattutto tra Varazze e Finale Ligure.

A fine ‘800 ha vissuto uno dei periodi più fortunati… veniva esportato in Francia e in Inghilterra conservato nel Maraschino e servito nei caffè più modaioli, ma non solo era anche considerato una sorta di medicinale come fonte di vitamina C dai marinai che lo usavano per combattere lo scorbuto.
A molti anni di fortuna seguirono anni difficili: il chinotto è una pianta sempreverde ma ha bisogno di molte attenzioni e negli anni la coltivazione dei chinotti ha subito battute di arresto.
Una raccomandazione: i chinotti non si mangiano a morsi, anche perché molto amari.

Devono subire una particolare lavorazione che passa attraverso varie fasi: si passa dall’immersione in salamoia, alla pelatura a mano, poi di nuovo in salamoia e poi bolliti per diventare sciroppi variamente dolci…
È da questo sciroppo che deriva la bibita che conosciamo, ma con i chinotti si fanno anche saponi, creme, profumi, liquori, mieli e addirittura… birre!
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