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Cultura da Viaggio

La metafora dell’acqua in Siddharta

Un cercatore indiano

Il Siddharta di Hermann Hesse (che è anche il nome del giovane Buddha) si trova a vivere nell’India del VI sec. A.C, una terra di cercatori, “dove pare che gli uomini vengano al mondo con un dono particolare per la speculazione metafisica e la ricerca delle cause ultime”. Infatti il paese, già allora diviso in rigide caste, è “pullulante di predicatori, profeti, anacoreti, fachiri, monaci mendicanti e digiunatori solitari” che insoddisfatti del dispotismo sacerdotale dei bramini, interrogano affannati i testi sacri, hanno sete di dottrina e di assoluto (entrambe le citazioni sono di M. Mila, nella sua nota introduttiva a “Siddharta”).

Copertine dei libri Siddharta di E. Hesse

I sacrifici

Siddharta sarà il primo di questi cercatori, ma all’inizio del suo cammino abbraccia i miti dell’India arcaica, la religione paterna, l’ortodossia braminica.

i miti dell’India arcaica, la religione paterna, l’ortodossia braminica

Deve imparare che il mondo è dolore, che per superare il dolore deve congiungere la sua anima e il suo Io con le fonti dell’assoluto, ovvero l’universo e dio e che per sperare tanto bisogna essere perfetti con le preghiere e gli esercizi. Così Siddharta ascolta le parole dei saggi, impara a osservare, ad aspettare, a concentrarsi, a digiunare, a trattenere il respiro, a recitare la magica sillaba OM e inoltre compie bagni e sacre abluzioni, purificando così le colpe originarie dell’uomo. L’immagine sembra quella di tanti saggi, immobili e meditabondi bramini dell’India di oggi e in questa fase il fiume è ancora e solo acqua immota e fangosa, serve per i riti e i sacrifici, come il bosco di mango, come il terriccio dell’umile capanna dalla quale osserva scorrere il fiume.

Questa serie di prove, questa fase, nella storia del pensiero indiano corrisponde al primo nucleo dell’Induismo, il Vedismo, le cui speculazioni mistico-filosofiche, inni sacri e formule rituali, sono contenute nelle Upanishad, la parte finale dei “Testi della Selva”. Il figlio del bramino si ritira nella foresta, si fa monaco mendicante e coperto solo da qualche straccio allontana da sé il cibo e i piaceri. La sua pratica dello yoga diventa più severa, notti di pioggia lo gelano, giacigli di spine lo fanno sanguinare, Siddharta può essere airone e sciacallo, pietra e fiume, ma non riesce ad annullarsi, a sfuggire alla samsara, al circolo delle trasformazioni. Soffrire la fame, la sete e lo sfinimento fisico da sciamano non gli permette di ottenere la pace eterna. Forse è proprio questa angoscia che rende vuoto e lontano lo sguardo di molti santoni indiani, di quelli che vanno a predicare o a morire a Benares.

La dottrina di Buddha

insegna a superare il dolore con purezza di fede, volontà, linguaggio, azione

A questo punto Siddharta è raggiunto dalla leggenda del Buddha, da lontano era arrivato il suo messaggio consolatore, “era pervenuta la voce lentamente, a gocce, e ogni goccia grave di speranza, ogni goccia grave di dubbio”. E con l’amico Govinda decide di incamminarsi, per conoscere e ascoltare il famoso saggio e la sua dottrina. Sicuramente ne subisce il fascino, ammira i suoi movimenti lenti, quel suo lieve sorriso interiore, ma quella filosofia che insegna a superare il dolore con purezza di fede, volontà, linguaggio, azione, esistenza, applicazione, memoria e meditazione (le otto verità del discorso di Buddha a Benares), che suggerisce come meta il vuoto, la purezza spirituale e la coscienza cosmica, tutto sommato lo convince poco.

I sensi

Il “Suchende”, il cercatore di Hesse, vuole piuttosto raggiungere l’unione con l’anima del mondo, vuole arrivare alla liberazione dei sensi, esprimendoli tutti, sperimentandoli tutti. Nella sete di vivere non si immagina nessun peccato. E quando Govinda decide di diventare un discepolo del Sublime ecco che lui decide al contrario di rinunciare a tutti i maestri e di scoprire la saggezza nella vita, nell’amore, nei sensi, nei commerci, nel denaro e nei vizi.

Meglio andare dove lo porta il fiume e accettare di cadervi come una pietra.

scoprire la saggezza nella vita, nell’amore, nei sensi, nei commerci, nel denaro e nei vizi

Ora la vita di Siddharta evoca qualche atmosfera del “Libro dei pappagalli”, una sorta di “Decamerone” asiatico che ospita avventure, storie di sesso e gli umori di un’India ingenua e popolare. I nomi dei personaggi che il viandante incontra e dai quali eredita una saggezza di tipo terrestre e mondano non sono casuali: il nome della sensuale cortigiana Kamala viene da Kama “dio dell’amore” e con lei Siddharta scopre i giochi e le gioie del sesso, i bagni profumati e ogni vizio e piacere possibile; mentre il nome del mercante Kamaswami ha nel termine Swami il significato di “possidente”.

Il risveglio sul fiume

L’ultimo gradino di Siddharta nel cammino verso la conoscenza vede ancora protagonista il fiume. Dopo le stagioni dell’ascesi, dell’ozio, del vizio e del lusso, dopo la perdita del figlio ribelle, Siddharta ha bisogno della semplicità dell’acqua, del barcaiolo Vasudeva che gli illustra la sapienza del fiume, la pazienza del fiume e le sue storie:

Ad ascoltare mi ha insegnato il fiume e anche tu imparerai da lui…, lui sa tutto, il fiume, che è bene discendere, tendere verso il basso, cercare il profondo… Vedi, io non sono un sapiente… , no sono che un barcaiolo e il mio compito quello di portare gli uomini al di là del fiume; molti ne ho traghettati…, viaggiavano per denaro, affari, nozze, pellegrinaggi, e il fiume sbarrava loro il cammino. Alcuni invece hanno sentito la voce del fiume, l’hanno ascoltato, e il fiume è diventato loro sacro, come per me”.

il fiume sbarrava loro il cammino. Alcuni invece hanno sentito la voce del fiume, l’hanno ascoltato, e il fiume è diventato loro sacro, come per me

Dall’acqua proviene un richiamo misterioso, l’acqua evoca pensieri sull’infanzia e sulla morte, diventa la voce stessa della vita. Nell’acqua del fiume, nel silenzio della notte, è nascosta la verità e Siddharta decide di rimanere presso quel luogo sacro fino a quando lo coglie l’illuminazione: la consapevolezza che esiste solo il grande fluire. Che basta essere in cammino, senza sapere niente, senza volere niente. E con la liberazione dei sensi Siddharta arriva più in là di tutte le dottrine, i sacrifici, le parole, i riti, le preghiere, le esperienze. Per questo riesce a soddisfare la sua Sete, perché ha esplorato tutte le acque e ha scoperto di aver vissuto molte vite e di poter serbare molti ricordi.

L’esperienza del flusso è bella ed unica, Siddharta si sente inondare dal passato, da tutte le vite, da tutte le possibilità. Nel fluire del fiume ascolta le voci, rivede i volti del padre, del figlio, di Govinda, di Kamala e tutte queste cose si mescolavano insieme… “E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e tutto il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita… era OM, la perfezione”.

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