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Cultura da Viaggio

La musica che commosse L’Avana

Dall’album dei ricordi

Come se in un piccolo paese del nostro Appennino arrivasse un famoso fotografo per ritrarre i vecchietti impegnati nella finale del torneo di briscola al bar. Come se sul lungomare di un’isola del Meridione ci fosse una rimpatriata di arzilli anziani per una festa di ballo o per la partita di bocce decisiva. Come se da un album delle figurine Panini volessimo staccare quelle dei giocatori di 50 anni fa per rivederli in un match celebrativo. Come se degli ottuagenari allegri e in forma fossero lì a illuminare tutte queste scene coi loro sorrisi, a contarsi le rughe, a raccontarsi i ricordi. E a produrre una performance, sociale, sportiva, artistica. Soprattutto umana.

La musica che commosse L’Avana, una performance, sociale, sportiva, artistica. Soprattutto umana.

Rotta su Cuba

Spostiamoci a Cuba, fine anni ’90, quell’epoca in cui un gruppo di vecchie glorie della musica locale fu riunito insieme, nelle piazze affascinanti e nei vicoli con le mura screpolate dell’Avana Vecchia, nelle Casas de la Trova, i club dove con grande maestria si intonavano i canti popolari, si suonava il cembalo e la chitarra, alternandoli a gustose boccate di sigaro o bicchieri di ottimo rhum. Col senso dolcissimo di un’ultima grande esibizione, di un ultimo ciclo di indimenticabili concerti, malinconici e romantici insieme, incredibilmente pieni di vita. Alla fine della vita.

Avana Vecchia, nelle Casas de la Trova, i club dove con grande maestria si intonavano i canti popolari

Andiamoli a prendere

Fu questo il senso dell’operazione nostalgia voluta dal musicista americano Ry Cooder e dal regista tedesco Wim Wenders. Più o meno la coppia di artisti ragiono così: andiamoli a cercare, andiamoli a prendere nelle loro case e nelle loro strade questi super abuelos, questi fantastici nonnetti; loro che sapevano suonare, sapevano cantare, sapevano incantare ed emozionare il pubblico de La Isla Grande, si meritano l’omaggio del mondo, la passerella al Carnegie Hall di New York, una tardiva forma di riconoscenza, fama e ricchezza, gli applausi e i fiori. E gli occhi lucidi di tanti amanti di musica e di bellissime storie.

L’atto d’amore di Cooder e Wenders

Per Cooder già proveniente da esperimenti simili in Mali e in Vietnam “una cultura musicale riesci a capirla veramente solo recandoti sul luogo dove è ancora viva, il suo mistero si avvicina solo se si sta insieme ai musicisti e se ne condividono la vita e le esperienze… Ascoltavo la loro musica da anni ma non sapevo se fossero ancora vivi, cominciammo a chiedere in giro… Erano stati dimenticati ma erano felici di suonare e cantare… E’ per questo che mi sono preparato tutta la vita”.
Per Wenders “ti contagiava questa musica, malinconica e allegra in egual misura, scatenata e saggia. La ragione per fare questo film era dunque una sola: scoprire quali persone fossero in grado di fare tale musica”.
Il tocco, lo sguardo, la sensibilità messe in mostra ebbero pochi precedenti. Il disco che ne uscì vinse il Grammy Award nel 1997 come migliore interpretazione Tropical Latin e con 8 milioni di copie vendute è stato l’album cubano più popolare di sempre, mentre il film del 1999 è stato candidato agli Oscar come miglior documentario nel 2000 e le immagini e le voci lì ritratte hanno permesso ai vecchi musicisti cubani di diventare una leggenda.

La Banda

Rendiamo allora omaggio ai super abuelos, almeno ad alcuni di loro, a quelli più carismatici e più bravi, a quelli diventati icone di un’isola e di un’arte a 90 anni suonati. Erano una dozzina, tanti si erano ritirati dalle scene da tempo e nessuno di loro si sognava un gran finale del genere, da far battere il petto ai nipotini, da riempire di festa e lacrime i loro quartieri popolari. Ripresero trombe, pianoforti, spartiti, chitarre, passi di danza, insieme ai loro abiti di scena un po’ demodeè. E tra duetti improvvisati, musiche storiche, pathos meraviglioso e ballate struggenti come i loro ricordi, il miracolo si compì.
Si chiamarono “Buena Vista Social Club” in onore dello storico locale dell’Avana, il tempio dei musicisti neri del son, del bolero e del cha cha cha, dove così bene si suonavano le musiche della Cuba degli anni ’40 e ‘50. Il locale fu chiuso nel 1962 da Fidèl Castro perché considerato un retaggio della Cuba del dittatore Batista ma Castro non capì che quell’etnia, quei ritmi e quell’arte andavano piuttosto preservate, valorizzate e tramandate come un grande tesoro culturale della sua stessa isola. La musica e l’arte in genere non possono dipendere da un ragionamento politico. O rimanerne oscurate. Mai.

Il Compare

Compay Segundo, pseudonimo di Máximo Francisco Repilado Muñoz
*copyright

Compay Segundo, pseudonimo di Máximo Francisco Repilado Muñoz, nativo di Siboney, scomparso nel 2003, è stato un noto compositore, musicista e cantante cubano che per ironia del destino si beccò il soprannome di “seconda voce, secondo compare” nelle sue band precedenti all’apoteosi di Buena Vista. Dopo l’uscita del disco e del film, nonostante i novantatré anni suonati, riusciva anche a ballare e a rimanere un paio d’ore in piedi sul palco. Per scherzo dichiarava che tra un buon sigaro, una bella donna e una bottiglia di rhum voleva raggiungere l’età veneranda della nonna, morta a 116 anni! Non ci andò tanto lontano e lasciò al mondo della musica il suo sorriso contagioso, la sua andatura dinoccolata, il suo stile da gentiluomo antico e amante della vita allo stesso tempo. Era proprio vitale, leggero, scherzoso, il compagno di tutti, la memoria di tutti, perché “agli albori della cultura ispano -americana lui c’era” (Cooder).

Nel film Segundo è un fiume in piena e ci fa anche divertire in alcune sequenze extra musicali, per esempio quando indica il suo personalissimo rimedio alle sbornie in una zuppa nera di collo e di sangue di pollo mista a pezzetti d’aglio: “Così mi tengo in forma!” – confida a degli amici col suo vocione – mentre accompagnato su uno di quei macchinoni di cui L’Avana è piena va sulle tracce del vecchio Club. E poco più avanti nel film lancia l’ultima sfida: “Finchè avrò sangue nelle vene amerò le donne. Voglio il sesto figlio!”. Alla salute nonno Segundo! Ora che te sei andato quanto è bello rivederti ammiccare e abbracciare tutti gli altri sul palco.

Il Timido

Ibrahim Ferrer Planas
*copyright

Ibrahim Ferrer Planas di Santiago di Cuba, morto nel 2005, è stato il personaggio passato alla storia per la sua passeggiata nelle vie de L’Avana ritratta nella locandina del film e del disco. Di lui Cooder in una scena dice: “è arrivato dal nulla, come il Nat King Cole di Cuba”. Ferrer amava il son cubano e lo apprese letteralmente per strada perché sua madre morì quando lui era appena dodicenne e dovette diventare un musicista di strada per sopravvivere: “Da orfano mi sono dovuto lanciare nella vita… era dura, dovevi guadagnartela”.  Il suo sogno era però cantare il bolero e col Social Club lo realizzò, firmando alcuni dei pezzi più belli oltre che la chiusura poetica del film in una scena che fa tirare fuori i fazzoletti.
Persona dolce, timida, mansueta, era finito a fare il lustrascarpe e invece il destino gli permise di ritirare fuori la sua voce da ragazzino, con la quale conquistò il mondo a partire dalla notissima “Candela”. Fu anche un adepto della Santeria, quel misto di religioni tradizionali africane e di cattolicesimo che esprime il viscerale attaccamento alla cultura delle origini e alle credenze e ai riti più popolari. Fa tenerezza Ferrer quando raggiunto nella sua umile casa dell’Avana vecchia fa vedere i suoi doni all’altarino dedicato a Lazzaro: fiori, candele, una boccetta di profumo, un vasetto di miele e tanto perché il suo protettore gradisca anche un bicchierino di rhum… “se piace a me, piace anche a lui”!!
Era riservato il buon Ibrahim ma col successo conobbe benissimo sè stesso e i suoi colleghi cubani: “Siamo un popolo senza averi, siamo piccoli ma forti, abbiamo imparato a resistere sia al bene che al male… L’unica cosa che non voglio è morire, chi è lassù dovrebbe darmi più tempo per sfruttare tutto questo”. “Tutto questo” era quell’improvvisa, bellissima, commovente gloria. Quella nuova voglia di cantare e di vivere. Guardate il primo piano degli occhi di Ferrer alla fine del concerto di New York e capirete tutto.

Segundo e Ferrer, entrambi della zona di Santiago de Cuba, Santiago la nostalgica, l’africana, erano forse le due facce da film ma un grande contributo alla banda lo diedero anche molti altri.

Gli altri

Rubén González e Omara Portuondo
*copyright

Rubén González Fontanills veniva da Santa Clara, la città della battaglia decisiva di Che Guevara ai tempi della Rivoluzione Cubana. Anche lui come Compay Segundo è scomparso nel 2003 ed è stato un geniale pianista e chitarrista cubano, una delle personalità chiave del progetto Buena Vista. Nel film fa tenerezza per la sua camminata faticosa, per la sua artrite galoppante, per la scena dove racconta sotto un grande albero del suo innamoramento per il piano a soli sette anni e per quell’altra girata in una scuola di ballo e ginnastica in mezzo a bambine che tentano le loro giravolte al suono della sua musica. Agili vecchie mani al servizio di agili giovani ballerine: bellissimo.
Pío Leyva, pseudonimo di Wilfredo Pascual, se ne è andato invece come Ferrer nel 2005 e dopo aver cominciato col bongo a Siboney divenne un apprezzato cantante. Orlando Lopez era un musicista molto appassionato e sempre concentrato, veniva da una famiglia dove i bambini nascevano col contrabbasso.
Al flauto c’era una presenza elegante con i contorni del mito, quella di Richard Egues. E ancora il pianista Manuel “Puntillita” Licea che è ritratto in una bella scena in un patio della città vecchia quando perde a domino con l’amico Pìo Leyva. Più il chitarrista Manuel Galban. Più la magica tromba di Manuel Mirabal, più le congas di Ramos, i timbales di Valdes, gli incredibili virtuosismi al laud di Barbarito Torres di Matanzas, la chitarra di Eliades Ochoa, una vera gemma del son cubano più autentico, col suo cappellone da cow boy e il suo passato a chiedere elemosina suonando fuori i bordelli di Santiago.
Infine lei, l’unica donna del gruppo e l’unica oggi nel 2020 ancora vivente, novant’anni di nostalgia e di grazia, cantante di son e habanera, nata in un quartiere povero de L’Avana e a inizio carriera bravissima a sgambettare come ballerina nel mitico locale “Tropicana” della capitale: Omara Portuondo, detta anche l’Edith Piaff cubana. Giù il cappello, signori, sta cantando la storia di Cuba. Nel film il suo duetto “Silencio” con Ferrer che le asciuga le lacrime per esempio è da brividi ma i brividi di gioia li regala al suo popolo anche quando per le strade de L’Avana intona con una sconosciuta “Veinte Anos”.

la chitarra di Eliades Ochoa
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Un capolavoro espressionista

Un capolavoro espressionista
*copyright

Wenders è stato sempre capace di raccontare bellissime storie, sfumate nel sogno come “Il cielo sopra Berlino”, nei grandi paesaggi come “Paris, Texas” e anche nella dolcezza della musica locale, vedi il caso di “Lisbon Story” coi Madredeus. Ha inoltre saputo come pochi altri ritrarre paesaggi, artisti, stati d’animo, come nel meraviglioso “Il sale della Terra” dedicato ai viaggi e alle dolenti testimonianze fotografiche di carestie, guerre, esodi e povertà di Salgado. Col docu-film “Buena Vista Social Club” racconta l’epopea misera e gloriosa di artisti ormai dimenticati, scovati nella polvere del tempo, capaci però ancora di un grande acuto, di un ultimo passo capace di stupire. A Amsterdam come a New York, come in tanti altri teatri del mondo, in una tourneè che a ogni puntata trasudava di commozione, di talento e di umanità.

“Buena Vista Social Club” racconta l’epopea misera e gloriosa di artisti ormai dimenticati

Senza celebrazioni stucchevoli ma con uno stile sempre asciutto ed espressionista Wim Wenders testimonia il canto di un’epoca e crea delle leggende viventi, anche grazie agli sguardi, ai sorrisi e alle pose che inquadra. Quel gruppo di nonni grazie alla mano, all’occhio e al cuore del regista tedesco è diventato eterno e ha superato ogni frontiera della musica.
All’inizio Wenders sapeva poco di Cuba, giusto qualche romanticheria rivoluzionaria.
Ma se seppe girare questo film e donargli poesia dal primo all’ultimo minuto è stato proprio per il suo percorso di crescita e di consapevolezza compiuto a L’Avana: “… mano a mano che mi immergevo in quell’universo, iniziavo a capire che cosa c’era di unico nella sua musica: apparteneva alla città proprio come il suo odore. Come se fosse il suo sangue. Quel sound era una specie di distillato del luogo, come se in quelle canzoni il luogo avesse trovato un’altra forma di manifestarsi. Quegli anziani erano in grado di presentare la storia della loro città e del loro paese in una forma così pura e concentrata perché a differenza di altri non se n’erano mai andati in Messico, in Spagna o in Florida… Il loro senso di appartenenza a quel luogo e a nessun altro, questa assoluta identificazione che gli era costata anche parecchie privazioni e umiliazioni, tutto questo era contemporaneamente anche la loro forza, la cosa che ha permesso loro di sopravvivere. La musica commovente non viene dal nulla, vive anche di un senso del luogo. Ha bisogno di radici per nutrirsi, che siano ancorate alla Storia così come alle storie”.

Invito al viaggio

In un giorno assolato d’agosto che serve un mojito per rilassarvi un po’, in una sera più particolare delle altre quando vi viene voglia di rivedere delle foto che amate tanto, provate a rimettere sù il film o il vinile e l’anima semplice di Cuba riprenderà vita coi suoi ritmi languidi, con le sue case in rovina ma rese accettabili dai colori pastello, con le sue Cadillac lucenti, il Malecòn de l’Avana, i fumosi club musicali, la dignitosa povertà, i bambini mezzi nudi sui pattini, le bellezze mulatte, l’aria del mare, l’eco della storia, le frasi e gli eroi della rivoluzione. Sentirete quasi gli spruzzi delle onde sul lungomare, il rantolo dei vecchi bus privi di pezzi di ricambio, le voci dei mercati, di chi gioca a carte sui marciapiedi, di chi trasporta le banane e il cuore vi batterà forte davanti a tutta questa magnifica decadenza.

...i bambini mezzi nudi sui pattini, le bellezze mulatte, l’aria del mare

Per Lietta Tornabuoni che lo commentò su “La Stampa” “questo film è molto più di un documentario, è un pezzo di Cuba, di quei musicisti cubani, della musica in sé, portato sullo schermo, con un tocco registico unico. Wenders scruta ogni singola ruga, espressione, non solo della gente, ma anche dei luoghi e della musica. Splendido il finale”.

Il gran finale

Già il finale, quando il Buena Vista Social Club il 1 luglio del 1998 si esibisce al Carnegie Hall e sventola la bandiera cubana in faccia ai borghesi americani, quando il gruppo degli abuelos passeggia per le vie di New York, contenti come bambini dentro un Luna Park. I grattacieli e lo sguardo che si perde in verticale. Le mille luci che quasi stordiscono. Le vetrine piene di cose futili e il gioco a indovinare i pupazzi che ritraggono Marylin Monroe, Louis Armstrong, Ray Charles, oppure Nixon. La salita sull’Empire State Building per scorgere difronte le Torri Gemelle e in mezzo al mare la Statua della Libertà. E un dolcissimo Ibrahim Ferrer che vede la Grande Mela per la prima volta, che fotografa ogni cosa e che con un sorriso guarda la telecamera per sospirare “è tutto così bello, come non lo avrei mai immaginato”.

canzoni per il cuore e per la mente, realizzate da un gruppo di vecchi musicisti cubani che nulla sanno di classifiche e di successi

Un capolavoro musicale

Le 14 canzoni del film riportate nel fantastico disco (o viceversa…) oscillano tra l’allegria e la malinconia, il sentimento e la meraviglia, il ricordo nostalgico e l’allusione maliziosa. Per il critico musicale di “La Repubblica”, Ernesto Assante, sono “canzoni per il cuore e per la mente, realizzate da un gruppo di vecchi musicisti cubani che nulla sanno di classifiche e di successi ma che conosceva il segreto della musica meglio di chiunque altro”. Molto simpatico il ricordo di Assante che confessa che capì il valore assoluto del disco quando gli fu rubato più volte dalla sua scrivania!
Attenzione che non si tratta di testi alla Battisti o alla De Andrè, alla Dylan o alla Pink Floyd, sono in realtà semplici storielle, sulla campagna, sul lavoro, sulla spiaggia, sulla palma, sul corteggiamento, sull’innamoramento. A volte in sette minuti si colgono sette fiori, una camera da letto va a fuoco per una candela non spenta, il carretto va nel campo e torna dal campo, ovviamente col carretero stanco. Non succede altro. Ma in realtà succede tutto perché con quegli strumenti e quei nonnetti sanno raccontare la storia di un popolo.

L’Avana, nella nera e africana Santiago come nella colorata e coloniale Trinidad

L’isola musicale

Quasi tutti gli abuelos non ci sono più ma restano a Cuba i loro eredi, le generazioni nate con lo strumento in mano, col ritmo dentro, col canto nel cuore. Si esibiscono ovunque, con grazia, con amore, sulle candide spiagge o nelle vie decadenti de L’Avana, nella nera e africana Santiago come nella colorata e coloniale Trinidad. Nei club, nelle feste, nelle scuole, nelle piazze, nelle orchestre improvvisate, ritrovate, rimesse in piedi. Seguendo l’esempio del Buena Vista Social Club e lasciando nuove scie luminose nel futuro.

...lasciando nuove scie luminose nel futuro

E tutti insieme, vecchi e bambini, band e mulatte, sempre bravissimi e ispirati, sembrano nati per suonare e cantare, per rappresentare meglio di chiunque altro lo spirito cubano, i colori, i sentimenti e le nostalgie dell’isola. Sembrano dei giganti che spuntano nel loro meraviglioso paesaggio: proprio come le mogotes della magica valle di Vinales.

Hasta la vista Social Club!

Sembrano dei giganti che spuntano nel loro meraviglioso paesaggio: proprio come le mogotes della magica valle di Vinales.

PS: Per chi colpevolmente non avesse il disco a casa ecco degli estratti da You Tube:

*copyright

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