Un giorno a Olvera

Una breve deviazione a nord di Ronda ci porta in un posto da favola: Olvera.
Che spunta tutta bianca, lievemente appoggiata sulle aspre colline di ulivi argentati, di noci, di sugheri. Che ha le uniche macchie di un colore diverso ma sempre delicato, l’ocra, nella sua cattedrale e nella sua fortezza, nelle tegole dei tetti. Che ci devi restare delle ore per capire i suoi ritmi, la sua gente, i suoi giochi di luce e di ombre tra i vicoli e gli archi imbiancati di calce.
Olvera accecante, poetica, con le scene del ritorno dei contadini dai campi e dalle vigne, le bevute e le partite a carte nelle taverne e nelle piazze assolate, le vecchie con gli abiti scuri e i passi leggeri, i fiori che penzolano dai balconcini in ferro battuto, il silenzio del mezzogiorno, il pane condito del solo pregiatissimo olio.
Olvera che è fatta per perdersi un po’, o forse per ritrovarsi, uno dei luoghi più autentici della regione e ringrazio la scelta fortunata di averla inseguita alla fine di una strada piena di campi dorati, per il consiglio di alcune ragazze conosciute in un bar di Siviglia.
Riprendendo la strada di campagna verso Ronda le pause obbligate sono quelle a Alcalà del Valle col suo paesaggio di tombe preistoriche, valli e torrenti, e a Setenil de la Bodegas che presenta le sue osterie e le sue casette letteralmente aggrappate al costone roccioso, nelle Cuevas del Sol y de Sombra, dai nomi delle due vie più famose del pueblo che dipendono dalle ore di presenza della luce del sole.
Un giorno a Grazalema

Poco a ovest di Ronda, nascosto tra i monti, ecco il pueblo di Grazalema, piccolo, autentico, contadino, con le sue storie di terra, le sue processioni, le sue querce, il suo folklore e i suoi fantastici maiali che dopo una breve vita a mangiar ghiande selvatiche inevitabilmente finiscono esposti sotto forma di attraenti prosciutti. Chi arriva fino quassù qui sente il richiamo del pueblo e della montagna, perché ci troviamo nel pueblo più in montagna di tutti, circondato da una specie rara di conifere.
Jamon, queso payoyo y vino tinto, quante degustazioni per le stradine di Grazalema!
Spaparanzati sui tavolacci in legno delle osterie, circondati da amici andalusi trovati tra la piazza e la chiesa, la notte passata a tagliare prosciutto e a cantare. Alla fine un po’ a caso scegli la bottega dove compiere il peccato più grande e goloso, l’acquisto del celebre prosciutto spagnolo. Era un’estate da 40 gradi e il ritorno in Italia era previsto lentamente in treno: altri tempi, altri viaggi, viaggi accompagnati da un prosciutto nello scompartimento!! Che ridere, che aroma, che occasioni di dialogo con mezza Spagna su quel treno: tutti a guardare la zampetta che spuntava dal telo umido, tutti che volevano assaggiarla e io a difendere la leccornia e il mio ultimo debito con la magica terra andalusa!


Poco sopra Grazalema ecco spuntare uno dei borghi più pittoreschi, Zahara de la Sierra, che si affaccia su un lago e conserva tanti tesori tra le sue torri, le sue chiese, le sue fontane e i suoi castelli.
Verso il mare
Da qui la ruta de los pueblos blancos guarda verso est, verso la luce netta e abbagliante dell’Oceano Atlantico, il mare che sembra un’altra frontiera, quella che separa la penisola iberica dal nuovo mondo, dal miraggio inseguito da tanti navigatori e da tanti avventurieri.
Ci sono due ultime meraviglie ad aspettarci, Arcos e Jerez de la Frontera.
Arcos de la Frontera è un borgo pittoresco, sospeso su un altro burrone, con vicoli immacolati, silenzio poetico e tapas favolose. Ricco di opere d’arte e di scene di vita quotidiana, la cartolina di una Spagna minore e bellissima. Al tramonto i colori sono incredibili e l’atmosfera si fa davvero romantica.

Jerez de la Frontera emerge da paesaggi segnati dai vigneti, dalla terra e dal sole e rappresenta sicuramente uno dei pueblos blancos più famosi, patria dello Sherry e del Flamenco.
Spesso le due cose viaggiano insieme e il vino liquoroso, storpiato nella pronuncia da Jerez in Sherry dai pirati inglesi di Sir Francis Drake che nel lontano 1594 saccheggiarono migliaia di botti per portarle in patria, viene gustato nelle stesse bodegas e patios, nelle stesse taverne e piazze, dove si esibisce qualche ballerina o cantante di flamenco.
Ma oltre al profumo di mosto e alle melodie sensuali le vie e le campagne di Jerez spesso si animano dei bellissimi cavalli andalusi bianchi e grigi della più famosa scuola di equitazione del paese. Chi ha fortuna può ammirarli dentro l’arena coperta del Picadero nelle loro evoluzioni, famose per la grazia, l’eleganza e la docilità. “Sembra che ballino” ti dicono gli abitanti di Jerez e il rispetto per gli animali, i loro saltelli in aria e i loro cavalieri in costumi tipici del XVIII secolo da sempre è altissimo nel pueblo blanco.
Artisticamente a Jerez sono da ammirare la Collegiata del Salvador con una scenografica scalinata, la chiesa di San Dionisio in stile mudejar e la Casa Rinascimentale del Cabildo. Altre cantine da sogno si possono visitare nella vicina San Luca de Barrameda ma è meglio far guidare qualcuno sobrio al ritorno!
Cantine, corride anche, cavalli, chitarre: tutta l’atmosfera di Spagna si respira a Jerez e sembra appunto di essere in una terra di frontiera.


L’amore e il rispetto del paesaggio in un verso di Garcia Lorca
Il vino, la luce, l’arte, il silenzio, il mare. Siamo alla fine de la ruta, il volto forse più bello e più vero di tutta l’Andalusia. Negli occhi mi resteranno a lungo i contrasti tra i paesi bianchi e il cielo azzurro, le colline ocra, gli ulivi verdi e argento. Resta solo da aspettare la magia dell’oscurità per immergersi nello stesso sentimento espresso da Garcia Lorca: “quando scende sull’Andalusia, la notte cerca pianure perché vuole inginocchiarsi”. Sembra una preghiera tutta andalusa.
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