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Le Cinque Terre

Più terra che mare

Già il loro nome è estremamente evocativo: cinque terre, cinque aree naturali e umane, cinque realtà sospese tra la montagna e il mare con quel sostantivo, “terra”, che identifica fortemente l’appartenenza alla natura, il fascino semplice degli elementi, la vocazione forse più agricola che marinara, un destino di lavoro, di campi, di zolle, di fatica.

la vocazione forse più agricola che marinara, un destino di lavoro, di campi, di zolle, di fatica.

Un’orografia fragile e impervia

Le Cinque Terre della Riviera di Levante ligure sono un territorio ancora incontaminato che con le sue acque cristalline, i suoi panorami mozzafiato, le sue terrazze verdi e i suoi paesini tipici fa pensare a un angolo di paradiso, cresciuto come una meraviglia in un contesto orografico molto fragile, molto aspro, perché esposto agli agenti atmosferici, stretto tra le vette e le onde, coi borghi sistemati in fondo a gole rocciose, con le vie di comunicazione difficili o sempre sotto la minaccia di frane.

i suoi panorami mozzafiato

La grande armonia tra uomo e natura

Questo è uno dei posti del mondo dove l’uomo è riuscito davvero a dare il meglio di sé, tanto che il Parco Nazionale, Patrimonio naturale per l’Unesco dal 1997, viene definito antropizzato, creato e custodito non solo dalla natura, ma soprattutto dall’uomo. L’esempio di armonia qui è assai visibile e assai evidente: è stato l’uomo a sfruttare e a piegare ai suoi fini, ma senza invadenza, senza cemento, senza smottamenti, senza inquinamento, le bellezze selvagge di un ambiente naturale raro e spettacolare; è stato l’uomo a costruire con secoli di fatiche e sudore i terrazzamenti agricoli sui fianchi ripidi e scoscesi delle colline per poter coltivare meglio su queste strisce di terra, dette ciàn, le colture simbolo della vite e dell’olivo; è stato sempre l’uomo a innalzare ben 6.000 km lineari di muretti a secco (la circonferenza della terra!!) affinché le pietre riparassero a dovere le piante e gli orti dal vento e ne delimitassero i confini, gli appezzamenti, le proprietà: e i muretti e le terrazze sono con certezza il vero tratto identitario di questo paesaggio.
Altre opere umane sono state la canalizzazione delle acque, la costruzione dei sentieri da percorrere a mezza costa, tra cielo e mare, in perfetta sintonia con l’ambiente e nel rispetto delle biodiversità e della filiera agroalimentare; l’erezione dei casolari e dei primi nuclei abitativi, fuori dalle macchie, vicini ai vigneti, sempre col privilegio della vista azzurra all’orizzonte; oltre che la cura, il mantenimento e il consolidamento continuo di tutto questo grande lavoro. L’uomo le ha addomesticate le Cinque Terre.

La nascita dei borghi

I borghi delle Cinque Terre nella loro forma attuale sono nati quasi tutti nel Medioevo, quando gli abitanti della Val di Vara superarono le colline e si insediarono nei punti dove il mare entrava di più nella costa, formando piccoli golfi riparati. Ebbero coraggio a spostarsi sul mare anche perché le vittorie delle Repubbliche Marinare di Genova e Pisa avevano allontanato la minaccia musulmana. Inoltre queste popolazioni cercavano un clima migliore e la mitezza della costa era l’ideale per coltivare l’uva e le olive. Il primo destino dei paesi, a questo punto è facile immaginarlo, fu quello di borghi agricoli, non di pescatori, anche se poi col tempo il mare chiamava e allora le barche, la pesca, il turismo, diventarono pian piano più familiari. Sui paesini svettano ancora resti di torri, mura e castelli, tutti posti a loro difesa, e nei secoli medievali ogni fuoco notturno acceso sopra di essi significava il pericoloso avvicinarsi di una nave di pirati.

La nascita dei borghi

Lo sviluppo turistico

Col tempo, con la modernità, col progresso, i paesaggi tanto cari a Eugenio Montale, Premio Nobel per la letteratura nel 1975, si sono trasformati nel luogo dell’anima non soltanto suo ma di tanti turisti ammirati dalla quiete verde e azzurra, dal silenzio e dalla luce. E così la terra di orti e limoni, di lente passeggiate sulle mulattiere, è diventata anche quella delle gite in barca, del turismo balneare, enogastronomico, sportivo e d’avventura. Di amanti del trekking, della mountain bike, dei fondali subacquei. Grazie ai suoi sapori eccellenti, allo sfruttamento intelligente delle poche spiagge e dei porticcioli incastrati tra le nere scogliere, grazie anche all’eco procurato da poeti e pittori o dalla sempre amata cultura del vino, fiorita con grande successo tra l’odore della salsedine e quello del mosto. Il pittore Birolli coniò in questo senso un’espressione felice: “Chi va a pesce è lo stesso che sale alle vigne”.

La cultura del vino

Quella del vino nelle Cinque Terre è una cultura antica, su queste colline la vendemmia è sempre stata una ragione di vita, oltre che una forma di lavoro ardua e tenace. Già i romani sbarcavano a Vernazza per fare il carico della Vernaccia, il vino locale amato anche da Boccaccio; lo stesso Petrarca cantava nei suoi versi questi vigneti illuminati; negli scavi di Pompei sono state ritrovate anfore vinarie con la scritta Cornelia, a significare che venivano dal paesino arroccato di Corniglia; il borgo di Manarola ha prodotto nei secoli lo squisito passito da meditazione, lo Sciacchetrà, con le uve di Bosco, Albarola e Vermentino, quel passito dal colore giallo ambrato, molto alcolico (17 gradi), perfetto dopo cinque anni di invecchiamento e citato da Gabriele D’Annunzio come “profondamente sensuale” e da Giosuè Carducci come “l’essenza di tutte le ebbrezze dionisiache”. I vignaioli con le loro mani forti nel tempo hanno resistito, alla terra aspra, al vento, all’aria del mare, hanno tirato su filari e filari di viti in condizioni difficili, ma sono stati ripagati dal vino bianco doc Cinque Terre, conosciuto ovunque, e da viste uniche al mondo, da sguardi verticali belli come pochi altri, sui delfini per esempio! I delfini mentre si coglie l’uva, esiste un altrove del genere?

su queste colline la vendemmia è sempre stata una ragione di vita

Vietata la macchina

Per scoprire fino in fondo questa costa frastagliata e poetica dimenticate però la macchina, lasciatela proprio a LaSpezia o dall’altro lato, scegliete un turismo rispettoso, verde, lento, arrivate ai borghi col treno espresso o coi bus elettrici, e poi proseguite a piedi, sugli splendidi percorsi segnalati in bianco e rosso dal CAI. E in estate anche con le barche via mare.

I tre sentieri per il trekking

Il Sentiero Cai numero 1 è la cosiddetta Via Alta, l’antica mulattiera che percorre il crinale che separa il litorale dalla Valle retrostante. Qui ci si sente davvero tra cielo e mare, si incrocia il volo del falco, si possono scorgere tassi, volpi, ghiri, cinghiali, vipere e parecchi serpentelli, e si può scendere con piccole vie ricavate nel bosco fino ai singoli paesi.
Poi c’è il Sentiero dei Santuari mariani a mezza costa, cinque chiese per cinque borghi, piccole vie crucis percorse da abitanti e fedeli, simboli autentici della spiritualità del luogo, sparsi tra le centenarie querce da sughero e i carismatici e ombrosi castagni.

Poi c’è il Sentiero dei Santuari mariani a mezza costa, cinque chiese per cinque borghi

Ma il più famoso è il Sentiero Cai numero 2, quello Azzurro, che include la Via dell’Amore, il tratto meraviglioso ma purtroppo per ora inagibile a causa di una frana del 2012, tra Riomaggiore e Manarola. Tale sentiero è in parte percorribile altrove (tra poco vediamo il dettaglio) e ha il grande privilegio di guardare in faccia il mare. Qui si ammira la macchia mediterranea e i pini marittimi e diventa un gioco meraviglioso indovinare solo dal profumo tutte le piante selvatiche aromatiche come l’alloro e il rosmarino, l’origano e il timo, il finocchietto di mare e il cappero che quando incontrano la pasta, l’olio, il pane e il pesce ligure fanno la differenza.

il tratto meraviglioso ma purtroppo per ora inagibile

Un trionfo di flora e fauna

Nell’ habitat naturalistico delle Cinque Terre esiste addirittura un decimo della flora italiana, circa 620 specie!! La fauna invece popola i diversi ambienti che sono il mare, le rupi, il bosco, la macchia, i torrenti. Ecco quindi anche i gabbiani, le rane, le salamandre, le donnole e nel blu tanti crostacei, cozze, cernie e orate, saraghi e totani, i polpi e ovviamente le seppie cantate da Montale. Nei limpidi fondali riesce a riprodursi anche il cavalluccio marino insieme a una grande varietà di posidonie e di spugne.

Il giro dei borghi

Il giro dei borghi, quasi tutti nati intorno al XII secolo, ovviamente è un’esperienza da compiere per intero. Essi come scriveva Montale si scoprono “a guizzi, a spicchi, a frammenti fulminei e abbaglianti”, spesso segnalati da una vecchia torre o castro difensivo o da un campanile di una chiesa, quelle “chiese di Liguria, disposte come navi pronte ad esser varate …” stavolta usando la felice espressione del poeta Vincenzo Cardarelli.

scriveva Montale si scoprono “a guizzi, a spicchi, a frammenti fulminei

Riomaggiore, il paese verticale

Il suo nome deriva dall’omonimo torrente e segna il confine orientale delle Cinque Terre. Per molti visitatori rappresenta quindi il benvenuto a questo benedetto spicchio di Liguria. Ha una delle poche spiagge della Riviera ed è caratterizzato dalle tipiche case-torri genovesi, colorate di rosso, rosa, ocra, giallo, costruite in verticale a seguire il ripido corso di un torrente e le balze della collina. In più con le scalinate strette, i vicoli magici, la chiesa di San Giovanni Battista, i resti di un castello, le barche di legno tirate a secco nel minuscolo porticciolo, incanta come fosse un’opera d’arte.
Da Riomaggiore comincia la Via dell’Amore che arriva a Manarola, un percorso meraviglioso nella natura, gli sguardi continui sull’azzurro e sul verde, sul mare e sulle viti. Purtroppo al momento interdetta per una frana cui si sta cercando di porre riparo. Per l’insieme dei suoi paesaggi colorati e naturali il paesino fu uno dei soggetti preferiti per i quadri della corrente artistica dei macchiaioli nell’800, capeggiata da Telemaco Signorini. Poco fuori il borgo si cammina fino al Capo Montenero, vero paradiso del bird watching, pieno di luce, panorami, quasi a contrastare l’oscurità dei carrugi del centro storico, tagliati solo dalle lame di luce del sole che vi filtra.

Riomaggiore, il paese verticale

Manarola dolce come il suo passito

In questo caso il nome del paese deriva dalla grande ruota del mulino a acqua, ancora visibile lungo la strada. Manarola è un francobollo di casette colorate su uno splendido mare che sembrano quasi nascere dalle scogliere nere, circondate da vigneti e olivi. Durante il dominio genovese era questo il borgo che produceva più olio e più vino, specie lo squisito passito, composto da uve lasciate a seccare dopo la vendemmia sulle cassole, le terrazze delle case.
Non ha la fortuna di una spiaggia ma le acque limpide sotto l’abitato permettono comunque dei tuffi rigeneranti. La preziosità di Manarola sta soprattutto nella sua ubicazione, si trova in una gola che scende verso il mare, incastrato come un gioiello tra due speroni rocciosi. Da non perdere il suo Belvedere, un giro tra le case disposte a chiocciola attorno al porticciolo, la Chiesa di San Lorenzo col suo rosone, la Festa dei Pittori di giugno e il Presepe luminoso sul Colle Tre Croci con 20.000 luci e 300 personaggi dall’Immacolata fino all’Epifania.

Corniglia, la differente

La terza terra è l’unica non bagnata dal mare, si trova circa 100 metri più in alto, è quindi uno scenografico borgo situato su una scogliera e non si dimenticano facilmente le 33 rampe e i 377 gradini della scalinata Lardarina per raggiungere il centro storico coi balconcini e le finestre da cui spunta sempre un fiore o una pianta di basilico.
Anche qui presenti alcune chiese, la piazza di Largo Taragio che è il cuore pulsante del paese che come gli altri mette in mostra una vita semplice, tanti profumi di erbe e cucine, tante vedute, e il suo grappolo di casette colorate e poetiche.
Corniglia ha un carattere particolare. Infatti di tutti è il borgo più campagnolo, col profilo non diretto sul mare ma sui campi, qui si trovano gli orti e i terrazzamenti più importanti. La sua vocazione è quindi soprattutto nella terra, ha un’atmosfera differente, per esempio le case non sono torri verticali ma basse e larghe e seguono un’andatura a nastro. Da visitare almeno la Chiesa di San Pietro, un bellissimo esempio di gotico ligure e con un rosone in marmo bianco di Carrara.
Da qui torna agibile il Sentiero Azzurro, panoramico tra le vette e il mare, che la unisce a Vernazza dopo 3 km di boschi. Notevole anche la vista sul mare dall’Oratorio dei Disciplinati. Per andare giù al mare si sceglie lo Spiaggione, spesso inagibile per le maree, la Spiaggia della Marina o quella di Guvano, la preferita da hippies e naturisti, forse la più bella del Parco Nazionale.

Corniglia, la differente si trova circa 100 metri più in alto del mare

Vernazza, la poetica

Un borgo affascinante, raccolto, in posizione maestosa, con ruderi di torri e castelli a ricordare i tempi della coraggiosa difesa delle incursioni saracene. Vanta una lunga tradizione marinara, storie di naviganti e di condottieri. Forse delle Cinque Terre è quella più famosa, è il borgo più visitato, una tavolozza di colori intorno al porticciolo, le vie ripide in salita, i panni stesi, le scalinate, la piazzetta che i suoi abitanti simpaticamente chiamano “l’angolo delle chiacchiere”, il bar, il vino, le carte.

Vernazza è l’essenza stessa delle Cinque Terre, si trova in una delle insenature naturali più belle d’Italia e la sua piccola spiaggia si apre vicino al porto e tra le scoscese scogliere dei dintorni. L’arrivo più bello a Vernazza è quello dal mare, appare come un anfiteatro ed è raccolta intorno alla sua piazza pittoresca dove sorge anche la stupenda Chiesa di Santa Margherita di Antiochia, lambita spesso dalle onde del mare. Schiuma, colori, preghiere, odori, gente tranquilla, ritmi di vita placidi. Sopra la sorvegliano i resti del Castello Doria.
Era un paese importante già nel Medioevo, lo testimonia la presenza di logge, di case-torri, di porticati e del chiostro del convento dei frati. Da qui parte l’ultimo tratto del Sentiero Azzurro che in un paesaggio di uliveti e vigneti, torrenti e casolari, raggiunge la meta finale di Monterosso.
Se Vernazza si saluta di sera, meglio ancora se dopo una cena a base di acciughe sotto sale, torte di verdure e pesce locale portato in giornata dalle barche e servito coi fiori di zucca fritti, vengono in mente i versi di Montale: “Dal porto di Vernazza le luci erano a tratti scancellate, dal crescere dell’onde invisibili al fondo della notte”.

Vernazza, la poetica

Monterosso e il ricordo di Montale

A Monterosso tocca il finale, il commiato dalle Cinque Terre o al contrario l’inizio del percorso. E’ il paese più occidentale e più popoloso, perché più facile, più in piano, con più vie di comunicazione e quindi più commerci. Il Borgo Vecchio, variopinto e medievale, è separato dalla collina di San Cristoforo dalla zona più moderna e turistica della Spiaggia della Fegina, in ghiaia sottile. Qui ci sono alberghi, stabilimenti, bar, locali, in genere ci si ferma chi vuole godere della vacanza balneare più classica. Tra le sue principali attrazioni sicuramente il Castello dei Fieschi, il Convento dei Cappuccini che domina il paese e tutte le Cinque Terre dall’alto e la Chiesa di San Francesco con la Crocifissione attribuita al pittore fiammingo Van Dyck. E poi la villa liberty dove soggiornò per venti anni nelle sue vacanze il poeta Montale: quella che il poeta chiamava “la pagoda giallognola”, “la casa delle due palme” oggi però non è visitabile perché trattasi di una proprietà privata.

Monterosso e il ricordo di Montale

Montale rimase incantato da tutto il paesaggio delle Cinque Terre, specie dai panorami di Punta Mesco, dalle terrazze coi limoni e gli orti, dalle barche colorate, dai muretti di pietra. Nei suoi versi ci invita a percorrere “…le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni” che profumano ancora tutto il paesaggio.

Una manifestazione famosa di Monterosso è la sua Festa Medievale di fine agosto con spettacoli, musiche e figuranti. Ma il saluto alla Cinque Terre è più giusto darlo col Parco Letterario dedicato all’autore della raccolta di poesie “Ossi di seppia”, un titolo che per Montale esprimeva e simboleggiava benissimo l’allontanamento dell’uomo dalla felicità della giovinezza, per essere rilasciato, con la sua vita adulta ormai inaridita, dalle onde del mare sulla spiaggia come l’endoscheletro delle seppie. “Oh allora sballottati come l’osso di seppia, dalle ondate svanire a poco a poco; diventare un albero rugoso o una pietra levigata dal mare; nei colori fondersi coi tramonti…”

Una poesia essenziale e minimalista, come questo tratto del paesaggio ligure che per Montale divenne rifugio ma anche “imprigionamento nel cosmo”, una fuga consapevole nell’introversione. “Ossi di seppia” resta il suo canto alle Cinque Terre: “non so se avrà successo ma è un libro d’amore per la mia terra, un libro d’amore per Monterosso”: ci invita a rimanere lì, tra sentieri e percorsi culturali e contemplativi, la natura, le piante e la lettura dei versi, a osservare e godere di quel “Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi […]”

Finale musicale

“Ombre di facce, facce di marinai, da dove venite, dov’è che andate, da un posto dove la luna si mostra nuda… padrone della corda marcia d’acqua e di sale, che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare” : questi i versi di Fabrizio De Andrè in “Creuza de Ma”, la canzone in dialetto genovese che vogliamo ascoltare alla fine di questo piccolo ma intenso viaggio, per vederci non solo l’omaggio dei bui vicoli del porto di Genova ma anche l’elegia delle mulattiere che vanno verso il mare in questo straordinario paesaggio.

le cinque terre

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