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Storie dal mondo

Le statue nascoste di budapest

Le vecchie glorie di Budapest

(ispirato da “Geografia delle statue cadenti” – vedi topic “Storie dal Mondo”)

Li hanno nascosti, tenuti lontano da tutto. Mandati via dalla città, come si fa dalle classi con gli studenti irrequieti. Riuniti tutti insieme, fuori dal raccordo, come i parìa, lungo una strada trafficata. Non vedono più parate di soldati, ma automobili in fila. Non sentono fanfare militaresche e marce trionfali, ma un coro dissonante di clacson. Sono neri, in bronzo o in pietra, o di metallo brillante. Vengono dal passato. Sono tutti i monumenti simbolo del regime comunista, innalzati a lode e gloria dell’Unione Sovietica, nelle piazze più importanti, nelle vie più larghe, nei punti più strategici di Budapest.
Ora stanno lontano, in periferia, in esilio. Parecchio lontano dal Ponte delle Catene che domina ancora pieno di gloria il lento corso del Danubio.

 Parecchio lontano dal Ponte delle Catene che domina ancora pieno di gloria il lento corso del Danubio

Alla fine degli anni Ottanta, dopo la cacciata dell’Armata Rossa, ci fu un dibattito aspro: che farne?

Le statue distrutte o oltraggiate

Due le posizioni più frequenti. La prima era la soluzione adottata dai paesi baltici e da qualche paese dell’Asia Centrale, come il Tajikistan, dove è difficile trovare simboli ufficiali del regime: distruzione completa è stata l’unica parola d’ordine. In Lituania un parco simile fu costruito da un privato. In Lettonia restano monumenti singoli.
La seconda soluzione pensata per le statue fu invece quella di usarle ironicamente, per sbeffeggiare un passato che non si sarebbe potuto (né dovuto) dimenticare. L’offendere i giganti di bronzo, usati come in un luna park, avrebbe forse reso il dolore più lieve. Come nel caso di Sofia, capitale bulgara, dove i militari di un monumento raffigurante l’Armata Rossa sono stati dipinti con i colori di Superman e Babbo Natale.

Il parco della memoria

In Ungheria (e chissà se Orban oggi ci ripensa…) si scelse, come spesso accade, una terza via, a mio avviso la più saggia. Le statue non furono né distrutte né offese, ma rimosse e raccolte altrove, in un parco della memoria, per non oltraggiare né cancellare il passato, ma ricordarlo. E per riuscire, forse, a comprenderlo meglio. Non a caso questo parco della bellissima Budapest si chiama Memento.

Non a caso questo parco della bellissima Budapest si chiama Memento.

Qui si ricorda sì, ma non come nella Casa del Terrore che si può visitare in piena Pest, dove vengono rammentati solo i crimini comunisti lasciando nel dimenticatoio quelli del decennio precedente e delle Croci Frecciate di destra. Qui lo si fa in maniera più moderna, meno faziosa, e tale scelta spinge alla riflessione. Anche se diversi simboli fanno pensare, su tutti il muro di mattoni in fondo al complesso contro cui va a sbattere la via che parte dall’entrata, quella aperta dal comunismo: larga, dritta, senza ostacoli. E senza uscita.

I protagonisti di Memento

All’entrata di Memento ci sono le uniche statue di Marx ed Engels di tipo cubista, con i lineamenti e le barbe spigolose e l’unica di Lenin di dimensioni quasi umane. All’interno, circondate da un muro di mattoni rossi, tutte le altre. Un giovane enorme che corre, dal fondo, verso l’entrata, con tutti muscoli in tensione, come ad urlare, anche per mezzo del corpo, “Alle Armi”.

Un giovane enorme che corre, dal fondo, verso l’entrata, con tutti muscoli in tensione

A sinistra una scultura gigantesca che vede il tempo scorrere, da sinistra a destra: i civili diventare comunisti e i comunisti diventare soldati dell’Armata Rossa all’assalto. C’è un soldato sovietico, colbacco, AK47 a tracolla, bandiera con falce e martello, che non fa più la guardia a niente: una volta era ai piedi di una colonna gigantesca che rappresentava la libertà, sulla collina più alta di Budapest, sulla Cittadella. Il senso era che la libertà era tale solo se vigilata dal buon soldato sovietico. E tutti dovevano vederlo.

 comunisti diventare soldati dell’Armata Rossa all’assalto

Un altro soldato stringe la mano a un cittadino ungherese che lo ringrazia della liberazione dai nazisti. Ci sono busti di uomini politici, statue di burocrati comunisti, lapidi, iscrizioni, piazzate tutte intorno a un’aiuola verde con al centro una stella a cinque punte fatta di fiori rossi. Due mani accolgono il mondo nei loro palmi, e penso a un altro monumento, più gelido ed agghiacciante, che ho visto vicino a Sopron, nel mezzo di uno spartitraffico, 1956 diceva la pietra. Mani tese verso l’alto in uno sforzo estremo, verso la palla del sole, della libertà, irraggiungibile perché trattenute in basso dall’acqua della fontana.
Sono qui anche tre miliziani della guerra civile spagnola, omaggiati dal regime. Cosa hanno fatto di male? Niente, ma la loro statua risale al periodo del terrore staliniano.

L’ultimo respiro del comunismo

Infine fuori ci sono musichette militari, discutibili magliette, stellette e stemmi, una lattina che contiene “l’ultimo respiro del comunismo”, un museo con foto e filmati che ripercorrono trentaquattro anni di regime, dalla liberazione dai nazisti alla fine del comunismo in salsa goulasch. Sembra questa la dimensione ormai preferita di una città smemorata, elegante, gaudente, che si rispecchia più volentieri nei suoi palazzi, nei suoi Caffè, nelle sue Terme, nelle sue belle ragazze alla moda.

si rispecchia più volentieri nei suoi palazzi, nei suoi Caffè, nelle sue Terme
nelle sue belle ragazze alla moda

Certo, c’è qualche eccezione. A Memento Park non tutto si è salvato. Qualcosa è stato distrutto. Una gigantesca statua di Stalin fu demolita dagli studenti nell’ottobre del 1956, subito prima del massacro. Ne rimase solo un mozzicone, gli stivali. Stranamente, non la ricostruirono, come accadde al portabandiera della Cittadella, abbattuto nella stessa occasione. Forse perché Stalin ormai era morto e anche l’orso sovietico, con Kruscev, stava rimuovendo “il Baffone” dai propri ricordi.

Farfalle senza ali

Li hanno ritirati fuori (o li hanno ricostruiti) e sono loro, in cima a un piedistallo, di fronte all’ingresso, giganteschi e grotteschi, a darmi il benvenuto. Sono come una farfalla senza ali. Due enormi stivali senza corpo. Figure inquiete che provano ad emergere dalla loro notte nera. A “memento” eterno.

Figure inquiete che provano ad emergere dalla loro notte nera

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