Lisbona sa di Oceano e di Africa
Inondata di luce, percorsa dalle note struggenti del Fado, un carattere preciso in ogni quartiere, quelli in collina come quelli sul Tago, uniti dai sferraglianti tram gialli e rossi. Lisbona è meravigliosa e chi scrive la mette davanti a tutte in Europa: ovviamente Parigi e Londra sono più metropolitane, più famose, più alla moda forse, ma la capitale portoghese è affascinante e nostalgica come poche altre, sa di Oceano e sa di Africa, regala panorami unici, la poesia dei tetti e dei vicoli, è contaminata da tanti sapori e da tante musiche, ricorda altri posti del sud del mondo e in genere è amata da chi è stato bene a Napoli, Istanbul o Salvador de Bahia.

Lisbona borghese: la Baixa
La Baixa segna in genere il primo approccio alla città e ha un carattere commerciale e borghese. La città bassa, ricostruita per intero seguendo le linee stilistiche e architettoniche di gusto classico e geometrico dettate dal Marchese di Pombàl dopo il devastante terremoto che colpì la capitale portoghese nel 1795, fu capace di risorgere dalle macerie e di diventare il salotto borghese di Lisbona, quasi un inno alle capacità commerciali dello Stato.
Si comincia dal Rossio ovvero da Praca Dom Pedro, snodo nevralgico del traffico con la stazione, il teatro nazionale, la statua equestre del sovrano e le ottime pasticcerie dove gustare un buon caffè, i pastel de nata e la ginginha, il liquore alla ciliegia. Il nome Rossìo significa grande piazza e questa fu il teatro di importanti eventi, dai roghi dell’Inquisizione alle corride. Si passeggia poi per le vie a scacchiera, per l’isola pedonale di Rua Augusta e le sue vie parallele intitolate alle settecentesche corporazioni di commercianti, strade con negozi e palazzi eleganti in pietra bianca; da vedere il Mude, il museo di moda e design; l’entrata dell’Animatografo do Rossìo in Rua dos Sapateiros che è una delle sale cinematografiche più antiche del mondo e ha un’aria liberty con le sue maioliche e motivi floreali; le botteghe dove indugiare nell’acquisto dei migliori vini o formaggi portoghesi.

Questo è il quartiere illuminista e razionale della borghesia, qui ci si fa vedere, e dopo essere passati sotto l’arco che raffigura Vasco de Gama e Pombàl stesso si arriva alla grandiosa e scenografica Praca do Comercio (o Terreiro do Paco, Piazza del Palazzo) e si viene letteralmente inondati dalla luce che arriva dal cielo e dall’acqua perchè come nel caso di Trieste anche Lisbona arriva ad affacciarsi su un grande specchio d’acqua, il fiume Tago, in questo punto così largo da sembrare il mare. Si ciondola sulla piazza, si ammirano i mosaici, il Cafe Martinho de Arcada, la facciata dell’ex Palazzo Reale e poi con le facce già più rosse per la luce assorbita si ritorna pochi metri indietro a prendere… l’ascensore!
Il mondo in un quartiere: il Barrio Alto
Proprio un ascensore, esatto: alto, elegante, di ferro, che ricorda la Torre Eiffel. È l’Elevador de Sao Carmo che collega la Baixa al Barrio Alto, ex quartiere di viuzze e taverne, luci fioche e selciati scuri, malfamato e frequentato una volta da marinai, puttane, contrabbandieri e artisti. Dalla Baixa l’altro modo per arrivare al Barrio Alto è l’Elevador da Gloria il piccolo tram su rotaia che arriva a Rua Sao Pedro do Alcantara col suo Mirador molto chic: panchine di antiquariato, lampioni stile liberty, i disegni arabescati dei marciapiedi e un cannocchiale per spiare i bastioni del Castello di Sao Jorge sulla collina contrapposta di Alfama, sorvolando i tetti e le grandi piazze della città bassa, col Convento del Carmo che resta alla vista sul lato destro. Qui da sempre gli abitanti di Lisbona cercano uno spazio d’ozio, si possono vedere bambini giocare a palla, vecchi giocare a carte, signori leggere i giornali, belle ragazze prendere soltanto il sole e la luce rende tutto magico.

Nella poetica descrizione che ho trovato su un ritaglio di giornale il Barrio Alto ha un preciso carattere, popolare e dinamico, è “il quartiere un po’ arrugginito e un po’ naif, coi panni stesi alle finestre, la zona dei locali notturni e del fado, dei giornali e delle trattorie che servono ottime zuppe di pesce e frutti di mare, delle tante botteghe in cui fermarsi anche solo per annusare il tempo che passa e impolvera gli scaffali, il quartiere della vita da ingoiare, dei giovani in cerca di diversità e dei vecchi che sperano di morire in pace”. Oggi vi si passeggia volentieri dal mattino alla sera respirando insieme retaggi hippy e di saudade, quello stato d’animo di diffusa malinconia portoghese che dipende probabilmente dal ricordo di mondi lontani e dalla consapevolezza – come popolo, cultura, nazione – di aver disperso la propria storia, gloria, potenza e ricchezza in mille direzioni. Chi va a Lisbona viene preso da questo sentimento, da questa ricerca del tempo che è passato, salvo poi scoprire nuovi fermenti e contaminazioni e modernità. Nel Barrio Alto il monumento più suggestivo è senz’altro la Igreja do Carmo coi suoi archi gotici crollati dopo il terremoto e rimasti aperti con la vista sul cielo. A volte qui organizzano dei concerti serali, auguro a tutti di assistere a uno guardando la luna e le stelle. Da vedere anche l’interno della vicina chiesa gesuita de Sao Roque coi suoi azulejos che decorano le cappelle.

La strada più famosa del Barrio è Rua Garrett per le vetrine più chic e una sosta per caffè pomeridiano alla Caffetteria Brasileira con la statua di Pessoa, lo scrittore più famoso del paese, un oscuro travet alla Kafka che seppe parlare di anima come pochi altri nel “Libro dell’inquietudine” e che passò la sua vita tra i caffè, le librerie e le redazioni dei giornali della Baixa e del Chiado. Molto elegante anche la Pasteleria Benard, ritrovo “in” del Chiado. La zona artistica e alternativa invece, quella che dona l’impronta più forte al carattere del Barrio è l’insieme di vie parallele tra Rua Atalaia e Rua de Norte, il luogo adatto per scoprire gallerie di pittori, vecchie librerie e botteghe artigiane multietniche, atelier degli stilisti emergenti, negozi di musica indipendente, empori con squisitezze gastronomiche. Begli anche gli azulejos da acquistare in Rua Don Pedro V 68 da Solar. Le strade che da qui scendono alle Docas de Alcantara sono un dedalo di vicoli coi panni stesi, i bambini che corrono, gli scorci sul fiume, i muri screpolati, le canzoni e le pettinature africane.
La dolce nostalgia del Fado

Poi arriva la sera e la movida può avere come prima tappa il Pavilhao Chines di Rua Dom Pedro V 89 (morbidi divanetti rossi e abat jour tra collezioni di modellini e giochi e cose bizzarre e bancone strapieno di liquori) mentre per la cena al Barrio Alto c’è l’imbarazzo della scelta e una cena tipica in genere si consuma in una delle piccole trattorie da dove escono le nuove e le vecchie melodie del Fado, cantate da donne con lo scialle nero che provano a imitare la grande star del passato, Amalia Rodrigues, oppure Dulce Puentes, scelta da Morricone per la colonna sonora di “Sostiene Pereira”, la sensuale Ana Moura, la nuova star Mariza col suo look stravagante e la sua voce incredibile o la meravigliosa Teresa Salgueiros, secondo me la più brava di tutte, la raffinata cantante dei Madredeus, il gruppo reso famoso dal documentario di Wim Wenders “Lisbon Story”. Ragazzi ascoltate la Salgueiros in cuffia, chiudete gli occhi quando intona “Ainda” o “Milagre” e lasciatevi trasportare sul Tago o tra le stradine dell’Alfama. E’ un dono. (cliccate per ascoltare i due brani se volete su you tube).
Forse meglio di ogni altra cosa il Fado (dal latino “fatum” – destino) esprime insieme alle architetture, alle abitudini e ai volti della gente quel senso di “saudade”, il male dell’anima che secondo Pessoa era un misto di tristezza, indolenza e nostalgia del passato coloniale. Sempre secondo una celebre definizione di Pessoa “il fado non è allegro né triste, è la stanchezza dell’anima forte, l’occhiata di disprezzo del Portogallo a quel Dio in cui ha creduto e che poi lo ha abbandonato”. Accompagnati da una viola o da una chitarra portoghese a dodici corde i primi a intonare le storie romantiche e drammatiche del fado furono i marinai ai tempi della loro lunga assenza da casa negli anni delle “scoperte” in Africa o in Brasile. I loro canti erano quelli di gente “straniera”, sia in patria che nelle colonie ed erano dolenti melodie, ballate monotone e tristi come il suono della risacca marina. E il Fado da lì in poi ha sempre cantato il mare, le terre lontane e gli amori perduti.
I locali dove oggi ascoltare il fado più tipico sono piccoli, fumosi, nascosti nei vicoli del Barrio Alto e cambiano sempre, provate a scovare l’Adega do Ribatejo in Rua Diario Noticias 23 o Adega Mesquita nella stessa via al civico 107, oppure l’Adega Machado in Rua do Norte 91. Non sono difficili da trovare una volta che ci si è smarriti nel cuore del Barrio: si sentono le voci. E l’incanto comincia.
Il tour in tram
Dall’Alfama, anzi dal vicino quartiere di Graca prendiamo il tram 28 che compie un tragitto “involontariamente” molto turistico e molto apprezzato tra i saliscendi dell’Alfama e del Barrio Alto, sferragliando tra viuzze ripide e regalando scorci inediti e molto pittoreschi della città. Si faranno chiaramente varie soste anche se potrebbe essere bello un giro panoramico completo per cogliere in unico lungo sguardo le due colline della città che ospitano i quartieri più tipici e antichi.
I tram sono una delle cartoline di Lisbona anche se sono di origine inglese e addirittura in alcuni casi sbuffano da più di un secolo, colorati di giallo o rosso, con gli interni un po’ retrò per via dei sedili in legno, sui binari che si snodano per i vicoli e le colline della città, assolvendo con dignità il loro compito di servire i quartieri più pittoreschi e faticosi, cresciuti su più livelli. Una nota di folklore: i vari Electricos o Elevadores hanno nomi sempre poetici, Gracia, Gloria, Bica: molto belli. Bisogna solo salirci e incontrare il popolo di Lisbona su questi fantastici trenini di latta!

La magia dell’Alfama
E’ il momento di scoprire lentamente Alfama (dall’arabo “fonte d’acqua”, “ai bagni termali”), il quartiere più antico sulla collina di Lisbona dominata dal Castello de Sao Jorge. Dalle mura di quello che fu dopo la cacciata dei Mori il centro della vita cittadina e poi teatro, carcere e deposito di armi, il panorama, specie al tramonto è stupendo: arriva giù al fiume, alla Baixa, al Barrio Alto e oltre fino al Ponte del XV aprile. L’Alfama è piena di vie con le loro tracce moresche, le taverne con le griglie all’aperto, le botteghe colorate, le chiacchiere sull’uscio, i muri screpolati abbelliti ogni tanto dai cortili e dai balconi o i chiostri improvvisi con gli azulejos, i passaggi sotto gli archi, i vasi in fiore, gli animali a spasso, le vecchie sedute di fuori, i canarini nelle gabbiette e i bambini che corrono dietro a un pallone. E’ il volto più antico della città, reso morbido e sonnolento dalla luce incantevole che vi filtra, una sorta di grande e pittoresca Medina mediterranea, a volte coperta da una patina di abbandono e malinconia, a volte vitale e capace di mescolare mille culture.

Quando si scende dall’Alfama alla Baixa l’incanto ti imprigiona sulla grande terrazza ornata di pergole e di azulejos del Mirador de Santa Lucia che si apre poeticamente sui tetti rossi e sul Tago: se ne dovessi scegliere una, a pari merito con la silhouette della Torre di Belèm, questa è la cartolina più bella di Lisbona. Poco dopo si incontra la maestosa mole della cattedrale romanica Se’Patriarcal (ma col coro gotico e gli affreschi e gli organi barocchi) costruita dopo la cacciata dei Mori sulle rovine della Moschea e così possente per scongiurare un loro ritorno. Raramente una chiesa trasmette questa sensazione di solidità e robustezza. L’incanto reale dell’Alfama è però nelle passeggiate casuali, alla scoperta delle vie strettissime, con le scalinate, gli scorci di Casa dos Bicos in Rua Alfandega, il profumo delle sardine arrosto o le melodie del fado che escono dalle taverne di Rua Sao Miguel, Rua Sao Pedro, Largo Sao Miguel. Fino al Mercado de Ladra, ovvero il mercatino delle pulci del sabato mattina di Campo de Santa Clara. Vivere la vacanza a Lisbona in un loft o in un alberghetto che guarda il Tago è probabilmente la migliore scelta possibile.
Amico Baccalà
All’Alfama, al Barrio Alto, nella Baixa, cucinano davvero il Bacalhau in tutti i modi e una sera in una bettola dell’Alfama me li sono fatti dire tutti e vi giuro che bisogna prendere degli appunti! Allora si fa arrosto, in umido, congregado ovvero in coccio con pomodori, patate, peperoncini e odori, alla Dom Pedro cioè sfilettato e passato al forno, alla Sancho o Gomes de Sà con uova sode, olive nere, patate e salsa di cipolla soffritta e latte, a la Trasmontana addirittura misto al prosciutto, a la Bras che significa non alla brace ma sfilacciato con uova strapazzate e patate fritte, acorda con zuppa, lagareriro in conserva sott’olio con aglio e aromi, al gratin nei vicoli di Alfama con olive, acciughe, capperi, aglio e pane grattugiato… e ancora il baccalà con pinoli, uva passa e nocciole, coi ceci, e in tutte le salse: piri piri (infuocata), tomatada (agliata) e refogado (purea di cipolle). I bolinchos sono fragranti polpette fritte di baccalà, uova, cipolla e prezzemolo e sono un antipasto tipico di Lisbona, superbe quelle a Praca do Comercio sotto il grande portico giallo.

Il consumo di baccalà ha origine lontane, legate ai viaggi dei marinai che durante le lunghe traversate alla scoperta di nuove terre presero l’abitudine di essiccare il merluzzo al sole, conservandolo col sale marino. Tutto cominciò nel 1470 col Capitano Corte Real sorpreso da un banco talmente grande di merluzzi nel gelido mare di Terranova che non riusciva più a navigare. Le 365 ricette (alcuni dicono 366 per gli anni bisestili!) con cui i portoghesi oggi cucinano il baccalà derivano appunto dalle influenze culinarie “intercettate” nel mondo dai naviganti e dagli esploratori e dalle numerose spezie riportate a casa. Il risultato è che quello che i portoghesi soprannominano “fiel amigo”, il cibo che inonda le tavole alla vigilia di Natale e nelle altre grandi occasioni, è consumato pro-capite fino a 7 kg l’anno. A una ricetta con la patata arrosto conficcata “a moro”, a pugno, nel morbido filetto, hanno dedicato addirittura un francobollo!
In tram verso Belèm

Col tram numero 15 che si prende dal Rossio si percorre la riva del Tago piena di luce per arrivare al famoso quartiere di Belèm dove ci aspettano un’altra serie di meraviglie e l’anima manuelina della città.
La prima tappa si può fare al mercato più famoso di Lisbona, quello di Cais do Sodrè, che è diviso tra la zona africana che celebra l’anima meticcia della città e un nuovo tempio dello street food portoghese che ricorda i nostri store di Eataly. Dal porto volendo si può risalire al Barrio Alto con il favoloso Elevador da Bica che barcolla sulla rotaia della stradina in salita dal lontano 1892, vero monumento nazionale e immortalato ovviamente in “Lisbon Story”.
Il tram sferraglia poi fino al mitico Ponte Rosso, dedicato alla data dell’incruenta Rivoluzione dei Garofani (25 aprile del 1974) con cui il Portogallo terminò la dittatura di Salazar e si avvio a diventare un paese socialista e moderno.
Salazar voleva tenere il popolo nei campi, nel paese, nella chiesa, nell’austerità, senza politica, senza sindacati, soffocato nel grigiore e nella poca istruzione per non renderlo pericoloso e audace – e la rivoluzione suonò il requiem a un passato così bigotto. Tutta l’area cresciuta intorno al ponte rosso di acciaio, identico per colore e materiale usato a quello di San Francisco, è un altro dei luoghi cult di Lisbona, per le energie che sprigiona, i loft, i locali e per il romantico volo dei gabbiani sul Tago.
Svetta sull’altra sponda del fiume e veglia sulla città il Cristo Rei, solo e imponente, simile a quello di Rio de Janeiro. All’arrivo del tram a Belèm è quasi obbligatorio un pasteis de nata alla Antiga Casa, da gustare davanti al “Mare di Paglia”: una volta il Tago era chiamato così per i riflessi dorati del sole che al tramonto si specchiava nelle sue acque limpide, oggi la paglia è il colore giallognolo e marroncino che purtroppo parla delle acque inquinate del fiume. Facciamo finta che va bene lo stesso, il paesaggio e le opere d’arte meritano comunque una lunga giornata a Belem.
La Torre di Belèm
La prima meraviglia è la Torre di Belèm, capolavoro dell’arte manuelina, piena di influssi e decori orientali, di terrazze e bastioni, merletti in pietra e cappelle, se ne sta lì bella e poetica a riflettere tutta la luce del fiume. Fu eretta in origine su una piccola isola come faro a guardia del porto da cui partivano i galeoni portoghesi alla scoperta del mondo: ancora oggi sembra un magico osservatorio su mondi lontani e immaginari, da ammirare al tramonto.

Dalle cronache del ‘600 di Vasconcellos: “Navi vengono da tutte le parti, cariche di cose più necessarie della vita. Per questo la città cresce”. Il graduale spostamento della riva del Tago ha avvicinato la Torre nel corso dei secoli alla terraferma. Da qui partì Vasco de Gama per la via delle Indie, la via che significò la scoperta di nuovi commerci, culture, gemme e spezie. Qui nella vita moderna di Lisbona sono sempre arrivati i pescherecci e sul porto aspettavano le varinas, le donne vestite di nero che si mettevano i cesti di pesce in testa e ancheggiavano e gridavano per le vie della città per venderlo ovunque tra piazze e mercati.
La grande vela di pietra

La seconda meraviglia è il grandioso Monumento delle Scoperte, anch’esso bianco, in solido cemento, poco poetico ma grandioso, a forma di grande vela protesa sul Tago, “il capolinea d’Europa”, voluto da Salazar nel 1960 per celebrare l’epoca delle conquiste coloniali dei navigatori portoghesi. Enrico il Navigatore è il personaggio in primo piano (sotto di lui la marina portoghese diventò la prima del mondo e comincio la conquista dell’Africa), seguito da Alfonso V e dal celebre Vasco de Gama, uomo tozzo, iroso e barbuto a cui oltre a tempeste di cannonate verso nemici e indigeni si deve la fondamentale scoperta della via delle Indie tanto utilizzata per i commerci e l’arrivo delle spezie; poi si distingue anche il volto scavato di Cabral, un fanatico cattolico che scoprì la colonia più grande, il Brasile, e a seguire altri navigatori, geografi, cronisti, protagonisti dell’età delle esplorazioni. Sia Torre che Vela spiccano davvero sull’orizzonte del Tago e ricordano che, schiacciato via terra dalla Spagna, il Portogallo dovette sempre cercarsi gloria e ricchezza prendendo la via del mare, dei traffici, di continue partenze e fughe e sogni verso i nuovi continenti. Un verso di Pessoa descrive perfettamente il passato: “Ogni molo è una nostalgia di pietra”.
Il Monastero più ricco del Portogallo

L’affascinante escursione a Belèm prosegue col Monastero de Jeronimos, probabilmente il monumento più importante di Lisbona, un trionfo di arte manuelina, un elegante e decorativo delirio esotico, con motivi e forme che ricordano il viaggio e il mare e le memorie riportate dai naviganti da paesi lontani come il Marocco, l’India, la Cina. Le forme slanciate delle colonne fanno pensare alle palme, le nervature stellate delle volte sembrano più che uno stile artistico un sogno esotico e catturano la luce come nessun’altra tecnica, dando al monastero la degnissima qualifica di “miracolo di marmo”. Qui si trovano le tombe di due eroi lusitani, Vasco de Gama e lo scrittore Camoes.
Le carrozze dei Reali
Un po’ nascosto ma sempre visitatissimo è il vicino Museo de Coches, ambientato nel Picadero Real, l’antico maneggio reale con le balconate da cui gli aristocratici assistevano a parate e esibizioni a cavallo. Il museo delle carrozze reali e di gala esibisce collezioni barocche e pompose, di tutte le epoche, opere d’arte scolpite in legno dorate da maestri ebanisti, autentici gioielli della locomozione che raccontano storie avventurose, amori che sospiravano tra tendine, stucchi e tessuti e misteriosi intrighi di corte. Carrozze da viaggio e da città, da parata o da passeggio, processionali o di rappresentanza, cocchi o berline, che in lunghe e lente trasferte covavano anche i pensieri di monarchi e generali, ambasciatori ed ecclesiastici. In più qui si ammira tutto il corollario di abiti d’epoca, parrucche, costumi, paramenti, dipinti, armi e strumenti musicali usati nelle sfilate o nei giochi equestri. Forse la carrozza più sfarzosa è quella con cui il sovrano spagnolo Filippo II fece il suo ingresso a Lisbona nel XVI sec.
Il Museo racconta quasi tre secoli di fuoriserie a cavallo e tutta l’abbondanza decorativa barocca testimonia l’affermazione di uno status, un vero e proprio segno di sovranità e potenza. Da una pagina di una rivista di viaggi: “Le ruote di queste vetture ripercorrono insomma le strade e le glorie di ogni tempo e di ogni paese. Prima che il rombo dei motori soffocasse il nitrito dei cavalli, che le distanze si accorciassero e il mondo diventasse tascabile e monotono. Senza mistero. Senza avventura”.
Un altro Museo da vedere è quello della Marina coi suoi modelli di navi, carte marittime e strumenti di navigazione della fase delle scoperte. Infine il Centro Culturale Belem ospita eventi e conferenze ed è un blocco minimalista di cemento ma ha una terrazza con vista panoramica sul Tago e qui si può prendere un caffè o un cocktail per aspettare la notte.
La notte sul fiume
Per la cena a Belèm ci si ferma a Rua Vieira Portuense, piena di buoni ristorantini di pesce e granchi sistemati tra casette colorate, stelle e fiume. La notte invece è il regno dei Docas di Alcantara, sotto il Ponte, ex zona industriale dove al posto di capannoni in lamiere o mattoni rossi e sulle ceneri di cantieri navali e depositi di ferri arrugginiti, oggi sono sorti loft alla moda, locali di design, murales, ristorantini, tempi dell’afro-tecno. “Sotto il Ponte” più che altrove si capisce la trasformazione di carattere subita dalla città, che non poteva essere per sempre ritratta nei languidi sospiri e nelle lacrime del fado, nelle meste passeggiate sulle tracce di Pessoa o nella nostalgia di paesi lontane e glorie perdute… quella città che invece per l’energia dei giovani, il melting pot meticcio, l’osmosi dei giovani portoghesi coi giovani africani doveva e poteva creare qualcosa di nuovo e vibrante. Come a dire che il letargo è finito e trionfa la vita, molteplice, colorata, etnica. Tra le discoteche più famose sul fiume, che aprono tardissimo, sicuramente il Kapital e il Kremlin, per i balli africani un po’ agee il Club B-Leza. Insomma sia la moda sia i mondi lontani si vivono e si respirano lungo le Docas e qui ci si mischia volentieri ai retournados, i portoghesi tornati dalle colonie o gli emigranti africani stessi che hanno riempito la città, rendendola ancora più cosmopolita, affascinante e nostalgica, sia a livello di suoni (vedi i tamburi o la kora dalla Guinea) che di sapori (vedi i piatti del Mozambico o del Brasile).
Il quartiere dell’Expo

Lungo la costa nord del Tago si raggiunge sempre con qualche tram il quartiere dell’Expo del 1998, fortemente voluto dal socialista Soares, una sorta di padre della Patria e primo Premier dopo la Rivoluzione dei Garofani. Quest’area modernista, a tratti come una stazione spaziale (vedi la fantastica architettura col tetto in cristallo della Stazione d’Oriente costruita da Calatrava) e tutta tesa a celebrare il design del futuro è stata quasi per intero costruita dai retournados, gli ex abitanti delle colonie che vivono tra slums e cantieri. L’Expo è stata l’ultima del secolo precedente, dedicata al tema degli Oceani, al mito del mare, alla sua salvaguardia ecologica e alla gloria del Portogallo pioniere di tante scoperte: la manifestazione è stata l’occasione che Lisbona ha colto benissimo per rinnovarsi e rilanciare la sua immagine e la sua economia. Ma camminando tra queste moderne architetture nella luce che qui arriva dal vicinissimo Atlantico il pensiero corre alle fatiche degli operai venuti appunto dalle colonie e finiti nelle periferie di lamiera (vedi La Pedreira per i capoverdiani per esempio…), forse mai completamente integrati ma funzionali a un grandioso sviluppo urbano della città.
In pratica cosa racconta la storia? Che i portoghesi negli anni dell’impero si distinsero per lasciti artistici o architettonici in tutto il mondo, basti pensare alle chiese di Ouro Preto in Brasile, alla pavimentazione di Macao in Cina uguale al mosaico del Monumento delle Scoperte, al Pelourinho barocco di Bahia, alle case e ville eleganti di Luanda o Maputo, alle atmosfere marinare di Goa… E che gli africani ritornati oggi hanno prodotto la città moderna che vediamo, proiettata nel futuro e affascinata anche dall’esotismo delle cucine, dei mercati, dei musei d’arte e delle musiche nere. Il risultato è quella Lisbona aperta e multiculturale in cima alle classifiche di gradimento dei turisti europei.

Nell’area Expo si ammira il Ponte modernista Vasco de Gama, coi suoi 17 km il più lungo d’Europa, costruito da oltre 4000 uomini e con 100.000 tonnellate di acciaio, che ha senz’altro favorito nuovi spostamenti e economie devastando purtroppo il regno ornitologico delle paludi salmastre che formano l’estuario del Tago; si compie la visita dell’Oceanografico che è l’acquario più grande d’Europa con 15.000 specie di pesci presenti e con le sue enormi vasche che danno la sensazione di camminare sui fondali marini accanto a squali, razze, tartarughe e nuvole di pesci colorati; poi si sale sulla Torre Vasco de Gama e si fa il Giro sulla Teleferica. Volendo la giornata si conclude con una preghiera al Convento de Madre Deus col Museo degli Azulejos o a pranzo sulla riva opposta di Almada: breve viaggio col cachilero, il battello locale, e poi un trionfo di sardine e baccalà.
L’addio a Lisbona con gli azulejos
Ci sono ancora tante cose da vedere a Lisbona, i suoi “Campi Elisi” per esempio, quella lunga e alberata Avenida de Liberdade coi suoi negozi, caffè, librerie, fontane, giardini, murales, palazzi storici come il cinema neoclassico Tivoli al civico 188 (e difronte il chiosco-edicola più antico della città) e Casa Lambertim in stile liberty al civico 166; la Casa de Alentejo dove gustare il fascino di una antica residenza portoghese e il piatto tipico di stufato di maiale con le vongole; o la Serra dell’Estufa Fria in stile ‘800 nel Parque de Amoreiras, piena di piante tropicali, voliere con uccelli coloratissimi, laghetti, cascatelle, ponticelli, un’atmosfera estraniante e rilassata, da Mille e una notte…; un’escursione ai castelli di Sintra o a vedere l’Oceano coi promontori selvaggi, la mondana Cascais o a sfidare le onde col surf alla Praia do Guincho; le vie popolari del Campo de Ourique fino alla cupola bianca della Basilica da Estrela, la Rua das Janelas Verdes, la via più elegante di tutta la città, nel quartiere di Lapa; l’acquedotto Aguas Livres coi suoi scenografici archi alti fino a 65 metri; i giardini pieni di azulejos nel Parque de Monsanto, un po’ fuori la città, dopo l’acquedotto.

Ecco forse l’addio più giusto a Lisbona è proprio quello con gli azulejos, le piastrelle bianche, azzurre e gialle che nei secoli d’oro del paese (il 1600 e il 1700) si usavano per arricchire chiese, ville, palazzi e cappelle con soggetti a sfondo sacro e patriottico, scene di madonne, battaglie, arti e re. Oggi sono diventati patrimonio di tutto il Portogallo, sono la forma moderna della sua luce e colpiscono al cuore quando si scovano in qualche via dimenticata dell’Alfama.

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