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Cultura da Viaggio

I luoghi d’acqua di Hermann Hesse – seconda parte

L’Io e l’acqua: i sentimenti e il destino

Nei romanzi di Hesse c’è sempre una misteriosa corrispondenza tra l’Io e l’acqua: una notte sul lago tedesco o svizzero porta serenità o malinconie, guardare il fiume svevo o indiano fa sentire pronti al cambiamento, mari esotici come quelli italiani entrano dentro i sogni di fuga. Certe volte le emozioni nascono vicino all’acqua, altre volte le tristezze annegano nell’acqua. Se Boccadoro esce dai torrenti fresco e curioso (“egli amava molto l’acqua, ogni acqua lo attraeva”… “dormì finchè lo bagnò la rugiada”), Knulp si ferma sui ponti a suonare l’armonica e a pensare a tutte le cose perse, Siddharta si conosce sulla riva di un fiume millenario, sotto piogge e nevicate i viandanti e i giovani di Hesse cercano i propri destini. Peter Camenzind è grato ai ghiacciai e alle cascate, Klingsor crea e dipinge volentieri guardando il lago: l’acqua è fonte di gioia, sollievo e bene del cuore.

l’acqua è fonte di gioia, sollievo e bene del cuore
la metafora perfetta per descrivere la caducità della bellezza e dell’amore

In altri frangenti ispira tristezza, si fa fredda, scura, pesante, torbida e diventa la metafora perfetta per descrivere la caducità della bellezza e dell’amore, il mondo grigio e decadente, gli eroi fragili e i loro desideri di morte. Le tempeste sono quelle dell’anima, quelle che affronta Hermann Lauscher in una Tubinga notturna, quelle che colgono senza riparo Boccadoro nei suoi vagabondaggi, quelle che agitano il Lupo della Steppa. La solitudine gelata coglie tanti giovani cuori palpitanti di Hesse. Il fiume del mondo che passa dentro il cuore di Demian è un chiaro riferimento alle guerre. Nel fiume a volte vorrebbe lasciarsi cadere Siddharta nella sua fase di vita più pigra, viziosa e indolente.

Di amori e di acque vive l’affascinante figura di Boccadoro
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Nei romanzi giovanili gli azzurri riflessi dei fiumi e dei laghi dell’amata Svevia fanno da sfondo ai primi ingenui innamoramenti, l’infuriare del lago è uguale a quello del cuore per Camenzind, in riva al fiume Siddharta incontra Kamala e il suo umido sguardo che lo accompagna alla scoperta del sesso, del corpo e del piacere, quando invece soffre per il distacco dal figlio prova qualcosa di più doloroso e umano, quello scorrere simultaneo di amore e dolore che è la samsara.
Di amori e di acque vive l’affascinante figura di Boccadoro: quante ragazze (zingare, dame, artiste) ha baciato vicino ai fiumi, quante volte ha fatto l’amore sull’erba umida: “sentiva tutte queste ondate che rifluivano a lui come risposte segrete alle sue seduzioni”). Così Haller da vero Lupo della Steppa si abbandona ai tanti incontri amorosi: “venivano e andavano, il torrente me le portava”.
Vi segnalo un’ultima, bellissima frase dedicata da Hesse all’amore e all’acqua: “Noi viandanti siamo abituati a coltivare i desideri amorosi proprio per la loro inappagabilità, e quell’amore che apparterrebbe alla donna noi lo dissipiamo profondendolo, al villaggio e alla montagna, al lago…” (da “Vagabondaggio”).
Infine l’acqua in Hesse si lega spesso all’arte: il Lupo della Steppa rimane sballottato dalla musica come da una mareggiata, Hans in “Sotto la ruota” legge le poesie sdraiato sulla sponda del lago, Klingsor attinge dalla sua vita, dai suoi amori e dai suoi viaggi come da un pozzo per creare la sua pittura.

Infine l’acqua in Hesse si lega spesso all’arte

L’anima nel flusso: filosofia e psicanalisi

Quando l’acqua nei romanzi di Hermann Hesse ispira il risveglio e il cambio, il movimento e la ricerca, quando è metafora di ansie, sete, metamorfosi, quando diventa momento di conoscenza perché il viandante ascolta la voce del fiume o vede il suo destino riflesso nel fondo di un lago, da elemento naturale e sentimentale si trasforma in elemento simbolico, filosofico e psicoanalitico.
L’acqua smette di evocare l’azzurro incanto e diventa quasi un luogo mentale. L’immagine delle onde, dello specchio trasparente o degli abissi si riempie di significati, rappresenta il bisogno di mete e di prove, il richiamo delle origini materne, il contatto profondo con le cose, il posto dov’è possibile l’armonia tra l’uomo, la natura e Dio.
Hesse intuisce che seguire le vie d’acqua vuole dire avvicinarsi ai misteri dell’io e ai sentieri della storia collettiva, siano essi ispirati dalla Foresta Nera o dalla giungla indiana. Per il poeta davvero chi affronta viaggi fisici e psichici, chi sceglie la dimensione mutevole e incerta dell’acqua è una persona diversa da chi rimane sempre a casa: “Egli ama più intimamente ed è meno soggetto alla giustizia e alla follia”.

il posto dov’è possibile l’armonia tra l’uomo, la natura e Dio.

Uno sguardo a Jung

L’acqua nella fase matura della vita di Hesse diventa l’archetipo junghiano dell’inizio, dell’inconscio, dell’istinto, della conoscenza. Lì succedono cose e si coglie l’essenza profonda di sé.
I numerosi risvegli di Siddharta presso il fiume sono l’essenza stessa di Siddharta che decide di passare dall’ascesi alla mondanità, dalla preghiera ai vizi, dai sacrifici ai godimenti, dall’om ai commerci, alle ricchezze, al flusso degli eventi. “Gli pareva che il fiume avesse qualcosa di speciale da dirgli, qualcosa che egli non sapeva ancora, qualcosa che aspettava solo lui”.
Boccadoro nella fuga da Maulbronn supera per primo proprio un torrente e quel guado è iniziatico della scoperta di sé e rappresenta l’inevitabile risveglio dei sensi e il richiamo dell’avventura.
L’acqua fa parte della vocazione di Knecht, “si figurava di appartenere al vento o alla pioggia, rimaneva a fissare un fiore o l’acqua corrente del fiume, senza nulla capire ma tutto intuendo”. Lui è l’uomo razionale, che sceglie l’ordine e l’armonia rappresentati dal regno di Castalia e da “Il gioco delle perle di vetro” ma allo stesso tempo sente il richiamo della torbida marea, coglie le ombre nello stagno del saggio cinese e si immerge infine nel gelido lago per incontrare la morte più romantica, quella dell’accettazione totale del flusso della vita.
L’acqua in Hesse è spesso legata alla figura simbolica della Madre che in Demian come in Boccadoro (in questo caso mai presente fisicamente ma sempre psichicamente) significa un ritorno alle fonti della vita, al risveglio dei sensi, alle zone più profonde, istintuali e fantastiche dell’Io.

L’acqua nella fase matura della vita di Hesse diventa l’archetipo junghiano dell’inizio

La grande Sete

Grande metafora hessiana del bisogno di soddisfare conoscenze e amori, vie e prove, di girare il mondo, di riempire l’intelletto di immagini e il cuore di esperienze sempre nuove. La sete che provano Camenzind, Demian, Boccadoro, Klingsor, Siddharta, Knecht è quella di scoprire e di agire, di interrogare le cose e di crescere. La sete significa vivere volentieri e si placa solo con una tensione liberante e catartica, quando si accetta il distacco col passato, coi luoghi natali, con le certezze e si diventa viandanti, si diventa sognatori come i ragazzi di Hesse, si diventa eroi con un carattere ribelle come Demian e Klingsor, si diventa tormentati e anarchici come il Lupo della Steppa, si diventa cercatori sensuali (“Suchende”) come Boccadoro e Siddharta che seguono l’onda lieta del mondo, si diventa saggi e contemplativi come Narciso e Knecht che vogliono servire e insegnare, si esplorano insomma tutte le acque. Fino a che un giorno ci si accorge di avere molti ricordi. Perché si è accettato il fatto di lasciarsi cadere, di vincere le proprie paure, di finire nel mezzo della corrente, di cogliere il flusso variabile e infinito della vita, di vivere l’epifania alla Joyce, il Panta Rei di Eraclito, la psicologia junghiana del profondo, il mondo inquieto e scuro di Dostoevskj, i mille volti nel fiume di Siddharta.

Proprio il sorriso enigmatico e indecifrabile di Siddharta rappresenta l’appagamento della Sete

Proprio il sorriso enigmatico e indecifrabile di Siddharta rappresenta l’appagamento della Sete e un amoroso, attento ascolto delle sorgenti nascoste. Proprio in Boccadoro che ha bisogno della natura di Narciso e in Narciso che ha bisogno della natura di Boccadoro c’è la spiegazione e il completamento di ogni percorso umano. Razionalità e Sensualità. Perfezione e Imperfezione. La chiusura del cerchio.

Acqua e morte: la gelida tomba e le eredità spirituali

La tipologia della morte è forse la parte più affascinante della prosa hessiana, descrive benissimo l’evoluzione del suo credo, del suo carattere e della sua sensibilità. Dalle morti pietiste che indicano il desiderio di sparire nell’acqua, la rinuncia alla lotta e il bisogno di silenzio e di quiete (vedi Hans Giebenrath in “Sotto la ruota”, Klein e Knulp, i loro malinconici addii al mondo e l’incapacità di leggerlo, il mondo…) l’autore svevo approda alle grandi morti indiane che significano la rinascita in altre anime e il lascito di eredità spirituali (vedi Knecht). E tali morti spesso avvengono in acqua, nei gelidi flutti che ingoiano o abbracciano, sotto una tormenta di neve che cade poetica.

L’annegamento di Klein nel lago alpino rappresenta invece una panica accettazione del tutto

Da ricordare alcuni passaggi “finali”: “Nessuno seppe mai come fosse finito in acqua. Si era forse smarrito, cadendo in un punto scivoloso; forse aveva voluto bere e aveva perso l’equilibrio. Forse la vista dell’acqua lo aveva affascinato, e vi si era piegato, e poiché da lì lo guardavano la pace e la quiete profonda della notte e del chiarore lunare, stanchezza e paura lo avevano spinto, con un tacito impulso, nelle ombre della morte” (così se ne va Hans, schiacciato dalla ruota, dalle responsabilità del massimo rendimento). La vita errabonda di Knulp, buona solo per veder sfiorire la fugace bellezza di ragazze e natura, è il simbolo di una profonda inquietudine ovvero dell’incapacità di accettare sé stesso. Essere così libero, filosofo, bambino diventa per lui una sconfitta: “Sentì che sulle mani si era accumulata tanta neve e avrebbe voluto scuoterla, ma il desiderio di dormire si era fatto in lui più forte di qualsiasi altro desiderio”. Un altro suicidio dolce e adombrato, nel freddo delle foreste sveve.
L’annegamento di Klein nel lago alpino rappresenta invece una panica accettazione del tutto, è la prima delle morti alla Ganimede che significa trascendenza e rinascita nel flusso: “Nella manciata di minuti che ancora visse ci fu più vita che nei quarant’anni di strada che lo avevano portato a quella meta… con tutto l’abbandono s’era lasciato cadere in acqua, nel grembo della Madre, nella braccia di Dio…mentre annegava vide specchiato e rappresentato il gioco del mondo… un flusso fitto fitto di volti, fiori, pensieri, suicidi, libri scritti, lacrime piante e il tempo non esisteva”. Gli stessi volti che vedrà Siddharta nel fiume…
Nel pittore del “carpe diem”, nell’artista Klingsor che brucia e si riempie di vino, è forte la consapevolezza: “sarebbe bello morire in barca, sul fiume quieto… morire significa affrontare il dolore delle nuove nascite, ricominciare il ciclo…”.

Le grandi morti di Boccadoro e Knecht

E arriviamo alle grandi morti del viandante sensuale e del maestro delle perle, grandi perché segnano la fine delle ansie, la prova dell’armonia con la natura, l’epilogo felice di una bella storia umana, di un lungo e pieno percorso affettivo e morale. Grandi perché lasciano un messaggio forte, che è quello di imparare ad amare e a cercare. Grandi perché la loro anima è capace di rivivere, nell’amico come nel discepolo.

la prova dell’armonia con la natur

Boccadoro è colto un paio di volte dal desiderio di morire nell’acqua: dopo l’omicidio del brigante Vittore che sta a significare l’uccisione del suo lato oscuro, e dopo la perdita del maestro di scultura Nicola, quando vede con lui la morte di ogni arte. Fino a che rifiutato da una sua amante, nell’ultima delle sue fughe, cade da cavallo in un torrente, si rompe le costole, rimane tutta la notte nell’acqua gelida e comprende che deve morire. Un torrente guadato all’inizio di tutto, un torrente insidioso simbolo dell’abisso e della fine. Molto bello il dialogo finale con Narciso dove Boccadoro dà all’amico una giustificazione etica del suo vagare e si dice pronto a conoscere finalmente sua Madre e dove il monaco confessa al vagabondo morente: “la mia vita è stata povera d’amore, mi è mancato il meglio… se tuttavia so cos’è l’amore è per merito tuo, significa la sorgente in un deserto”. Ancora l’acqua.

Morte superba quella di Knecht nel lago, in un’alba fredda e luminosa fra le montagne alpine. Il maestro si tuffa nello specchio d’acqua gelido e puro per non deludere l’allievo Tito, per imitarlo, per partecipare in una specie di imprudente gara sportiva alla sua crescita, alla sua metamorfosi, al completamento della sua educazione e lasciargli la sua eredità, quasi come in un grande passaggio di forza ed energia creativa. L’abbraccio della natura è mortale per Knecht: “egli si aspettava un gran brivido, ma non quel freddo così glaciale che lo accolse in un mare di fiamme”, ma ci piace immaginarlo come il testamento di un eroe di Shakesperare, che sfiora la forma epica col suo messaggio umano di unirsi al tutto. Morendo nel tutto, in un lago che è per metà coperto dall’ombra della roccia e per metà invaso dalla luce del sole, in quella dualità e unità che Knecht conobbe con i precetti cinesi del Tao.

Tito capirà questo insegnamento e diventerà probabilmente il nuovo Maestro nel gioco delle perle. Nelle opere di Hesse resta sempre un successore, un testimone, una vita potenziata e arricchita dall’esperienza e dall’amore di chi se ne va. E ogni nuovo inizio contiene una nuova magia.

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