Un paradiso naturale

Per restare nell’ambito degli scrittori innamorati di Mauritius va citato anche Mark Twain: “Dio creò Mauritius e poi il Paradiso terrestre. Che fu una copia di Mauritius”. Potremmo chiudere l’articolo qua!
Situata in mezzo all’Oceano e con una superficie di circa 1800 kmq l’isola vulcanica che deve il suo nome a un principe olandese, è un incredibile spot in favore delle meraviglie della natura: vi si trovano distribuite con una grandiosa generosità cascate e promontori, spiagge coralline e baie turchesi, foreste verdi e laghi sacri, picchi, gole e giardini tropicali, piantagioni di thè, di canna da zucchero e crateri spenti, oltre a un contesto umano composto da vecchie ed eleganti case coloniali, mercatini pittoreschi e resort turistici da sogno.
Un laboratorio multietnico
Ma forse quella che colpisce e incanta di più a Mauritius è la serenità e l’armonia del suo ambiente sociale, dove convivono popolazioni di razze differenti come gli indiani, i creoli, gli arabi, gli europei (gli eredi dei coloni portoghesi, francesi, olandesi, inglesi), i cinesi, i malgasci e anche i discendenti degli schiavi africani che si spezzavano la schiena sui campi coltivati con la canna da zucchero. E quindi accanto a una chiesa cattolica si visiterà sempre un tempio indù, dopo una moschea si entrerà facilmente in una pagoda, a scoprire la varietà, la profondità e la bellezza delle religioni, non le loro divisioni, non le loro rivalità. Stesso discorso vale per la cultura, per la cucina, per il folklore, per le feste a base del ballo della segà e della musica del sitar: Mauritius più che un’isola è un crogiuolo di civiltà. Un albero dai mille fiori colorati.

Come isola Mauritius è assolutamente pacifica, tranquilla e cosmopolita: qui da più secoli abitano assieme, senza tensioni, più genti, più razze. Mauritius forse aiutata dalla natura dolce, dagli scorci di paradiso, si è innamorata di questa sua caratteristica e ha fatto della diversità la sua stessa ricchezza, della contaminazione di storie, lingue, culture, tradizioni una vocazione, della multiculturalità un’attitudine profonda, della convivenza un modo di vivere. Meticcia e sincretica da sempre, un po’ africana e un po’ indiana ma senza i problemi di questi continenti, Mauritius ha mischiato e confuso felicemente etnie, fedi, lingue, tradizioni e gusti. E può vantare al mondo una democrazia forte e stabile.

Una cucina creativa
La diversità arriva pure a tavola ovviamente: qui si assaggiano aragoste che arrivano da Australia e Madagascar, gustosi marlin autoctoni, la localissima vaniglia e il saporito curry indiano, il biryani della tradizione persiana e la rougaille, una salsa piccante a base di pomodoro, peperoncino, zenzero, cipolle, aglio e sale. Più o meno è la stessa salsa che si ritrova sul pesce alla vindaye, cucinato come a Goa e le squisitezze provenienti dal mare si completano coi gamberoni agli agrumi con cous cous di frutta secca o i granchi alla griglia aromatizzati al burro. A Mauritius si gustano poi il chutney, soffici crocchette di manioca, il dholl puri che è una frittella di piselli gialli spezzati con curry di fagioli bianchi, il riso al cocco con curry di cinghiale o cervo, le verdure marinate, le tartare di frutti di mare, le pietanze agrodolci alla cinese, tanta frutta esotica, i sorbetti di mango. E se si vuole provare la carne più strana basta chiedere la bistecca di coccodrillo, ma non ne ho avuto il coraggio…
Un’architettura eclettica
Nelle sue architetture Mauritius presenta una volta di più la stessa varietà di stili e dominazioni: ecco succedersi tutte insieme nelle strade della capitale Port Louis la candida moschea Jummah, lo Champ de Mars, un tempo campo di addestramento per le truppe coloniali che è stato trasformato in ippodromo, la severa fortezza britannica di Fort Adelaide, il Central Market dove trionfano profumi, sapori e colori creoli, la statua della Regina Vittoria nella centrale Place des Armes, la Government House dell’epoca coloniale, i vicoli più stretti e bui di Chinatown, i magazzini portuali indiani che brulicano sempre di traffici.
Basta un poco di zucchero…
In giro per l’isola si visitano le distillerie del rhum, le chiesette poetiche dai tetti rossi in riva al mare come quella di Cap Malheureux, i percorsi tematici come “La Rotta del Tè” tra stupende piantagioni e dimore coloniali e “L’Aventure du Sucre” che si esplica dentro un Eco-Museo, un vero esempio di archeologia industriale. L’enorme zuccherificio è un simbolo di Mauritius anche perché lo zucchero è la risorsa più preziosa dell’isola, con la sua produzione e il suo commercio impiega circa 25.000 abitanti e, precedendo pure il turismo, è addirittura diventato la prima voce del pil locale. Dentro il Museo viene raccontata la storia delle piantagioni, descritto il ciclo di lavorazione dello zucchero, sono organizzate visite, degustazioni, mostre d’arte e giochi per bambini.

Un emporio infinito
Quante cose belle, esotiche, rare si possono comprare a Mauritius! Specie al Grand Bazar della capitale le griffes di abbigliamento locale (nell’isola l’industria tessile è primaria) e la frutta tropicale, i pareu colorati e le borse di paglia, le immagini sacre o erotiche provenienti dall’India, le spezie e le collane di fiori, le conchiglie e le solite tisane magiche (non poteva mancare il banchetto col viagra tropicale), le chincaglierie cinesi e le pregiate stoffe orientali, per finire con le magliette col Dodo.
La fine del Dodo
Il goffo uccello primordiale (in verità assomigliava di più a un tacchino!) non ne voleva sapere di volare forse per la mancanza di predatori, forse perché anche lui aveva percepito la dolcezza e l’indolenza del suo eden tropicale. Aveva imparato così poco a scappare o a difendersi che i portoghesi lo chiamarono “doudo”, “idiota” e che dall’inizio alla fine del ‘600 gli olandesi se li fecero tutti arrosto. In compenso è stato da lì in poi adottato come il simbolo delle estinzioni da evitare ed è anche diventato il simpatico personaggio di cartoni animati come “L’era glaciale”.

Un veliero per amico
Ma il vanto dell’artigianato locale sono le riproduzioni di famosi velieri in miniatura, ricostruiti con l’abilità e la precisione che solo gli innamorati dell’arte del modellismo sanno sfoderare. Per una tradizione alimentata dai coloni e dai collezionisti francesi, sull’isola ormai esistono una trentina di mini-cantieri che danno lavoro a 2.000 maestri d’ascia! Il colpo d’ala e di genio di questi silenziosi artisti che sanno ricreare alla perfezione i semplici dhow che solcano le acque dell’Oceano Indiano come le galere romane, le navi vichinghe, i vascelli pirata, le caravelle di Colombo o i transatlantici come il Titanic è la firma della polena, coi suoi particolari florilegi e ricami.
Un regno verde
Mauritius è un’isola dominata dal verde. La prima meraviglia in questo senso è il Giardino Botanico di Pampelmousses, a pochi chilometri dalla capitale. Creato addirittura nel lontano 1767 è un luogo di culto per tutti gli amanti della botanica, perché presenta le ninfee fra le più grandi del mondo, oltre 500 specie di piante esotiche, 80 tipi di palme, vialetti ombrosi e profumati, laghetti romantici, una villa coloniale. Passeggiare per questo giardino significa immergersi nel verde, respirare il verde. Come sulla grande Plaine Champagne, sulla cima del Pitòn de la Rivière Noire, la montagna più alta dell’isola, sul Belvedere delle Gole, nelle foreste pluviali, nelle piantagioni di thè, canna da zucchero e caffè, sotto le palme e i bambù… Verde ovunque.

Il verde di Mauritius oltre che nei numerosi, eleganti e pettinatissimi campi da golf e sugli altopiani centrali dove sorgono belle case coloniali e prelibati ristoranti creoli si riscopre poi nelle Cascate di Chamarel, col loro salto spettacolare di oltre 100 metri, situate vicino allo straordinario paesaggio delle Terre Colorate, ondulate colline di argilla e di ceneri vulcaniche ocra, rosse, viola e grigie che sembrano le magiche dune di un deserto tropicale. Da vedere anche la tenuta di Eureka, forse la più bella dell’isola, risalente al 1812 e piena di arredi d’epoca, mobili coloniali, patio eleganti e giardini di piante meravigliose che includono anche una cascata e una bellissima falesia vulcanica.


Un incanto blu
Prima dei favolosi tuffi nel mare ecco la sacralità del lago, nello specifico quello di Grand Bassin, sacro agli Indù. Bisogna avvicinarsi alle sue sponde con rispetto, osservare gli atteggiamenti mistici delle genti indiane, i loro passi silenziosi, le loro preghiere alle acque, i loro riti e i loro saari colorati, la devozione rivolta alle divinità, ai piccoli templi di Shiva, ai bastoncini di incenso come alle foglie più piccole. Sembra una scena colta lungo il corso del Gange, la stessa spiritualità, lo stesso profondo e discreto raccoglimento. Se poi ci si capita durante la notte di Shiva insieme a 500.000 fedeli impegnati nel bagno di purificazione dai peccati o a cantare, a ridere e a piangere dietro i carri addobbati di fiori, il senso di un contatto col mondo trascendente diventa ancora più evidente.

Senza togliere nulla a tutto il resto, a tutte le meraviglie viste e raccontate finora, il tesoro principale di Mauritius è il mare, un mare così bello che in certi punti fa trattenere il fiato. Come sotto il Promontorio di Le Morne per esempio, dove ci sono gli alberghi migliori per i viaggi di nozze, tra forme e arredi etno-chic, palme pittoresche, sabbia bianca e soffice, acque turchesi amatissime dai fotografi e dai surfisti e la montagna verde sullo sfondo, sulla cui cima un tempo si rifugiavano gli schiavi ribelli.

Come lungo le spiagge di Flic en Flac e Troux aux biches, dominate dagli alberi di casuarina e incendiate dai colori dei tramonti. Come nella zona di Grand Baie, piena di bouganvilles, definita la Costa Azzurra di Mauritius per la presenza di locali, ristoranti, alberghi, boutique, sport nautici, discoteche e casinò. Come il litorale di Mon Choisy che si anima ogni anno con le feste in spiaggia del Festival Creolo.
Come nella gemma dell’isola creola, l’Isola dei Cervi (che furono introdotti qui dagli olandesi), una serie di anse e lagune spettacolari lambite dai reef, davvero incantate, situate in mezzo al verde e a lingue di sabbia dove ti portano con la barca a gustare l’aragosta. Qui sorge Le Tousserock, uno dei più affascinanti alberghi dell’Oceano Indiano. E ci resteresti per sempre.
L’ultimo tuffo si può fare nella zona di Mahebourg, con la sua vita marinara, i suoi ricordi corsari, le sue botteghe antiquarie. Di ritorno a Port Luis si può visitare il Blue Penny Museum che conserva i francobolli più rari del mondo o ci si può abbandonare alla lettura di Ambrogio Borsani, “Tropico dei Sogni”, per tornare tra i verdi viali di Pampelmousses a rintracciare la fatale creola cantata da Baudelaire, oppure per recarsi sulle scogliere del nord est dove si consumò il naufragio del veliero Saint Gerain che separò tragicamente gli amanti Paul e Virginie.

Un matrimonio con l’Oceano
In un Paradiso del genere dove la natura sembra disegnata, dove l’isola merita di essere girata a fondo per scoprire tutti i suoi paesaggi, dove la mescolanza è un valore rispetto alle forme striscianti di razzismo che nel resto del mondo stanno rinascendo, dove serenità e armonia si respirano nell’aria, le giovani coppie di turisti amano anche sposarsi. Nei giardini tropicali dei lussuosi complessi alberghieri, con le spa da sogno a coccolarli, la cucina creola a ingolosirli, i tramonti a stupirli. E l’altare montato in riva al mare tra archi di fiori a unirli per sempre.
Mia moglie non l’ho sposata a Mauritius ma nel mare di Le Morne le ho probabilmente scattato le foto più bella della nostra vita, con l’obiettivo in posa lunga a cristallizzare in un arco le goccioline che uscivano dai suoi capelli mentre lei usciva dal mare. Dietro Lara c’era la spiaggia bianca, le palme in fila mosse da un vento leggero e il sole spuntare dalla montagna verde: il paradiso.

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