Col film e la musica: Grecia per sempre
Possiamo lanciare una provocazione: quanto avrebbero guadagnato Gabriele Salvatores e la produzione con questo film se oltre a vincere l’Oscar nel 1992 avessero venduto per l’eternità i diritti d’autore all’ Ente del Turismo delle isole greche?
E possiamo anche tentare un esperimento: raccontare il viaggio, l’opera, l’isola, le emozioni e i sentimenti che da lì arrivano con la splendida colonna sonora di Giancarlo Bigazzi come sottofondo (cliccando qui sotto).

Perché “Mediterraneo”, dietro il pur valido messaggio artistico e storico, è stato soprattutto questo: un’ispirazione, un concetto quasi filosofico, un invito alla fuga e uno stato d’animo che tutti quanti vivono nella gioventù. E tutte e quattro le cose secondo me si meritano proprio un bell’ accompagnamento musicale.
Una metafora della fuga e della crescita
Il film è riuscito ad andare oltre il film, si è trasformato magari senza intenzione in un formidabile spot geografico e turistico per le isole dell’Egeo: conosco tanti ragazzi di allora che salirono su un traghetto per la Grecia conoscendo le battute di Diego Abatantuono e compagni a memoria.
In più è diventato un grandissimo e genuino manifesto della fuga e della libertà, un richiamo naturale del sole e del sud e nell’avventura romantica e comica di un manipolo di soldati scombinati che ricordano un po’ quelli de “La Grande Guerra” con Sordi e Gassman è facile rintracciare le dinamiche dell’amicizia, della crescita, dell’illusione o del bisogno di appartenere a un luogo. Poco importa se le tinte rappresentate fossero quelle dell’ingenua tenerezza o della simpatica arroganza, della follia o della confusione, della consapevolezza o del sogno. Resta e resterà per sempre una commedia agrodolce eccezionale, celebrata nel bianco e nel blu del mare greco e sublimata da tale contesto.
Capace di intercettare i meravigliosi pensieri che nascono nelle teste dei giovani.
Il richiamo dell’Egeo
Il mio amore per la Grecia cominciò grazie a questo film, forse era già dentro di me ma il film lo fece letteralmente esplodere. Posso dirvi tranquillamente che è il film che ho visto più volte in vita mia, prima di ogni partenza, dopo ogni ritorno. Per le isole Cicladi e dalle isole Ioniche, per le Sporadi e dal Dodecanneso, per Rodi e da Kastellorizo.



E che la Grecia in senso lato e le isole in particolare sono diventate il mio viaggio, il mio bisogno di sud più frequente: l’amore per certi luoghi ai tempi di traghetti, rotte a caso, zaino e sacco a pelo è rimasto lo stesso di oggi che li raggiungo o li rivivo coi charter, la famiglia e i Resort. Ogni due, tre anni massimo, questo bisogno diventa urgente, diventa prezioso, come l’acqua.


Quelle precise sensazioni
Devo sentire il sapore del polpo sulla brace, delle olive greche, dell’insalata greca seguita dal bicchiere di ouzo gelato, devo aprire ancora per un’estate le pentole a caso nelle taverne per trovare la migliore moussaka di melanzane possibile, o lo spiedino condito con lo tzatziki o il pesce arrosto accompagnato dalla crema di fave. Devo vedere e rivedere quella luce, quei colori netti, quel bianco e quel blu che in nessun posto del mondo mi appaiono così definiti. Devo farmi abbracciare dal sale e dal vento, svegliarmi con lo yogurt e il miele, guardare il mare per ore da una seggiola, finire le giornate in una taverna senza insegna. Devo partire per mare con una barchetta, trovare la baia vuota, vedere negli occhi delle mie figlie le emozioni che provai la prima volta nell’estate del ’92.
Devo capire a fondo l’isola scelta, a volte selvaggia, a volte mondana, a volte famosa e a volte nascosta, sia essa Amorgos, Patmos, Paros, Lefkada, Alonissos, Santorini o quella che devo ancora visitare. Devo capire i suoi confini, le sue persone, il rapporto che hanno col mare, con gli olivi, con le campane, con le reti da pesca, col tempo.
Devo trovare il monastero arrampicato sulla roccia, il cratere profondo del vulcano, la salita dell’acropoli, le sagome dei mulini a vento, il kastro costruito a difesa dei pirati, la chora più abbagliante che esiste, le spiagge in fondo agli scalini, le isolette dove hanno girato altri film.
Una specie di dono
“Mediterraneo” mi ha dato tutto questo, tutte queste motivazioni, tutte queste opportunità di godermi le bellezze di un paesaggio eterno e spirituale. Mi ha fatto amare il concetto stesso di isola, me ne ha fatte girare tante, nell’Egeo come Ulisse o altrove nel mondo. Mi ha fatto chiedere all’oste di una taverna di Olimpos, il paesino nel nord selvaggio di Karpathos, di mettere la musicassetta della colonna sonora mentre ci mangiavamo alici fritte e peperoni ripieni guardando i mulini abbandonati. Mi ha fatto capire Mykonos oltre le discoteche. Mi ha fatto diventare amico di pope e pescatori, cuoche e marinai, nonne e bambini e ovviamente di “moderni” filosofi greci. Per me è stato davvero un dono.
Grazie alla Grecia sono stato bene anche in isole caraibiche, italiane, esotiche, nordiche. Ma quella sensazione di attraversare un mare e sentirmi in qualsiasi isola come in una nuova casa l’ho imparata là, sotto un tempio, sotto un ulivo, sotto il sole dell’Egeo.

Non vorrei raccontare niente del finale del film anche se in moltissimi lo avete visto ma il rituale del taglio delle melanzane l’ho vissuto tante volte anche in altri paesi del Mediterraneo: a Stromboli come a Minorca, a Hvar come a Djerba. Quel finale mi ha sempre ispirato, mi ha procurato sempre dei brividi, mi ha fatto sentire a posto nel mondo.
Ma lo sapete che ogni volta che taglio una melanzana o sento il frinire delle cicale ripenso a “Mediterraneo”?? In un gesto semplice che parla di amore per la terra, di amicizia, di condivisione, in un certo senso anche di impegno, di rinascita e di responsabilità, ci ho visto tutta la poesia del film.

Una poesia semplice
Come in quell’altra magnifica scena che svela la poesia di ogni villaggio greco: quando i soldati scansano i lenzuoli e vedono i vecchi seduti sotto gli alberi, i bambini che corrono verso il mare, la musica del sirtaki che cattura l’aria a mezzogiorno. O anche la poesia donata dal restauro degli affreschi in una cappella sgretolata dal vento e dagli anni, il tuffo nel mare azzurro con una pastorella nuda, l’affetto bizzarro per un mulo, la partita a pallone in mutande col rigore negato dal pilota che arriva dall’alto a comunicare alla truppa che la guerra è finita da un pezzo (“Minchia, tre anni che state qua…”). O quella del soldato che si nasconde in una botte per non lasciare l’amore trovato sul posto (la bellissima Vanna Barba, ex Miss Grecia…), i monologhi sui filosofi e sugli dèi nati in questo mare e anche la poesia, molto terrestre e molto comprensibile, del fatto che a ogni tramonto che passa girano i coglioni!

Rivivere il film
Il bello è che le immagini del film se si ha tempo, se si ha voglia, se si scelgono certe isole in Grecia si rivivono tutte: capita spesso al viaggiatore aperto e curioso di parlare in qualche lingua di gesti col pescatore del suo ultimo polpo, col pope del suo ultimo rito, con la signora del suo ricamo, della ricetta di cucina o dei frutti dell’orto.
All’inizio del film quando i soldati incontrano i pochi abitanti di quel posto sperduto una vecchietta non capisce una parola ma gli porge i pomodori: per me è una delle scene più belle del film, per me quella è la Grecia. Dove capita di riverniciare una porta o una barca, di correre dietro a una gallina, di contemplare il mare da un muretto, da una scogliera o da un faro, di accontentarsi del mare, di partecipare a una festa paesana che non finisce mai, non si sa se più per l’effetto dell’ouzo o del sirtaki.

Il ricordo di Salvatores
La magia di “Mediterraneo” mentre continuate a immaginare quell’isola e a essere cullati dalla sua musica sta tutta nelle parole scritte dallo stesso Salvatores: “Nei primi giorni di lavorazione abbiamo avuto diverse crisi: l’isolamento, il vento caldo, la scomodità, il sentirsi così lontani da casa. Poi al disagio e allo scoraggiamento è subentrata una specie di malinconia, una nostalgia di casa, ma anche un lento e caldo senso di abbandono. Una perdita della dimensione del tempo, un rallentarsi dolce del ritmo cardiaco, un respiro più ampio. E poi una sensazione di libertà e di pulizia, di essenzialità e di profondità nei nostri pensieri, un lasciarsi andare ai ritmi naturali del mare, del sole e della luna, del vento caldo dell’Egeo. Così, giorno dopo giorno, gli otto interpreti hanno vissuto le stesse sensazioni dei loro personaggi.”

Dedicato a chi scappa
Il tema conduttore di “Mediterraneo” è senz’altro la fuga, intesa come ricerca di una nuova forma di interiorità, non condizionata da fattori ideologici ma piuttosto da connotazioni emotive.
C’entrano poco la guerra o la politica e i suoi miti, contano di più le realizzazioni personali, la fiducia nel trovare il proprio paradiso, il luogo dove stare, dove amare, dove diventare vecchi.
La fuga è citata all’inizio e alla fine del film: con la frase utopica di Henri Laborit “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare” e con l’emblematica didascalia che accompagna i titoli di coda “Dedicato a tutti quelli che stanno scappando”.
La fuga non è vista secondo me dal regista come un facile disimpegno, non è neanche una forma di protesta, è piuttosto il bisogno dell’anima di raggiungere un altrove incantato che permetta di realizzare sogni e desideri, di buttarsi alle spalle il male del mondo. La fuga è ribellarsi in modo silenzioso, rallentare (in “Mediterraneo” la radio si rompe, i giornali mancano, gli orologi non esistono) e approdare dove si vuole. Per sentire cose nuove.

La fuga per i protagonisti del film ha significati differenti: per Bisio/Noventa è l’ossessione di tornare dalla moglie, al contrario per Cederna/Farina è rimanere lì, a gestire un’osteria con la “puta” che si era offerta alla truppa ma che aveva un sorriso troppo bello per continuare quella vita. Per il tenente Montini/un ispirato Claudio Bigagli, l’orizzonte finale è la Grecia, la sua serenità classica, la sua natura, la sua arte, per il marconista/Conti scopriremo invece che l’unico orizzonte è il suo sergente…
Per il sergente Lo Russo/il miglior Diego Abatantuono di sempre, la fuga è l’illusione di tornare in Italia per “costruire un grande paese” e più avanti la delusione del ritorno nell’isola dopo il fallimento vissuto “non si viveva poi così bene in Italia, non ci hanno lasciato cambiare niente, e allora gli ho detto… avete vinto voi, ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice…”.
Il cinema di Salvatores torna spesso a questi temi, anche in “Marrakech Express”, in “Turnè”, in parte in “Puerto Escondido”: alle promesse deluse, alla nostalgia della giovinezza che scorre via, al rimpianto che la vita non è andata come si voleva che andasse.

L’isola-nido
Nel film a vincere è l’idea dell’isola come nido, come sistema chiuso, come cerchio magico, come un luogo sicuro, che protegge, che non tradisce. Quasi un ecosistema autosufficiente, una specie di mito del paradiso.
I soldati sono sapientemente descritti come dei naufraghi felici, ci mettono un attimo a capire che su Megisti non c’è nulla da temere e nulla da difendere, dopo alcune indimenticabili battute (“ma che ne sai tu di cosa mangiano i greci!”) buttano i fucili, si rilassano, vivono fino in fondo l’ozio, la natura, la dolcezza del mare e del vento, l’unione sentimentale con quel paesaggio.
Come dei novelli Robinson Crusoe devono scoprire nuovi riti di iniziazione e di commozione, nuove utopie, nuove possibilità di farcela. E al posto di una ridicola missione bellica trovano un’umanità diversa, semplice e nuova.
Viaggio a Kastellorizo
Lo scoglio dove è ambientato il film è Kastellorizo, situata a un paio di miglia dalla costa turca, alla fine del Dodecanneso, una sorta di avamposto verso l’Oriente, non a caso al centro, anche nell’epoca attuale, dell’ennesima frizione politica, economica e militare tra Grecia e Turchia.
L’entrata nel porto naturale è lenta e pittoresca, il piccolo traghetto che arriva da Rodi passa in rassegna la fila di case dai colori pastello, che ricordano lo stile della più celebrata Symi. Nella retina quei colori si fissano. La prima idea che ti fai, la prima immagine che ti colpisce è quella di una grecità allo stato puro, essenziale. Sembra l’entrata in un teatro sul mare.

Mandraki è un capoluogo tranquillo, anche se il film e la banda di simpatici attori italiani quasi 30 anni fa l’ha cambiata per sempre: se li ricordano in tanti che giravano, ridevano, facevano allegre tavolate, legavano con la gente del luogo.
“Mediterraneo” ha portato notorietà e sviluppo turistico a Kastellorizo, inevitabilmente qualche prezzo è salito, qualche depliànt in più è stato stampato, parecchi come me sono voluti arrivare quaggiù per vedere la casa azzurra di Vassilissa, la piazzetta del villaggio, le rovine del fortino, la chiesetta panoramica dove il tenente nel film restaura le icone bizantine. Ma il bagno in un mare limpidissimo, con riflessi di smeraldo, si può fare ancora nelle acque del porto, o nella meravigliosa Grotta Azzurra, o nelle calette più nascoste. Le taverne che servono le famose polpette di ceci, la fresca retsina e il pesce arrosto appena pescato per fortuna prevalgono ancora sui fast food.
I colori delicati delle case sono rimasti tutti al posto loro, i vecchietti locali ti sfidano volentieri a backgammon, il traffico è assente e una grande sensazione di pace, di silenzio e di splendida natura ti accoglie. Tranne il primo agosto quando in occasione della Festa di Agio Stefano l’isoletta si anima e si accende con la sua gente. Gente che ama gli italiani, a differenza di tedeschi e inglesi che bombardarono l’isola o causarono dolorose deportazioni dei suoi abitanti durante la seconda guerra mondiale.
I temi della Grecia più semplice a Kastellorizo ci sono tutti, dalle reti da pesca alle cicale, dal rito di una pausa nei Kafenion sul porto alle note del Sirtaki che conquistò i soldati del film, dalle chiesette imbiancate di calce ai tramonti più incredibili. Da guardare nell’unico modo possibile: tagliando una melanzana.

Il Trailer del Film
1 Commento
Andrea
2 Marzo 2021 at 10:33 amMERAVIGLIOSO!!!
Mi sono commosso come un bambino, non so cosa darei per aver scritto io questo articolo stupendo.
Amo la Grecia e i greci infinitamente, da oltre 35 anni, e anch’io, almeno ad anni alterni, DEVO assolutamente andare (sono ormai 25 le isole viste, alcune anche più volte).
Non solo. Forse conseguentemente a ciò, amo “Mediterraneo” più di qualsiasi altro film di sempre; visto e rivisto, rimane sempre un’emozione forte riviverlo e ripetere ogni volta ogni singola battuta.
Vorrei conoscere l’autore di questo articolo per ringraziarlo di quanto mi ha fatto provare, soprattutto nelle descrizioni di cose, persone, cibi, situazioni, atmosfere in cui mi sono ritrovato totalmente.
E’ possibile avere un suo contatto?
Grazie. Andrea