1789
La Rivoluzione di popolo più famosa della storia. L’ammutinamento di marinai più celebre di sempre. Facile legare l’anno 1789 a uno scoppio di energie, sinonimo evidentemente di una prova di forza e di ribellione che dalla Francia ai Mari del Sud significò un grande sconquasso degli equilibri consolidati! Lasciando stare le vicende della presa della Bastiglia, di Robespierre e Danton e di ghigliottine varie proviamo a spostarci con l’immaginazione e con l’aiuto di qualche cronaca e di qualche riuscitissimo film in quel lembo di paradiso vergine rappresentato dai mari solcati dal Bounty.

La missione del Bounty
Il comandante del Bounty fu William Bligh, uno che di mare ne sapeva, avendo navigato insieme al leggendario Capitano James Cook.
Se ne stava tranquillo nella sua Isola di Man quando venne scelto per capitanare il vascello destinato a passare alla storia della marineria per la rivolta del suo equipaggio. Bligh a 34 anni ci vide un’occasione inaspettata di gloria e accettò.
Per una spedizione in acque così lontane da quelle inglesi il vascello non era abbastanza grande, non raggiungeva neppure i 30 metri, e anche l’equipaggio (46 uomini in cerca letteralmente di fortuna, il più piccolo di 12 anni) e lo spazio a disposizione erano davvero ridotti. La paga dello stesso Bligh non era affatto granché e il titolo di comandante gli venne più o meno regalato, coi suoi uomini consci di tutto questo. Il grande viaggio nasceva quindi con dei grandi limiti.

(il modellino del vascello Bounty secondo una ricostruzione di wikipedia)
La missione dei marinai del Bounty si inquadrava perfettamente nel clima dell’Inghilterra del tempo, che favoleggiava sulle avventure e le conquiste della Corona, sulla gloria navale, su nature esotiche da studiare, su nuove colonie da fondare, su ricchi bottini da trovare in mari lontani.
Ma era chiaro a tutti che la nave partiva appunto in condizioni sgradevoli e che la missione non serviva alla patria né alla marina inglese né alla scienza ma a più basse motivazioni tutte basate sulla cupidigia e sul profitto.
Nello specifico, per volere dell’impresario Joseph Banks, molto vicino alla Casa Reale, il compito del Bounty consisteva di riportare dall’esotica Tahiti gli alberi del pane e per questo motivo la già stretta stiva venne trasformata in una sorta di vivaio galleggiante, con doppio pavimento per sistemare i vasi di fiori, un sistema di drenaggio dell’acqua per innaffiarli con regolarità, delle prese di aria e di luce create ad arte nella pancia della nave.

(immagine della pianta e del frutto dell’albero del pane presa da wikipedia)
Il motivo della tanto agognata ricerca dell’albero del pane a pensarci bene faceva rabbrividire: più che sistemarlo nei giardini botanici di Kew Gardens vicino Londra, si voleva trapiantare nei possedimenti inglesi ai Caraibi per sfamare coi suoi grossi frutti, dal sapore e dalla consistenza del pane, i poveri schiavi che lavoravano nelle campagne oltreoceano… Eccolo il profitto: schiavi più nutriti che potevano lavorare di più e quindi rendere di più.
E la missione era ancora più ipocrita perché a sostegno degli indigeni schiavi delle Indie Occidentali, a curare la loro futura alimentazione, veniva spedita una nave il cui nome significava “Carità”.
Lo stile di comando di Bligh
Bligh si rivelò da subito un comandante assai meticoloso, puntualissimo nel redigere il suo diario di bordo, nell’assegnare i compiti a bordo della nave e nel pretendere la loro attuazione. Tra i fogli delle sue memorie furono ritrovati ovviamente quelli contenenti i nomi di tutti gli ammutinati che una volta tornato in Inghilterra il comandante avrebbe voluto assicurare alla giustizia, al costo di spedire altre dieci navi inglesi a cercarli sulle spiagge e gli atolli della Polinesia.
L’allievo di Cook sapeva benissimo che sul Bounty aveva una brutta gatta da pelare e che per tenere unita e fedele quella ciurma di disperati verso un obiettivo doveva assumere un atteggiamento severo, più che severo spesso dispotico.

(due ritratti di William Bligh presi da wikipedia)
Tutte le decisioni passavano da lui, a chi assegnare i turni più faticosi, le vedette e le cucine, le modalità per razionare il cibo e l’acqua, le posizioni per dormire sui giacigli, i contentini a base di alcol, tabacco e concertini di violino la sera sul ponte! Decideva ovviamente anche sulle punizioni e sulle frustate per i disubbidienti o per le dure giornate in isolamento. Voleva il controllo assoluto sull’igiene dei marinai, perché non poteva permettersi malati o peggio ancora dei morti per malattie.
Vigilava sulla pulizia quasi ossessiva della nave stessa, che doveva essere un ambiente salubre e perfetto e per questo odorava spesso di aceto.
L’umore a bordo dipendeva davvero dall’umore di Bligh. Che era presuntuoso, irascibile ma anche perfezionista e preparato. Non poteva fare un errore, non poteva permettersi una distrazione, ne valeva del suo prestigio personale.
I perché della crisi
Tanta severità e tanto perfezionismo dispotico aprirono certamente una crepa in quell’equipaggio di sbandati ma probabilmente il più evidente motivo dello storico ammutinamento fu quello legato alla destinazione finale stessa del Bounty: aaahhh Tahiti…, la dolcezza della Polinesia, l’incanto della vita nei Mari del Sud, una vita serena, pigra, tra paesaggi da idillio, palme, ruscelli, verde, spiagge scure di lava, scenografiche cime vulcaniche, frutta tropicale abbondante e squisita, bellissime ragazze vestite con pochi tocchi di stoffa, olio profumato nei capelli, pelle scura e sguardi e corpi molto disponibili.

(Paul Gauguin, Manao tupapao, immagine presa da wikipedia)
In quella Polinesia c’era un ritmo di vita totalmente diverso e tranquillo, un Eden proprio lì, a portata di mano, “pericolosamente” troppo sensuale e troppo disponibile.

(Paul Gauguin, La Orana Maria, immagine presa da wikipedia)
Era perfettamente normale che un richiamo del genere diventasse irresistibile come quello delle sirene per i compagni di Ulisse e che tanti marinai piuttosto rozzi e analfabeti, in alcuni casi ex galeotti con sfregi sulla faccia volutamente allontanati dal Regno Unito, abituati alle durezze della vita sugli oceani, alle malattie tropicali come allo scorbuto e alle tremende tempeste, preferissero piantare per sempre le tende laggiù.
Viziati, rilassati, coccolati.
Pronti a imparare una nuova lingua, a tatuarsi da capo a piedi in amore alla nuova cultura indigena (il giovane Fletscher si fece tatuare il sedere!), a quell’angolo di paradiso che sentivano di meritarsi dopo una vita di stenti.
Uomini dimenticati dal mondo natìo e forse contenti di dimenticarlo a loro volta.
E allora dopo qualche sporadica ribellione e diserzione nel lungo soggiorno tahitiano, poco dopo l’inizio del nuovo viaggio in mare successe quello che successe perché quegli uomini dannati, brutti, violenti, puzzolenti, piuttosto che riprendere tra venti gelidi e caldi insopportabili il viaggio di ritorno di 12.000 miglia, piuttosto che sentirsi ancora più soffocati dai comandi di Bligh, piuttosto che rinunciare ai piaceri sfrenati (gola, sesso, indolenza) allora malvisti in un paese puritano, piuttosto che abbandonare quelle isole da sogno, presero una decisione che segnò per sempre la storia del Bounty.
I fatti

(In rosso la rotta del Bounty, in verde quella di Bligh e in giallo quella di Fletscher dopo la rivolta)
Il viaggio del Bounty sotto il comando di Bligh era stato lunghissimo, partito a Natale del 1787 dalla britannica Portsmouth, capace di attraversare mezzo mondo, prima Tenerife alle Canarie, poi l’inutile lotta contro il muro d’acqua di Capo Horn e la scelta conseguente di deviare la rotta verso Cape Town in Sudafrica, e poi ancora in Tasmania e alla fine Tahiti.
Data di arrivo in Polinesia il 26 ottobre del 1788, sei mesi fermi per portare a termine la missione, prelevare gli alberi del pane, innamorarsi di quelle isole, di quelle lontananze esotiche, di quelle acque cristalline percorse in canoa, di quelle persone disponibili, dei mille frutti della terra.
Sei mesi che resero possibile l’integrazione coi nativi fin dall’inizio, visto che ai marinai che sbarcavano sulle spiagge di Tahiti vennero regalate noci di cocco e maialini, ghirlande di fiori e inviti a banchetti, se non le figlie dei capi villaggio per i loro lieti intrattenimenti!
In quella felice e spensierata parentesi ci fu la nascita di nuove famiglie ma anche il germinare della crisi, dei motivi di inquietudine legati alle ansie del ritorno. Che cominciò appena 24 giorni prima dell’ammutinamento, avvenuto davanti all’isola di Tonga, perché gli umori degli uomini erano ormai precipitati, gli scontri con Bligh frequenti, le frasi contro di lui minacciose: “Mi state rendendo la vita un inferno” gli urlava ormai in faccia un nervosissimo Fletscher.

(un ritratto di Christian Fletscher e la sua tomba, immagini prese da wikipedia)
E poi cadde la classica goccia che fece traboccare il vaso: un paio di spedizioni a terra volute da Bligh in cerca di acqua e legna a Namuka, isoletta dell’arcipelago di Tonga, vennero derubate dagli indigeni e allora Bligh prese in ostaggio i capi dei nativi fino a quando la refurtiva non fosse stata riconsegnata. Fletscher vide gli indigeni piangere, si commosse e fu accusato da Bligh di essere una canaglia e di aver paura di quei selvaggi mezzi nudi.
Poco dopo un’altra litigata furiosa per il razionamento delle noci di cocco. L’accusa di Bligh a Fletscher di essere pure lui un ladro. Il giovane capitano in seconda che si mette a bere tutta la notte. Lui coi suoi pensieri di rivolta. Lui che rivuole il suo Paradiso.
Il Bounty aveva le ore contate.

(immagine dell’ultimo film sul Bounty, presa da wikipedia)
(continua…)
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