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Cultura da Viaggio

Nei mari del Bounty – seconda parte

L’ammutinamento

L’ammutinamento del Bounty fu incruento, senza spargimento di sangue alcuno.

Il capitano Bligh una mattina di fine aprile, il 28 aprile del 1789 secondo la testimonianza del suo scrupoloso diario, con la luna ancora in cielo, il mare calmo, la nave che procedeva spinta da una piacevole brezza nel suo lungo ritorno a casa, venne sopraffatto in pratica nel sonno e ancora in pigiama abbandonato in mezzo all’oceano insieme ai suoi fedelissimi. In tutto 19 persone, alla deriva, su una scialuppa, con una bussola, senza mappe, con poca acqua e poco cibo (pare 75 kg di pane, 16 kg di carne di maiale salmistrata, una dozzina di bottiglie di rhum e vino e 125 litri d’acqua), la destinazione pressoché ignota, e col gelido saluto del capo dei ribelli, il comandante in seconda Christian Fletcher, che alle proteste veementi di Bligh – “Assassinio!” – rispose così: “Chiudete la bocca Sir, è troppo tardi”.

L’ammutinamento del Bounty fu incruento, senza spargimento di sangue alcuno.

Fa sensazione sapere che a capeggiare la rivolta fu proprio Fletscher, che venerava Bligh, che aveva già viaggiato con lui, che come lui proveniva dall’Isola di Man, che era istruito, rispettoso, educato, sensibile, figlio di una buona famiglia caduta in disgrazia. Anche Fletscher come molti altri del Bounty viaggiava per mare per salvare qualcuno. Ma alla fine decise di salvare soprattutto se stesso e al grido di “Evviva Tahiti” prese con molti compagni il controllo della nave. Perché voleva liberarsi del tiranno e rimanere per sempre a Tahiti.

In un attimo William Bligh per questo inaspettato tradimento era rimasto da solo nell’immensità del mare, non aveva più niente. Né la sua gloria, né la sua carriera personale. Tantomeno gli uomini da comandare, gli ordini da impartire, le mappe di scoperta da disegnare, gli alberi del pane da consegnare agli schiavisti inglesi dei Caraibi.
E’ commovente pensare alla sua particolare forma di sua resistenza umana, annotata nei famosi diari: allontanava l’idea del naufragio, della sconfitta, della morte, continuando a descrivere sui suoi quaderni gli uccelli, le coste, le isole, gli insetti, le bacche e le piante che incontrava.
Un diario aggiornato per restare vivo.

locandine dei film sul Bounty
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(locandine dei film sul Bounty)

Il destino di Bligh

La corrente spinse il comandante deposto e i suoi compagni naufraghi verso le Fiji, la Nuova Guinea, Giava in Indonesia. Si salvarono per miracolo dopo 48 giorni di mare, 3.600 miglia marine percorse, paurosi nubifragi, un morto per gli scontri con gli indigeni a Tofua, arrivando finalmente nella base olandese di Timor assolutamente provati, affamati e ricoperti di stracci. Ma col barlume di dignità degli ufficiali inglesi ancora negli occhi.
Parecchi di loro moriranno una volta a terra per gli stenti (immaginatevi mangiare una fettina di pane e un bocconcino di carne al giorno e bere col contagocce) e le malattie contratte, per i muscoli distrutti, per la grande umidità della giungla di Timor. Non per la mancanza di provviste che Bligh aveva tenacemente conservato. Non per la sua mancanza di coraggio, visto che su quella scialuppa aveva lottato come un leone, evitando che affondasse nei marosi liberandola progressivamente di tutto il carico inutile, individuando a memoria la rotta conosciuta con Cook e permettendo ai naufraghi di trovare la via della salvezza.

Bligh rientrò a Londra come un eroe, nel marzo del 1790.

Come prima cosa ottiene dalla corona inglese la caccia ai ribelli: la nave Pandora prese la rotta dei Mari del Sud per questo motivo ed effettuò 14 arresti a Tahiti. Sei ammutinati tra i più ribelli vennero scovati nelle loro capanne, in braccio alle loro nuove mogli polinesiane e condannati a morte.

La lunga mano di Bligh aveva ottenuto, parzialmente, la sua vendetta. Soprattutto perché Fletscher non venne mai ritrovato.

Il destino di Fletscher

Che fine fece il capitano in seconda?
Destino difficile fu anche quello degli ammutinati che sotto il comando di Fletcher, impersonato prima da Clark Gable, poi da Marlon Brando e infine da Mel Gibson nelle versioni cinematografiche più famose del Bounty, litigarono e si divisero.

Alcuni scelsero Tahiti dove vennero poi catturati, altri vagarono quasi altri nove mesi per mare, sbarcando con degli amici indigeni e delle belle donne rapite nella impervia e sperduta isola di Pitcairn, dove chi non morì per le battaglie coi nativi provò a mettere su famiglia.

Agli antipodi del mondo. A costruire capanne, focolari, orti, giardini.

Con la storia del Bounty a segnargli la vita che restava.

Alcune cronache raccontano dello stesso Fletscher ucciso dai tahitiani che aveva incominciato a trattare come schiavi: la fine del Paradiso, il Paradiso offeso e quindi capovolto in Inferno.
Anni dopo fu il Capitano Folger, a bordo del veliero statunitense Topaz, a scoprire alla fine del mondo l’ultimo sopravvissuto degli ammutinati e gli eredi dei ribelli del Bounty.
Nel 1791 William Bligh ritorna a Tahiti e stavolta riporta indietro gli alberi del pane. Gli schiavi dei Caraibi ora hanno più cibo per restare in salute, più produttivi di prima. Ma Bligh che nei film che tutti ricordiamo verrà interpretato dai bravissimi Charles Laughton, Trevor Howard e Anthony Hopkins, non trova più l’isola dei sogni, ormai il Paradiso è anche per lui perduto, perché inquinato dal contatto con gli inglesi. Coi tempi moderni, con le nuove abitudini, le nuove malattie.
Gli indigeni polinesiani non vanno più in canoa, non colgono più spensierati la frutta, sono spesso ubriachi e sporchi, rovinati da nuovi desideri e nuovi germi e le donne hanno trovato nell’amore a pagamento il loro nuovo lavoro. Dalla libertà sessuale alla schiavitù sessuale.
In Inghilterra l’eco degli ammutinati del Bounty riprende vigore nell’età romantica, il fratello di Fletscher contribuisce a creare la leggenda di un eroe libero come il mare e come il vento, ripreso dalla letteratura e dal cinema che ben conosciamo (vedi trailer ultima versione)

gli ammutinati del Bounty , film e documentari
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La Polinesia di oggi

Cosa è rimasto di questo affascinante mondo di mare e di isole, di fuoco e corallo che è stato il palcoscenico dell’epopea del Bounty?

Si può parlare ancora del “Giardino dell’Eden” descritto durante le sue esplorazioni dal mitico Capitano James Cook?

Di che tratti si è popolato il sogno oltre che dei colori e dei paesaggi indimenticabili ritratti dal pittore francese Paul Gauguin?

Nei Mari del Sud è sopravvissuta una cultura autoctona o tutto si è adeguato ai lussuosi viaggi di nozze accolti con ghirlande di fiori e balletti polinesiani?

Il suono emesso dalle grandi conchiglie, le danze più antiche delle vahine o il corpo tatuato da mille segni ancestrali esprimono ancora la cultura dei nativi?

Le madrepore, i coralli, i pesci colorati e le razze possono proseguire tranquilli la loro esistenza o qualche nuovo test atomico nei fondali del Paradiso metterà in pericolo questo magnifico ecosistema?

A Bora Bora, Moorea, Rangiroa e nelle 117 piccole grandi isole della Polinesia Francese oltre alla perfezione della vacanza si possono vivere altre esperienze?

Bora Bora, Moorea, Rangiroa e nelle 117 piccole grandi isole della Polinesia Francese

Sensazioni degli anni 2020

Di certo davanti a certe viste, alla magica laguna turchese o ai sentieri panoramici di Bora Bora, alla baia di Cook a Moorea circondata da coni vulcanici e verdi valli dove crescono la vaniglia, l’ananas, il mango, la papaya e il famoso albero del pane che era diventato la fissazione di William Bligh, davanti agli idoli in pietra dei Tiki semi-nascosti nel folto della vegetazione laddove si compivano i riti sacri, al lento incedere delle piroghe tra i colori viola e arancio di un tramonto, al lusso semplice di certi resort costruiti su romantiche palafitte verrebbe da dire che sì, il sogno è ancora assolutamente intatto, che il Paradiso esiste ancora. Che la Polinesia stupisce sempre per le sue sfumature, per la sua dolcezza, per la sua natura primitiva, per la sua cultura autentica. Per quella idea di altrove esotico che esprime.

Paul Gaugin, Viaggio a Tahiti, immagine presa da wikipedia
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(Paul Gaugin, Viaggio a Tahiti, immagine presa da wikipedia)

Di certo davanti ai lunghi capelli neri delle ragazze ornati di corone di bouganville e frangipani, ai loro fianchi che ondeggiano sensuali coperti da gonnellini di paglia, a vedere quanta armonia e bellezza esprimono certe danze tamure grazie al semplice movimento leggero delle braccia e delle mani, sembra di rivivere le scene dei quadri di Gauguin. Di immaginare gli sguardi languidi e i corpi avvenenti delle polinesiane che sedussero senza possibilità di pentimento i rudi ammutinati del Bounty.

Paul Gaugin, E l’oro dei loro corpi, immagine presa da wikipedia
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(Paul Gaugin, E l’oro dei loro corpi, immagine presa da wikipedia)

Il culto della danza

La danza polinesiana ha ovviamente anche il suo lato più guerresco e maschile, infatti nei balli degli uomini si scorgono elementi della Haka neozelandese, gli stessi veementi passi dei Maori, con i bicipiti esposti in fuori e le linguacce esagerate. L’accompagnamento musicale e il ritmo sincopato sono garantiti dai tamburi e dai bastoni o noci di cocco battute su dei tronchi cavi.
L’apice dei Festival di danza in Polinesia, accompagnato parallelamente da manifestazioni folkoristiche come la corsa dei portatori di frutta o le regate in piroga, si raggiunge ogni anno a luglio con l’Heiva di Tahiti dove i migliori gruppi del Pacifico meridionale sfilano sul Boulevard Pomare di Papeete coi loro costumi colorati, le acconciature curatissime, i fiori intrecciati e i corpi ben tatuati per poi esibirsi per la gioia dei turisti.
I primi eventi Heiva furono organizzati, anzi imposti dai francesi nel 1881, per celebrare la data della Rivoluzione sul suolo natìo, il 14 luglio 1789. Erano passati solo pochi mesi dall’ammutinamento del Bounty e gli europei stavano già scoprendo questi paradisi.
Più di recente, precisamente nel 1985, si è deciso che la data clou dell’Heiva diventasse il 29 giugno, data storica per la Polinesia perché il 29 giugno del 1880 segnò la vendita di Tahiti alla Francia, mentre il 29 giugno del 1985 significò per gli abitanti delle isole la conquista di una certa autonomia negli affari e nei costumi e riti locali. Che tra volteggi sensuali e danze del fuoco vengono in qualche modo onorati e difesi.
Queste sensazioni inebrianti ed esotiche riescono a sopravvivere nel ricordo di un viaggio nei Mari del Sud, anche quando ripensi alle scene un po’ artefatte del tuo arrivo, alle musichette e alle ghirlande di fiori, alla scintillante e moderna Tahiti che prova a stupirti col suo mix di retaggi romantici e di lussi attuali, i grandi alberghi, gli show confezionati, i ristoranti gourmet, gli spettacoli a uso e consumo del turista, le foto in piroga al tramonto, la collana di perle nere che vengono strappate dalle ostriche del mare di Mahini per far felice la sposa occidentale di turno…

Il ruolo della Francia

Tutte le comodità portate a Papeete dai francesi, dal loro genio, dai loro capitali, dai loro espatriati venuti a svernare e ad arricchirsi quaggiù riescono tutto sommato a fondersi con gli elementi della cultura locale e coi favolosi paesaggi naturali.
Dalla Francia per le isole del sogno arrivò anche una valanga di soldi, una nuova possibilità di sviluppo basata in primis sul turismo di lusso e poi sulle industrie, non più solo sull’esportazione di fiori, vaniglia e copra (la polpa essiccata del cocco che serve a produrre oli, profumi e cosmetici).
Di certo i francesi dai tempi di De Gaulle hanno portato nelle acque della Polinesia anche i loro esperimenti nucleari, provocando per esempio nel 1995 grandi proteste a Tahiti. E anche se nei fondali limpidissimi e ricchissimi di questi atolli le madrepore continuano a crescere e le razze a nuotare, la paura che un paradiso come Moorea sia stato in qualche modo contaminato esiste eccome.
In sostanza i nostri cugini d’Oltralpe devono essere molto bravi a mantenere un equilibrio tra sviluppo alberghiero e conservazione ambientale e soprattutto devono continuare a inondare la loro colonia del Pacifico di ingenti investimenti destinati a produrre lavoro e benessere, sennò i venti di indipendenza a Tahiti potrebbero soffiare più forte. E i giovani polinesiani potrebbero tatuarsi ancora di più, per riscoprire e difendere le loro storie e le loro origini. E le Maree, i luoghi sacri nelle foreste e nelle vallate dell’interno potrebbero riunire come in passato i seguaci in preghiera, stavolta non per richiamare dal mare gli antenati ma per esprimere il sogno di avere un futuro finalmente autonomo.

Un desiderio questo che va anche compreso: con quante altre persone vorreste dividere il Paradiso?

(Per chiudere ecco a voi la musica sul Bounty di Vangelis)

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