Menu
Cultura da Viaggio

Nella pancia degli Usa – seconda parte

Piccoli, soli, normali

Oltre ai film a sfondo razziale, di lotta e denuncia, l’America più profonda è stata spesso e volentieri colta nelle storie più normali, più quotidiane. Dove il gesto più eclatante è il lavoro di sempre, dove i protagonisti sono eroi di provincia o uomini e donne piuttosto dimessi. Dove la scena della campagna e delle cittadine tutte uguali domina su ogni altro paesaggio. Dove ogni tanto, solo ogni tanto, brilla il genio, il talento o la novità di un’idea. O la scoperta fortunata di un pozzo di petrolio.

Un America tutto sommato tranquillizzante, che basta a se stessa e che in se stessa si specchia.

Un America tutto sommato tranquillizzante, che basta a se stessa e che in se stessa si specchia.

Affannata come è a difendere i valori del passato, o le sue chiese inquinate dalle sette, o le sue terre sconvolte dai tornado. America minore se si vuole, un po’ retrograda e pessimista, ma sempre America.

America minore se si vuole, un po’ retrograda e pessimista, ma sempre America

Film dall’America minore

Il ritratto di questo immenso paese è affidato spesso a pellicole minimaliste, fatte di paesaggi, atmosfere, silenzi. Film con personaggi essenziali, scarni, romantici o malinconici ma più spesso disillusi.

Una storia vera” del 1999 è un lavoro molto particolare e molto tenero, che tocca il cuore, raccontando il viaggio di un vecchio su un trattore nella anonima provincia americana. Il visionario David Lynch qui si dedica a ritrarre un mondo davvero minore e nascosto, di piccole cose, di piccoli affetti, di piccoli sogni. Ci fa conoscere la storia appunto vera di un contadino settantenne che allo “stupefacente” ritmo di 8 km/h percorre quasi 400 km in 6 settimane, per andare a trovare il fratello colpito da un infarto.

Rallentando e riflettendo, sul suo goffo e sbuffante tosaerba, riflettendo e rallentando. Valorizzando al massimo ogni legame umano, oltre che quelli ancestrali della famiglia.

E stavolta siamo nella pancia nord dell’America, nel Wisconsin delle praterie e del grano, vicino alla regione dei Grandi Laghi.

Il mezzo del viaggio è volutamente (?) un semplice trattorino e non una fuoriserie, la galleria di personaggi che il vecchio incontra popola il film e fa bene all’anima, la colonna sonora è struggente e si avverte in tutti i momenti e in tutte le scene un elogio della lentezza e un’elegia della vecchiaia. Secondo il critico Tiziano Sossa “è un film che resta”. E siamo d’accordo.

Nomadland” invece è una cronaca dell’abisso, quello dove finiscono i senza-lavoro, i senza-famiglia, i senza-casa: camper e carovane viaggianti, il destino degli ultimi, gli spazi americani percorsi per resistere e ritrovarsi. Anche da chi non ce l’ha fatta, anche da chi nell’opulenta America è rimasto irrimediabilmente indietro.

La sceneggiatura di “Nomadland” proviene dall’omonimo libro toccante, il film scatena ancora una volta i sensi di colpa dell’America vincente e sognante e vince l’Oscar nel 2020 per il miglior film (ma ha vinto pure il Leone d’Oro e il Golden Globe), la migliore regia e la migliore attrice protagonista, che poi è la stessa di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, Frances Mc Dormand, quasi a darci la riprova che certe facce dure e segnate, certi caratteri scolpiti nel ferro, siano i più adatti a rappresentare certi stati d’animo e certe storie di persone arrabbiate, deluse o alla deriva.

“Nomadland” invece è una cronaca dell’abisso, quello dove finiscono i senza-lavoro, i senza-famiglia

Il viaggio di una donna di sessant’anni, colpita dalla vita (perso il marito, perso il lavoro) si esplica quasi a caso dal Nevada al cuore occidentale dell’America, in compagnia di altri nomadi come lei, abituati tutti a vivere ai bordi delle città, delle regole sociali e delle convenzioni. Passa fortemente il messaggio di un paese minore, di una popolazione che arranca ma che non molla mai. E anche qui resta impressa nella mente dello spettatore la piccola epopea di un popolo di dimenticati, di offesi e di emarginati.

Con gli altri grandi protagonisti che sono i deserti, le notti stellate, i posteggi abbandonati, le fabbriche chiuse, i van malconci, le filosofie da viandanti e i sorrisi tristi, qualche lacrima. Tutto l’opposto del Nevada finto e vizioso di Las Vegas. Tutto l’opposto della vita stanziale e degli affetti classici, della casa e della famiglia, viste come zavorre da cui liberarsi, perché hanno deluso, perché sono cambiate o perse.

Splendida la fotografia e commovente la colonna sonora di Ludovico Einaudi come ciliegina.

Elegia dei diversi

Nella pancia dell’America a volte si incontrano eroi minori, bizzarri e diversi.

Due su tutti si ricordano al cinema, “Forrest Gump” e “Rain Man”, usciti rispettivamente nel 1994 e nel 1988 e premiati con entrambi con l’Oscar.

Il primo è un film molto particolare e surreale, l’incrocio stranissimo di destini tra un giovane con problemi fisici e cognitivi e i grandi eventi e personaggi americani (Kennedy, Nixon, Elvis Presley, John Lennon). Simboliche nel film la corsa e la piuma, la leggerezza e la casualità.

“Forrest Gump” e “Rain Man”, usciti rispettivamente nel 1994 e nel 1988

La serie di location americane nel film con protagonista Tom Hanks è davvero impressionante: la panchina di un parco pubblico dove comincia il racconto, a Savannah, in Georgia, Washington D.C dove Forrest causa il watergate e partecipa a una manifestazione pacifista, la North e South Carolina, lo Utah, l’Arizona, la mitica Monument Valley coi suoi spazi liberi che fanno sognare anche un animo ingenuo come quello di Forrest, “capace” ma assolutamente inconsapevole di ritrovarsi sempre in mezzo a un evento o a un momento storico della nazione, a un raduno hippy, come su un campo da football o a rasare un prato o ad affrontare un uragano su un peschereccio o addirittura a combattere nella guerra in Vietnam.

“Rain Man” è a tratti simile, col tema del viaggio quasi obbligato perché il fratello autistico e sensibile, Dustin Hoffmann, costringe quello più giovane e più cinico, Tom Cruise, a girare l’America in auto per paura dell’aereo. E il viaggio verso Los Angeles, lento, intimo, lungo, come sempre significa scoperta e conoscenza. E anche un colpo di fortuna, perché Il “malato” ha in dono in realtà una memoria prodigiosa che aiuta l’altro a vincere al tavolo di un casinò, risanando i suoi debiti.

Creatività e talento nascono anche qui

“Pomodori verdi fritti alla fermata del treno” del 1991 e  “Elvis” del 2022

Ma chi lo ha detto che nella pancia dell’America ci sono solo paesaggi minori, vite spente e valori tradizionali?

Un piccolo film come “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno” del 1991 è una favola di provincia, che mette in scena i valori creativi e solidali del sud americano. Nel piccolo Caffe di una stazioncina dell’Alabama delle donne gestiscono una simpatica attività in barba ai pregiudizi maschilisti e razzisti di tante persone che le circondano.

Mentre il recente “Elvis” del 2022 permette un viaggio affasciante nel mito di Memphis e tra i successi e le cadute del re del rock. Uno come Elvis poteva nascere e cantare solo in questo tipo di America, con le sue goffaggini, le sue esagerazioni, il suo candore e la sua poesia.

Impressionante in questo film l’adesione totale dell’attore Austin Butler al grande personaggio che era il simbolo stesso dell’arte e della moda, della musica e del rock. La più potente macchina di spettacolo del XX secolo, l’idolo assoluto di una generazione.

Un film in apparenza minore, ma delicato e sensibile è poi “Alabama Monroe” del 2012, che mette in scena una tragica storia d’amore tra la musica country e la passione dei tatuaggi, l’atmosfera fumosa ed elettrica dei concerti live e il grande dolore causato dalla perdita di una bambina. Sullo sfondo la fotografia di un paesaggio e di una vita sempre umili, sempre marginali. Nel finale il tema discusso dell’eutanasia e della memoria che sopravvive a tutto il resto.

“Alabama Monroe” del 2012 e “Footloose”, con Kevin Bacon

Talento in bella mostra in un ultimo film che nella sua leggerezza penetra comunque moltissimo nella sonnolenta vita della provincia americana: “Footloose”, con Kevin Bacon ragazzo che nel 1984 agita testa, corpo e “i piedi sciolti” in una commedia giovanilista dove quello che da un pastore viene ritenuto “il demone del ballo” si affianca bene a sfide e passioni giovanili, nella desolata comunità di Elmer in Oklahoma, che riesce a ritenere peccaminosa una certa condotta di vita, la voglia semplice di fare festa e addirittura la lettura di certi romanzi. Ma quel paese esiste.

Un modo di raccontare

Con sfumature diverse, che vanno dall’idillio, al mito, alla tragedia, tutti questi film mettono in scena la facciata dormiente dell’America, illustrata benissimo anche dalla serie “True Detective”.

Rivederli significa fare o rifare un viaggio tra la Louisiana e il Mississippi di Tom Sayer e del rhytm and blues, nel vuoto Oklahoma e nel polveroso Kansas, nell’Arkansas torbido di “Devil’s Knot” dove a pagare per l’omicidio di tre ragazzi sono tre coetanei adoratori del diavolo, nell’Alabama struggente, tra la Georgia immortalata in “Via col Vento” e il gigantesco Texas di “Non è un paese per vecchi”, la North e South Carolina di “Velluto Blu” di Lynch, fino al placido Tennessee.

Terre che sono un melting pot di culture, musiche, religioni e gastronomie diverse, sicuramente terre tradizionali, a volte ancora scosse dalle vicende di sette sataniche, immerse nell’oscurantismo e nella morale bigotta, più spesso regioni da vivere con calma per capirle fino in fondo, contraddizioni incluse.

Perché questa è la pancia dell’America, dove il vento soffia sui campi di grano, le campane attirano ancora le persone e le stesse persone guardano diffidenti i nuovi arrivati. Un America che in fondo racconta storie di dolore ma anche di amore.

La pancia dell’America, piccola galleria cinematografica (2):

La splendida colonna sonora, la frase sulla vecchiaia e la dolcissima scena sul valore della famiglia di “Una storia vera”

il trailer e la fotografia di “Nomadland” e lo splendido sonetto di Shakespeare sull’amore e sull’estate

il trailer e la scena finale di “Forrest Gump”, un viaggio dentro tutta la pancia dell’America, con leggerezza

il trailer di “Rain Man”

il trailer di “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”

il trailer di “Elvis”

il trailer di “Alabama Monroe”

il trailer di “Footloose”

il trailer di “Devil’s knot”

l’opening song di “True Detective”

Offerte e prezzi

Non ci sono Commenti

    Lascia un commento

    Iscriviti al Grillo Viaggiante e Caesar Tour Clicca qui

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi