Il destino di un fiume
Il destino di un grande fiume è quello di segnare la storia del suo paese e il Mississippi ha fatto parte parecchie volte della storia degli Stati Uniti d’America. Gli ha fatto vivere l’epopea dei battelli a vapore e ha nascosto nelle sue acque le migliaia di soldati morti durante la guerra civile, ha visto le sponde abitate dagli indiani e lavorate dagli schiavi negri, le sue acque percorse dai ragazzini di Mark Twain e dai viandanti di Kerouac. Ha ispirato musiche e film, letteratura e esplorazioni. Ha fortemente contribuito a costruire buona parte dell’identità e del folklore degli Usa.

Coi limiti che ha un breve reportage giornalistico abbiamo provato a raccontare questo e altro nelle due puntate “Le storie del Mississippi” che ritrovate nel Topic “Album” de “Il Grillo Viaggiante”. Ora per completare il viaggio sul fiume-simbolo di un continente serviva toccare i suoi principali approdi, le città che hanno significato la nascita del jazz, del blues e del rock. Seguiteci, se vi fa piacere.
Minneapolis, il Mall più grande sul Mississippi

Diciamolo subito non è la prima città americana che andresti a visitare, come il Minnesota non è il primo stato per interesse, natura e cultura. Qui prima dell’arrivo degli esploratori francesi vivevano i Sioux Dakota, in un paesaggio ricco di cascate e di laghi. Da uno di questi, l’Itasca, nasce però il Mississippi e quindi una menzione della città va fatta. L’altra riguarda il suo stile moderno, sfociato nell’attrazione del Lego Imagination Center e soprattutto nel Mall of America, il più grande Centro Commerciale degli Stati Uniti, visitato ogni anno da 40 milioni di persone, uno di quei posti dove non trovi l’uscita e se la trovi rischi di ritrovarti nel carrello cento diverse marche di corn flakes o una mucca viva da caricare in macchina. Di recente la metropoli è stata catapultata nelle cronache dall’assassinio del nero George Floyd cui sono seguite le manifestazioni di protesta e le rappresaglie contro la violenza della polizia bianca dei Black Lives Matter (“Le vite dei neri contano”).

Fino a Davenport si attraversano poi pianure su pianure e il paesaggio è monotono. Da segnalare il piccolo centro di Hannibal come patria di Mark Twain, forse il principale narratore del fiume.
St. Louis, l’arco sul fiume
Il magnifico simbolo architettonico della città è il Gateway Arch, costruito nel lontano 1929 e ad oggi l’arco di acciaio più alto del mondo. Ci piace immaginarlo come simbolo di due strade che si incontrano e qui le due strade sono due fiumi perché proprio a St. Louis, una città poco turistica e quindi molto autentica per entrare dentro l’american way of life, il Mississippi riceve le acque dal suo affluente principale, il Missouri. La posizione della città è dunque strategica e per questo motivo è sempre stata l’arteria vitale e commerciale del fiume: qui sono passati nei secoli migliaia di piroscafi, carichi di balle di cotone e tabacco e sacchi di cereali, qui è sorto il genere musicale del ragtime, suonato quasi solo al piano, a ricordare balli europei di fine ‘800 e danze dei neri d’America. Qui il fiume si allarga fino a 3 km ed è ancora pieno di chiatte e di ciminiere, qui gioca uno dei migliori team di baseball degli Usa, quello dei Cardinals.


Memphis e il suo Dio
Memphis nel Tennessee significa rock, significa l’era e il mito di Elvis Presley, le sue stravaganze, le sue follie, il suo enorme talento musicale, il suo ciuffo pieno di brillantina, i vestiti eccentrici, le perline, i basettoni. Significa anche la sua fragilità perché se è vero che aveva una voce clamorosa e un innato carisma, è vero anche che era un uomo vulnerabile, come il suo eroe James Dean.
Elvis “The Pelvis” (il re del bacino, dell’ancheggiamento) sembrava un dio della musica, un cantante nero, capace di esibirsi nella dolcezza infinita di “Love Me Tender” e di “Are you lonesome tonight?” come nel ritmo di “That’s all right Mama” o di “Jailhouse Rock”, fenomenale nel blues come nel country.
Incise oltre 60 album e fu capace di vendere un miliardo di dischi in tutto il mondo, conosciuto ovunque anche se non lasciò mai l’America. Da vero eroe di provincia.
E il suo luogo dell’anima era questa città sul grande fiume, sfavillante di luci, di vibrazioni, di attrazioni, soprattutto su Beale Street. La stessa città dove trovò la morte Martin Luther King, risorta dalle pieghe del segregazionismo razziale proprio grazie alla musica, anche quella di B.B King e di Aretha Franklin. Elvis riposa nella mitica dimora di GraceLand, accanto alle sue leggendarie collezioni d’auto. Qui vicino escursione a Nashville, capitale della musica country, dove si comprano cappellacci e stivaloni da cow boy e dove si balla come nelle feste che per giorni seguono i grandi rodei.


Verso New Orleans
La meraviglia del fiume arriva alla fine, in Louisiana, circa 150 km prima che il Mississippi sfoci nel Golfo del Messico. Annunciata nel paesaggio da pigre anse del fiume e da piantagioni di cotone e nell’architettura dalle dimore storiche di Natchez e in piccola parte dai viali e dalla tipica spanish town di Baton Rouge, costruita in una posizione più sicura per difendere le sue industrie di petrolchimico dalle sempre minacciose esondazioni del fiume, New Orleans segna la fine del viaggio e con lei il suo immenso delta, pieno di malsane paludi e soggetto spesso a tragiche inondazioni che hanno accentuato la povertà della regione.
La grande palude
Il paesaggio che circonda New Orleans è ritratto benissimo in un film minore ma molto poetico, “Una canzone per Bobby Long” con un atipico John Travolta e la bella e brava Scarlet Johansson. Un mondo di umide paludi, di sonnolenti paesini di provincia, di catapecchie costruite sulle rive fangose del fiume, con le loro verande invase da zanzare ma che assicurano un po’ di frescura serale, magari ascoltando un buon pezzo jazz su una sedia a dondolo. Erbe alte, giardini trascurati, stagni con alligatori e mille specie di insetti, vie polverose e decadenti, abitanti indolenti o rassegnati, una certa predisposizione alla bottiglia. Ma almeno e ovunque un’ottima musica. Ecco il trailer italiano del film:


Dixieland
E’ questa sensuale città fondata dagli esploratori francesi nel 1718 il vero motivo per cui vale la pena di seguire il corso del Mississippi fino al mare: si arriva qui e si vive la leggendaria, inimitabile capitale del Jazz. Sono le centinaia di club e di bar musicali schierati su Bourbon Street il richiamo che funziona da generazioni, da quando almeno è cominciato il mito di Dixieland, quel jazz suonato per la prima volta proprio a New Orleans dove le band di bianchi provavano a imitare le voci dei neri, a rifare le nostalgiche plantation songs dei campi di cotone, di tabacco, di zucchero. A New Orleans la musica scorreva e ancora scorre nel cuore e nel sangue dei suoi abitanti, scorre placida e naturale come il Mississippi.
Bianchi, neri, creoli, europei, ex schiavi, un crogiuolo di razze, di lingue, di religioni, di cucine e ovviamente di musiche, di canti e di suoni: il vero miracolo di New Orleans è sempre stato questo.
Una città con l’anima, dove oltre a un gran caldo si sentono cose, si provano brividi.
Dove senza un vero perché si resta a vivere, come hanno scelto di fare grandi scrittori come William Faulkner, che qui trasse l’ispirazione per “Luce d’agosto” e “L’urlo e il fiume”, Tennessee Williams che nel vedere i tram sferragliare su St. Charles Avenue compose “Un tram chiamato desiderio” ed Ernest Hemingway che dai bastioni e dai vicoli del quartiere francese trasse spunti per il suo stile passionale. Dove un lontano giorno del 1900 nasce un bimbo paffuto di nome Louis Armstrong e così in quel secolo la tromba acquista un padrone definitivo.
New Orleans culla di letterati e musicisti dunque, come se il suo torpore, la sua indolenza, la sua tolleranza, la sua vita gaudente e spregiudicata liberasse il talento e il genio di grandi artisti.

La più bella di tutte
La passeggiata principale si svolge nel pittoresco French Quarter, 85 isolati con la musica che esce dalle case di legno e mattoni, da tutte le porte, da tutte le finestre, da tutti i patios. E’ la New Orleans col pavè scuro, i lampioni in ghisa, le carrozze trainate dai cavalli e coi cocchieri impettiti nelle vecchie e scintillanti divise, i camerieri degli alberghi in stile coloniale che servono drink impeccabili, i balconi fioriti che fanno a gara perché i fiori nel profondo sud americano esprimono una specie di status symbol. E’ la città più bella e più intensa che puoi scoprire lungo il Mississippi, la città delle fenomenali orchestre, degli scombinati artisti di strada che affollano Jackson Square, dei virtuosi del sax e del piano, dei riti vodoo e dei tamburi. Degli squilli di tromba più famosi del mondo.
Chi ama la musica, le improvvisazioni musicali, passa volentieri la sua vita in Bourbon Street. Anche per assistere semplicemente a una festa, ai riti del Mardi Gras di Carnevale, al corteo solenne di un funerale black, alla trasmissione delle vecchie canzoni dalle vecchie radio delle vecchie case, o per varcare immancabilmente ogni notte la soglia di qualche saloon o di qualche bisca o bordello.
I contrasti del Tropico
New Orleans sembra quasi aspettarli i musicisti e gli artisti, e insieme i diversi, i ribelli, gli alternativi. Per stordirli col suo clima subtropicale, per sedurli coi suoi ritmi, per confonderli nella sua mescolanza di grattacieli e tuguri, residenze coloniali, gallerie d’arte e baracche sul fiume, clubs raffinati e bettole maleodoranti, casinò e magazzini portuali.

Ne ha passati di guai e dolori la città, ma è sempre rinata: dopo la Guerra Civile New Orleans fu saccheggiata, violentata, legioni di poveri e disperati si muovevano per le sue strade o decidevano di emigrare, avanzava la febbre gialla dalle paludi. Ma la aiutò la musica, l’arte, il suo stile naif, la sua cucina cajun e creola, dal gusto piccante e agrodolce, dove i gamberi giocano il ruolo di primattori e dove gli altri ingredienti forti sono i frutti di mare, il riso, i fagioli rossi, le ostriche, le mostarde, la torta di noci.

L’apocalisse e la rinascita
Dopo il terribile uragano Katrina, scatenatosi su tutta l’area del delta del Mississippi nel 2005, tv e media ci hanno portato immagini non da New Orleans ma da un’Apocalisse nelle nostre case. C’erano interi quartieri sott’acqua, battelli non più carichi di cotone o di musicisti ma di valanghe di morti, fantasmi coperti solo di stracci a vagare nelle acque sporche, a cercare quella che era la loro baracca, la loro famiglia, la loro chiesa o scuola. Tutto annegato, tutto sotto il fango.

Ma nonostante questa epocale disgrazia la città disinibita, la città libertina, la città che sembra uscita da un romanzo latinoamericano si sta rialzando ancora una volta, confermandosi una specie di oasi spirituale e musicale e coi suoi figli che accenderanno di nuovo i falò sui bayous, i canali emissari del fiume, quei figli che hanno talmente sviluppato una forza e un orgoglio, una fede e una abitudine al sacrificio, che permetteranno a New Orleans di camminare ancora, di suonare ancora.
“What a wonderful world”. Resisti New Orleans, accendici.

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