Il derby del cricket
Tra le aspre montagne dell’Asia centrale esiste un paese impegnato in un perenne derby politico e anche sportivo con la vicina India: il Pakistan. Da quaggiù in genere arrivano notizie di terrorismo, reportages sulla povertà, sui problemi, sulla corruzione dilagante, sulle rotte della droga, ma sotto la pelle, sotto la verità storica, sotto la tormentata cronaca, un argomento solo apparentemente più leggero scatena una smisurata passione e un fervido orgoglio nazionale: è il cricket.

I campioni nel parco
Nel Parco Iqbal di Lahore, dominato da un minareto che ricorda il destino separatista del “Paese dei Puri”, si affollano, specie nei fine settimana, tantissimi giocatori improvvisati: alcuni con la divisa ordinata e le mazze, i berretti, i guantoni e le palle giuste ma tanti altri vestiti come capita. Con tuniche bianche, turbanti, stracci alla rinfusa portati dentro borse rattoppate.
Tra di loro amatori, tifosi e chissà se qualche potenziale campione che difenderà l’onore della nazione quando sarà giocatore, quando sarà grande, quando indosserà la mitica divisa verde dell’Islam con le stelle gialle. Ma solo se riuscirà a scansare il fiume torbido delle scommesse clandestine che da tempo inquinano lo sport più popolare del paese.

Le stesse scene e le stesse partite di cricket in Pakistan le vedi ovunque, nei cortili polverosi, nelle periferie disastrate, nei campi pieni di pietre e circondati da caseggiati diroccati, ben diversi dai verdi prati di Oxford dove i giovani ricchi praticano lo stesso sport.
Lanciatore contro battitore
Il cricket in Pakistan è vissuto un po’ come il pallone da noi, squadre di ragazzini chiassosi che cercano il divertimento, la sfida e un sogno per il futuro. Nella terra rossa e dura e tra le sterpaglie di Iqbal fioriscono a volte delle speranze, cercano uno sbocco tra le corse a piedi nudi, le grida di competizione e gli eterni duelli che da sempre caratterizzano questo sport, quelli tra lanciatori e battitori. Come dire centravanti e portiere di una qualsiasi piazza o campetto italiano al momento del rigore.

Un fenomeno popolare fuori controllo
Per non parlare dei bar, delle bettole pakistane dove va in scena un sentito rituale, quello delle visioni collettive dei grandi match, specie contro gli odiati rivali indiani: delle vere guerre sportive, di tattica, di velocità, di prontezza, di abilità e di coraggio, maratone che durano ore e a volte giorni, eventi che riuniscono la popolazione locale come non capita per nessuna altra occasione. Davanti a una tv sfocata, tra i fumi di oppio e le bottiglie di alcool, feste, drammi, esultanze. Il lato migliore e peggiore del tifo.

Esagerato, come l’ardore religioso che ha causato tante tragedie da queste parti.
Esagitato, perché ad esempio la finale dei Mondiali persa nel 1996 proprio contro l’India causò il massacro di milioni di innocenti televisori.
Fanatico, come la triste giornata del 2009 che ha segnato a lutto e con una cicatrice dolorosa questo sport e questo paese, quando fu assaltato il pullman dei giocatori della nazionale dello Sri Lanka e rimasero al suolo dei morti. Morti per motivi di terrorismo religioso e politico ma anche per la rivalità malata sfociata su un test match di cricket, difficile a credersi… Fatto sta che per dieci anni al Pakistan fu concesso di ospitare le sue partite solo in… Arabia Saudita!
A Islamabad e nelle altre metropoli pakistane gli eroi nazionali non li hanno più visti.

Un sogno simile a Bollywood
Forse tutto questo è un modo impulsivo di resistere in un paese altrimenti spesso al collasso, dilaniato da bombe e da diverse piaghe sociali. Il cricket in Pakistan è un culto e una moda, un rifugio e un vanto, è ha la stessa funzione dei film prodotti nella Bollywood indiana: può generare sogni, permettere una vita migliore e una crescita sociale, fama e soldi, contratti pubblicitari e chissà se una carriera da politico. A Lahore, come a Karachi, come nel villaggio più lontano, integralista e polveroso di qualche regione tribale. Una vita da conquistarsi tramite partite infinite e selvagge giocate per strada, in campi disastrati, sotto le alte montagne. Poi qualcuno ce la fa, si ammanta di gloria, guida la sua nazionale a vincere il Mondiale di cricket nel 1992 e da capitano del Pakistan guarda caso si dà proprio alla politica: così è successo per il mitico giocatore Imran Khan.

Un rituale del Commonwealth
Il cricket nato nella sua forma embrionale in Inghilterra già nel 1300 ha contagiato solo una parte di mondo, più precisamente quella del Commonwealth, l’ex impero coloniale britannico: Australia, Nuova Zelanda, Galles, Sudafrica, Zimbabwe, India, Giamaica, Sri Lanka, Bangladesh e appunto il Pakistan, diviso dall’India nel 1947 per motivi religiosi e politici, ma rimasto in un certo senso legato ad essa tramite il cordone ombelicare del cricket, messo lì a ricordare le comuni origini. Le sfide accesissime fra le due nazioni si sono preparate per anni, come rituali, con duri allenamenti sul pitch (il rettangolo chiave del gioco), sveglie all’alba e preghiere, lanci su lanci per abbattere nei vari innings (le lunghissime frazioni di gioco) i paletti del wicket, battute su battute per cacciare la palla lontano, folle deliranti allo stadio, per strada o davanti alle tv a seguire col fiato sospeso una presa al volo o un tiro fuori campo, pronte a festeggiare con i colpi di arma da fuoco tutti i runs (le corse, i punti, le conquiste delle basi avversarie) che portano a una vittoria, pronte a piangere o a vergognarsi per mesi per una sconfitta o a fare anche di peggio come abbiamo visto.

Fair Play
Strano e particolare destino per un gioco che come nessun altro è basato su un codice etico e su un fair play assoluto che vieta di prendere a parolacce avversari e arbitri e proibisce ogni tipo di contatto fisico e slealtà sportiva. Addirittura non si possono irridere gli avversari ma anzi vanno complimentati per un bel gesto tecnico. Funziona così nel ventre dell’Asia: un grande capitano sceglie i suoi migliori battitori e lanciatori, educa la sua squadra allo Spirito del Gioco e al grande rispetto del Team “nemico”. E fuori la gente impazzisce di felicità, sprofonda nella frustrazione, rinasce, rimuore, si dispera o si scanna.
Per una palla, ben cucita a mano.

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