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Diario di Spagna / I grandi reportages

Pamplona, l’uomo e il toro

Succede a Pamplona

Attraversammo una grande pianura, e sulla destra c’era un grande fiume che luccicava al sole tra il filare degli alberi, e in lontananza potevi vedere l’altopiano di Pamplona che spicca nella pianura, e le mura della città, e la grande cattedrale marrone e il profilo frastagliato delle altre chiese. Dietro l’altopiano c’erano le montagne, e ovunque guardavi vedevi altre montagne e davanti la strada si stendeva bianca nella piana verso Pamplona” (Ernest Hemingway – “Fiesta”, 1926).

Pamplona, l'uomo e il toro

Eccola la prima vera città spagnola che si conosce sulle orme del Camino Francès per Santiago de Compostela, che sa ancora di campi, di viti e di grano, di echi romani, arabi, medievali, come le vie, le piazze e i palazzi del suo centro storico, molto ben conservato. Pamplona è piacevole per le chiese che testimoniano il suo passato di sede vescovile, per i palazzi eleganti, i parchi e le fontane, l’atmosfera sana della provincia, la cucina, gli ottimi vini rossi della Rioja. E per le sue tradizioni fortissime. Perché è innegabile che la sua fama nel mondo è dovuta a una delle manifestazioni popolari più vitali e sentite che ci possano toccare in sorte di vivere, quella della Fiesta de San Fermin.

la sua fama nel mondo è dovuta a una delle manifestazioni popolari più vitali e sentite che ci possano toccare in sorte di vivere, quella della Fiesta de San Fermin

Firmino è il patrono di Pamplona, vissuto nel III secolo, caparbio uomo di chiesa medievale dedito alla divulgazione del Cristianesimo in tutta la regione di confine tra Spagna e Francia e morto decapitato ad Amiens. In suo onore Pamplona ha letteralmente inventato una celebrazione mai vista prima, una festa pazza, sacra e profana insieme, con grande protagonista il toro, che dura un’intera e calda settimana, quella che ogni anno cade tra il 6 il 14 di luglio.

Pare che la tradizione nasca da un’usanza molto antica, che vedeva i pastori giungere nel capoluogo navarro per la vendita delle bestie e lì per gioco si ritrovavano i ragazzi della città che gli correvano i primi tempi a fianco, per aiutarli a sistemare i tori nelle stalle, poi sempre più audacemente davanti, sfidando le micidiali cornate con urla di scherno, movimenti agili e assoluto disprezzo del pericolo.

Il segnale iniziale della Fiesta è il lancio del chupinazo, un piccolo razzo, dal balcone del palazzo comunale, esattamente a mezzogiorno del 6 luglio. Poi tra musiche di flauti e percussioni di tamburi, primi balli e solenni processioni, comincia la preparazione alla corsa, più che alla corsa al rito più pagano della Navarra e della Spagna intera: l’Encierro.

il richiamo folkloristico di Pamplona è un vero patrimonio nazionale

Già nei giorni precedenti la Fiesta la città si riempie di gente e di turisti: venuti dal resto della Spagna perché il richiamo folkloristico di Pamplona è un vero patrimonio nazionale, dai vicini Paesi Baschi per somiglianze identitarie e culturali, venuti dall’America per rivivere il mito delle pagine di Hemingway, oppure dagli altri paesi europei con zaini in spalla e biglietti dell’Interrail in tasca, pronti tutti a invadere le pensioni e le taverne del centro, o ad accamparsi in un enorme campeggio sulla sponda opposta del fiume Arga, da dove guardare la città vecchia, dove cominciare a immaginarsi il fatidico momento in cui il toro ti guarderà negli occhi.

Il mio San Firmino

Il mio San Firmino

La mia prima volta, il mio primo viaggio in onore di San Firmino andò esattamente così: il lungo viaggio a tappe in treno, poi in auto tra altopiani, borghi e castelli e infine alla Fiesta con quel grande amico navarro che sarebbe diventato il mio compagno di viaggio preferito e il mio testimone di nozze, la mescolanza con quella folla di giovani spensierati o incoscienti fate voi, il vino che scorreva a fiumi, le notti tiepide e senza fine, la tenda a igloo piantata giusto per gioco in mezzo a mille altre, per una breve siesta mattutina, i canti e i balli vicino ai falò o per le viuzze del centro storico, l’inevitabile innamoramento per la spagnola caliente di turno.

E’ passato un bel pezzo ma ho ricordi vivissimi della Fiesta, del clima della Fiesta, di tutto il contorno della Fiesta, della gente conosciuta a tavola o in piazza, di quelli che indossavano le grandi maschere di cartapesta, dei miei amici e di altri amici improvvisati tutti vestiti di bianco e di rosso.

Quando iniziava la notte si passava insieme di bar in bar, ci si perdeva, ci si ritrovava, si allentavano volutamente tutte le difese e si cercavano la libertà e la felicità, ma proprio a dosi massicce!

Stanchezza, bagordi, bevute, sguardi sensuali e abbracci agli sconosciuti, preghiere che uscivano dalle chiese miste a vivaci baccanali, odore di incenso e di cantine, la luce delle candele e dei fuochi di artificio, il culto del toro e quello di Bacco, le poche ore di sonno, le molte ore di divertimento…

E la mente e il corpo che restavano inebbriati, annebbiati, magari a riprendersi i giorni successivi all’Encierro sulla magnifica spiaggia dorata della Concha a San Sebastiàn. O in quel borgo che non saprei più dire dove si trovasse, mi pare Zozaya, tra Pamplona e il Paese Basco, tra gli ulivi e le botti, le vecchie case di campagna, a conoscere in profondità la natura e la gente navarra, un certo modo di essere e di pensare, agli antipodi di quello di Madrid.

Lo confesso facilmente: io non ho partecipato alla corsa, è roba da pazzi, ho preferito farmi contagiare da tutta la sua atmosfera.

Lo confesso facilmente: io non ho partecipato alla corsa, è roba da pazzi, ho preferito farmi contagiare da tutta la sua atmosfer

Conservo ancora una foto, di quelle stampate e ingiallite dal tempo, non digitali, dove mi riconosco appena: capelli più ricci e selvaggi, vestito di bianco ma con le macchie di vino rosso ovunque, rossa la cintura, la bandana, i coriandoli che mi piovevano addosso e anche le guance per le bottiglie tracannate! Una foto dove si sente ancora la risata, dove si vede il braccio levato in cielo come in un inno pagano e un’altra ancora dove chissà come mi ritrovo con uno stendardo di un quartiere di Pamplona in mano. Sorrido quando ripenso a quello che accadde un attimo dopo quello scatto, qualcosa che mi lasciò senza parole: una spagnola mi svuotò addosso una bomboletta di schiuma da barba e mi lasciò lì sul selciato scuro di Pamplona a chiedermi come mi chiamavo e che cosa ci facevo lì.

una spagnola mi svuotò addosso una bomboletta di schiuma da barba

(continua…)

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