In volo per Guadalupa
Voglia di Tropici, del sole e del mare che fanno dimenticare l’inverno, una pausa per gli occhi, il corpo e la mente. Sull’aereo tante famiglie, sessantenni dall’aria un po’ pigra, le coppiette in viaggio di nozze, insomma il target di certe vacanze in crociera. L’unica cartolina d’arrivo a Guadalupa è un complessino musicale in costumi colorati che ci accoglie sulla pista dell’aeroporto e un altro sotto la cattedrale coloniale. A bordo cominciamo a scoprire la grande nave, a girare, a mangiare, a ballare, a bere. Prima di mezzanotte si salpa, domani è l’azzurro e la luce.

La nave va
Dopo una bella dormita siamo proprio rilassati, passiamo la giornata tra lettini a bordo piscina e coccole nell’idromassaggio, visitiamo tutti i ponti e tutti i saloni, fino a quando troviamo gli spuntini e i buffet preferiti. La cabina è comoda e luminosa con vista mare, le occasioni di sport e socializzazione non mancano, i ristoranti sono eleganti, il teatro e i casinò divertenti, la notte è tra la discoteca e il cielo immenso che quasi si tocca dal ponte più alto.
La sensazione che cogliamo nei primi come negli ultimi giorni della crociera è che i clienti tipo apprezzino soprattutto il prodotto-nave, il modellone da fotografare e da raccontare al ritorno a casa, mentre gli itinerari, i paesaggi, le persone, la cucina e la cultura dei luoghi visitati sembrano un po’ un accessorio, un interesse minore. A tanti crocieristi piace di più il rito del cocktail al tramonto che la visita di un paesino colorato e polveroso, questo è sicuro. E quasi tutti preferiscono un’ora in palestra o dall’estetista che in un mercato locale. Intorno a noi l’equipaggio numeroso di filippini, dominicani, indiani, ci guarda passare da un bar all’altro, con aria umile, un po’ stanca, con la voglia di avvicinarci e conoscerci magari, noi, i fortunati occidentali in vacanza. Questi ragazzi lavorano duro, in sala macchine, a rifare le cabine, a pulire le pentole, dormono poco, non scendono mai dalla nave e ci imbarazza essere serviti e riveriti a ogni passo. Gli animatori, poi. Che fatica intrattenere sempre e tutti, rispondere alle solite domande. In ogni gruppo c’è il piacione, il gay, la bella, il fusto, quelli simpatici, quelli scostanti, chi ha dei progetti, chi ha mille storie, chi delle malinconie, chi ha mille energie e chi è lì per sbaglio.

Insomma coi suoi lussi evidenti, i suoi protagonisti nascosti, i suoi turisti eccitati la nave va.
Repubblica Dominicana
L’impatto con Santo Domingo non è dei migliori: La Romana è una cittadina anonima e rumorosa divisa in cuadras decadenti, Casa de Campo è un resort di lusso fra piscine, campi da golf e maneggi ma tutto sommato banale e non degno di un’escursione, “il villaggio tipico dove troverete l’artigianato locale” è un pueblo finto e ricostruito con l’unica bellezza della vista panoramica sul fiume Chavòn, quello dove hanno girato la scena iniziale degli elicotteri in “Apocalypse now”. La giornata migliora nettamente con l’arrivo a Isla Catalina: una grande spiaggia privata a uso della nave da crociera, il mare calmo e caldo, le palme scenografiche, il relax, i chioschi coi frullati, i passi di merengue insegnati in riva al mare, tutto molto bello. Trattative in spagnolo arrangiato al mercatino locale, acquisto di quadri colorati, della statuina di pietra del “Pensador dominicano” che fa bella mostra di sé sulla mensola bianca del mio bagno. Sulla lancia che ci riporta a bordo marinai di colore svegli e simpatici mettono su cd di merengue e li vendono a 10 Euro l’uno. Le foto invece cominciano a essere un po’ troppe, ti immortalano quando passi per corridoi obbligati con un salvagente al collo, con un pagliaccio a tavola, con una bellezza caraibica al fianco. Prima della ninna ottima cena creola, davvero.


Tortola
Un paradiso terrestre. Di foreste, spiagge, baie e palme, fiori e verde, onde che arrivano dolci a riva. Le isole vergini hanno il nome più giusto per descrivere luoghi così intatti e selvaggi, dominati dalla pura natura. Tortola era il covo dei bucanieri che assaltavano i galeoni spagnoli pieni dell’oro inca. Luogo di leggende marinare, taverne e rhum, tesori di pirati, storie di porto. Oggi ha un capoluogo moderno, ricostruito dopo l’ultimo uragano e ovunque monti e spiagge, un mare da sogno, gente che si accontenta di poco, semplice e cordiale.

L’arrivo di una grande nave è un’occasione, un’invasione e un’evasione per tutti gli abitanti dell’isola, per i loro commerci, per la loro curiosità. Nel giro dell’isola la sosta più bella è quella ad Apple Bay, la baia dei surfisti che se non sono a cavalcare le onde restano a bivaccare in un baretto molto rustico, fatto di tavole di legno, scritte ribelli, mutande di donna appesa al soffitto! Qui, lontane dalla folla dei croceristi e dagli applausi a teatro, si divertono le ballerine olandesi e russe della nave, in tanga e topless, provocanti e libere, molto sensuali, e ovviamente avvicinati dai migliori mulatti di Tortola…

L’altro angolo di paradiso visto oggi è stata la meravigliosa spiaggia di Virgin Gorda coi suoi grandi massi di granito che ricordano La Digue alle Seychelles, con le palme piegate sul mare, l’aria serena, l’acqua trasparente. Pensare che è dicembre e che in Italia fa freddo e c’è la nebbia ti fa sentire ancora più rilassato e privilegiato. Gran finale a bordo con la festa caribena.

St. Marteen
Eccoci sbarcare nell’isola divisa in due, l’isola dello shopping tax free, delle spiagge lunghe, dorate e selvagge, delle taverne creole, dei vantaggi fiscali. Secondo le guide (il crocerista purtroppo ha poco tempo per scoprirlo) la parte olandese è quella moderna, caotica, mondana, mentre la parte francese è più tranquilla e discreta, più elegante e caraibica. Le due capitali riflettono abbastanza tali caratteristiche: Philipsburg è un porto commerciale dinamico coi centri commerciali e i casinò, mentre Marigot è più intima, col mercatino, le casette di legno, i colori dell’America Latina. Il mare è bello ovunque, sembra più grande che a Tortola, le spiagge sono piene di palme e chioschi, l’atmosfera è semplice e da fuga esotica.

Crediamo che St. Marteen voglia vendere al mondo la sua immagine di emporio al sole per i ricchi occidentali ma la sua anima in fondo è diversa, e i caraibi vi si manifestano coi ritmi, i sapori, i rasta, i venditori di banane, le tele colorate, i polli alla griglia, le note reggae.

St. Lucia
L’isola più bella, la più tipica, la più selvaggia. Il sogno del viaggio, davvero. Villaggi e facce da puro Caribe e così la musica, più reggae che merengue, e la favolosa cucina creola. Una successione incredibile di foreste, palmeti, vulcani e solfatare, spiagge nere, baie azzurre, piantagioni di banane, lussureggianti giardini botanici dove le foglie sono gigantesche e dove volano uccelli colorati.
Santa Lucia, un pezzo di Eden, un posto dove restare a lungo, magari in una pensioncina sul mare di Soufrière per decidere se i tramonti sono o no tutti uguali, alternare le passeggiate sul mare a quelle nella giungla, finire le sere a bere il rhum e a imparare un ballo e a parlare con la gente del luogo, davanti a un piatto di riso, pollo e verdure piccanti.

Santa Lucia, che non ha fretta, che esporta banane ovunque, che ha i vecchi che si addormentano in veranda, che è abitata da donnone grasse e simpatiche, da contadini e pescatori sorridenti, da bambini che vanno a scuola ordinati e per mano e in divisa, da giovani e abili guide turistiche che aspettano pazienti l’arrivo della nave. La pazienza in effetti ci vuole con certi turisti, che vogliono decidere i prezzi al mercato, che sanno solo strillare e che non sanno rispettare neanche un fiore.
L’escursione odierna è cominciata su un grande catamarano, alla scoperta di baie da sogno, di palme e ancora palme, coi Pitons, i due coni vulcanici gemelli, sempre a dominare sullo sfondo.

E’ proseguita col minibus, a vedere paesini, mercati di pesce, piante esotiche e sorgenti sulfuree. Il pranzo è stato un trionfo di cucina creola, con gamberoni all’ananas, pollo speziato, riso piccante, ketchup di banane, yuca fitta e rhum alla vaniglia. Nel pomeriggio il passaggio per un villaggio delizioso con casette colorate, reti da pesca messe ad asciugare, galli liberi a litigare, nonne col sigaro a fumare, bambini mezzi nudi a giocare, rasta vivaci a suonare e a cantare. L’atmosfera era calda e umida, indolente. Veri Caraibi questi, più di qualunque altra sosta operata dalla nave.


Barbados
Quaggiù si è venuta a rifugiare una nostra amica dell’università, una che aveva un destino da viaggiatrice era chiaro. Mentre giriamo l’isola in pulmino ci chiediamo dove sarà finita, se nella vivace Bridgetown coi suoi neri eleganti e le vetrine dallo stile europeo, o in una fattoria persa tra le piantagioni di canna da zucchero magari a dipingere, o magari in una villetta coloniale sulla panoramica costa ovest oppure su una spiaggia atlantica, in mezzo alla natura selvaggia, a guardare le onde lunghe e appena là dietro a camminare sotto l’ombra di alberi giganti.


A Barbados scattiamo le ultime foto della crociera nelle Piccole Antille, facciamo gli ultimi bagni e compriamo le ultime cose. L’isola ha molti usi e costumi inglesi: il thè pomeridiano nelle hall degli hotel di stile coloniali o sotto le verande vista oceano, i giardini curati, sport come il cricket e il polo, l’hobby di assistere coi vestiti della domenica alle corse dei cavalli, i giudici con la parrucca, i giornali di gossip… certo tutto questo sotto un altro sole!
Davanti a un buon rhum gli inglesi fuggono qui o invecchiano al caldo, li vedi nelle loro villette, negli alberghi di lusso, su repliche scontate ma divertenti di vascelli-pirata.
Pare che la convivenza coi neri sia buona, sperimentata. Ma la Barbados nera è un’altra cosa, è reggae, sudore, frutta tropicale, bande di strada.

Sulla nave l’ultima cena di gala, l’ultima notte calda dei Caraibi in viaggio verso quella Guadalupa appena sfiorata. Il giro dell’isola è fatto alla giapponese, uno sguardo a un villaggio artigianale coi prezzi alti, una distilleria di rhum con file da stadio, qualche spiaggia dove camminare appena. Meglio il cimitero colorato e barocco vicino all’aeroporto, meglio l’ultimo spettacolo delle ballerine.
Il volo che ci porta a casa sorvola le piccole isole che ci hanno regalato tante emozioni, puntini nel blu e nel sole. La nave aspetta altri fortunati per ricominciare il giro.

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