Il mare dei sogni

Ce lo meritiamo. Dopo un paio d’anni di chiusure varie, viaggi e sogni rimandati, le palme viste solo in tv o sui depliànts turistici. Ce lo meritiamo un pieno di mare e di sole, magari in mezzo all’inverno, come il più bel rimedio scaccia-virus che possa esistere. Ce lo meritiamo un volo ai Caraibi, su quelle spiagge bianche, con un cocktail in mano e la notte a ballare merengue. Ce lo meritiamo quindi un bel salto nella Repubblica Dominicana, probabilmente l’idea stessa del Caribe, di un Tropico dolce e pigro, di una settimana viziata e indolente. A ciondolare su un’amaca, a scoprire una città coloniale, un fiume che scorre nella giungla, un’isola deserta. A nuotare nel mare dei sogni.
Pura evasione
Santo Domingo ha una caratteristica in meno rispetto alle grandi sorelle del Caribe che noi italiani conosciamo di più, ovvero Cuba e il Messico. Ha meno storia, meno vestigia culturali, meno possibilità di grandi tour emozionali tra piramidi maya e ricordi rivoluzionari. Ma forse proprio per questo motivo ha accentuato come nessuna altra meta in questa parte caliente di mondo la sua dimensione vacanziera, edonistica, di pura evasione, di puro relax e divertimento. A Bayahibe, a Punta Cana, o nella penisola di Samanà, si sta semplicemente bene, si registrano con gli occhi tutte le sfumature del mare, si assaggiano tutti i tipi di frutta, si godono le ore lente del clima tropicale, si scoprono spiagge deserte e vergini o locali strabordanti di giovani disponibili e sensuali, ci si abbronza, ci si riposa, oppure si fanno le ore piccole tra tante tentazioni.
Perché girare
In genere per il turismo nell’isola si sceglie un villaggio turistico italiano o un resort internazionale e la scelta in termini di comfort ripaga senz’altro: camere moderne, animazione simpatica, cucina di buon livello, assistenza per le escursioni, amicizie assicurate, i migliori punti mare per vivere tutta la bellezza e i colori dei Caraibi. Ma senza qualche giorno in viaggio si perderebbe l’essenza più genuina dei luoghi e delle persone, si rischierebbe (e per alcuni è un rischio comodo e dopotutto calcolato) di rimanere nelle prigioni dorate in riva al mare senza accorgersi del resto del paesaggio, delle giungle, delle lagune, delle strade, delle feste e del popolo. E questo sarebbe un vero peccato da non commettere nell’…Eden!
Per questo motivo pur avendo apprezzato tantissimo le coccole di un villaggio italiano la seconda volta che sono tornato nell’isola ho voluto vederla e capirla di più. I particolari in cronaca!
Bayahibe ti conquista
Il mio charter atterra tutte e due le volte nella Hispaniola scoperta da Cristoforo Colombo nella anonima cittadina di La Romana, che dal nome ricorda il fenomeno della forte immigrazione proveniente da Roma all’inizio dell’800 e da subito dedita alle coltivazioni della canna da zucchero. Sarà anche per questo che a livello di presenze siamo stati sempre i primi turisti dell’isola!
Se si punta subito al mare e alle prime spiagge incantate la direzione da prendere è obbligatoria: Bayahibe. In una mezz’ora dall’aeroporto, attraversando villaggi polverosi e poveri disposti lungo la strada, passando accanto a mega resort con piscine e campi da golf, si raggiunge questa zona di spiagge lunghissime, bagnate da un mare trasparente. Il paesino ha vissuto il destino tipico di tante località invase dagli occidentali, da villaggio di pescatori si è trasformato in un polo turistico di una certa importanza, anche se per dimensioni non può reggere certo il confronto con una Sharm o una Cancun. Belle le persone di Bayahibe, accoglienti e sorridenti. Tranquilli i suoi ritmi di vita e di vacanza, protagonisti il cocco, l’asciugamano, la crema solare.

Dal porticciolo di Bayahibe, vicino al quale molto probabilmente si troverà il vostro albergo, ci si imbarca alla scoperta di Isla Catalina e di Saona, due isole molto sfruttate negli ultimi decenni per le escursioni delle navi da crociera e dei turisti dei villaggi italiani della zona. Lo schema è tipico come il 4-3-3 maniacale di un allenatore di calcio, ovvero gita in motoscafo, in lancia o in catamarano, tuffi nell’azzurro fino a toccare le stelle marine, ore cocenti al sole, l’acquisto del pareo o di una bella tela colorata che ricorda i villaggi degli indigeni o i loro lavori nei campi, la grigliata di gamberi e aragosta e pollo accompagnata dall’immancabile riso con fagioli, i giochi vari in spiaggia, l’attesa del tramonto, la caipirinha gustata sotto una capanna di paglia, qualche giro di merengue e di bachata coi ballerini locali, il ritorno in albergo. Stanchi e felici e con la notte dominicana ancora davanti.
Il giorno dopo si può cambiare tema e navigare sul fiume circondato dagli Altos de Chavon, non per raggiungere il mercatino alla fine dell’escursione, piuttosto finto, ma per immaginarsi la scena iniziale di “Apocalypse Now”, quella degli elicotteri americani che atterrano nella giungla del “Vietnam” tra polvere e napalm e la voce narrante che racconta dell’orrore, nel viaggio nelle tenebre della guerra e della caduta umana. Beh, la giungla e il fiume erano questi…
La capitale ti stimola

Se da La Romana si va nell’altra direzione, a ovest, si arriva dopo una mezz’oretta nella vibrante capitale di Santo Domingo, patrimonio Unesco per il suo centro storico coloniale dove si visitano con piacere la Cattedrale Primada de America, il Palazzo del Governatore, l’Alcazar de Colon e il Museo de las Casas Reales. Più altri fortini e monasteri tra le spiagge e le palme e le strade con le case screpolate che lasciano quella nostalgia indefinita di un mondo più semplice. Più le gallerie d’arte o le passeggiate lungo il Malecòn. Più gli acquisti d’artigianato nel grande mercato Modela.

Nel secondo viaggio ho soggiornato due notti nella capitale e ne vale la pena, se non altro per i locali allegri, la musica, l’arte, il rhum e gli sguardi. Non cado nel tranello di definirla pericolosa, in anni di viaggi in America Latina non mi è mai successo niente, mentre in Italia mi hanno scippato due volte. Da evitare le solite cose: l’ostentazione, le foto coi cellulari da 1.000 Euro, le periferie buie a piedi e da soli, gli inviti equivoci da gente che sembra appartenere a una gang. Ho preferito per esempio evitare la spiaggia di Boca Chica, tana del turismo sessuale e di abbordaggi abbastanza squallidi.

Punta Cana ti rilassa

Situata sulla costa settentrionale Punta Cana è la località balneare più famosa della Repubblica Dominicana. Playa Bavàro per la bellezza e nettezza dei colori e per il lusso dei complessi turistici davvero teme pochi rivali su tutto l’arco dei Caraibi. Anche se il consiglio è di scoprire le spiaggette nascoste di La Vacama, Roco KI e Uvero Alto o di praticare lo snorkeling dalla spiaggia di Macao. I miei ricordi? L’amaca dove leggevo “I cactus non temono il vento”, raccolta di racconti ispirata dai temi tipici del realismo magico come gli amori grotteschi, l’infanzia incantata, le storie segrete, le gioie e i dolori di una bellissima isola tropicale; il mio paio di infradito, sempre bianchi della soffice sabbia corallina e sempre in cerca di nuove conchiglie per una collezione che poi lasci sul posto; i sonnellini rigeneranti sotto le palme con le infinite nuotate a seguire, le grigliate di pesce e i merengue da sfinirsi e l’allegria che questi momenti sociali e collettivi riescono a creare.

Da Punta Cana, ma anche da Bayahibe ovviamente, si possono visitare le altre spiagge dell’isola a bordo della famosa Guagua di cubana memoria, quella specie di mitica, sgangherata e lenta corriera dei Caraibi, quella senza fermate fisse, quella colorata e chiassosa diligenza tropicale dove si ammucchiano nonne simpatiche, mulatte che ancheggiano, ragazzi muscolosi, musicanti, bambini, polli e fagotti.
Juan Dolio sulla costa meridionale è fantastica, sempre calma, coi fondali bassi, un paradiso per rimanere ore e ore in mare. Così Guayacanes, piena di palme e adatta al relax. Oppure ci si ferma nelle baiette del promontorio a est, nella zona tra Boca Yuma e La Vacama. Meglio senza tappe fisse, con un po’ di tempo davanti, quello che serve per scoprire le taverne in riva al mare più genuine e i dominicani più calorosi.
Samanà ti invita a restare

Il paesaggio che precede l’arrivo nella penisola di Samanà è di una bellezza selvaggia: un canyon rosso fuoco, palme su palme, scorci azzurri del mare, la macchia della giungla. Se ce la fate arrivate a cavallo al Salto del Limon, il premio dopo la giungla e la cima della montagna è una bella cascata, una di quelle dove rinfrescarsi come nei film d’amore e d’avventura. Da queste parti la cosa migliore è trovarsi una pensioncina vicino al villaggio di Las Galeras per godersi in pace Playa Rincon, incontaminata, per lunghi tratti sempre vuota, di sabbia bianca e soffice, un posto dove sparire. E vicino, anzi in mezzo al mare della baia di Samanà, ecco il paradiso terrestre di Cayo Levantado. Pare che qui da gennaio a marzo passino addirittura le balene che amano partorire nelle placide lagune della provincia più bella dell’isola.

L’equivoco che tutti sanno
L’argomento finale di un diario maschile da Santo Domingo riguarda per forza le donne: di una bellezza incredibile perché mista, creola e per questo molto sensuale. Per le strade, le spiagge, le discoteche, ma anche nelle corriere o nei supermercati, capitano naturalmente incontri con mulatte e con bionde, con ragazze dolci o sfacciate, bisognose, aggressive o bugiarde. Il panorama è vario, confuso, l’uomo americano ed europeo è visto come il miraggio, come il dollaro o l’euro che cammina, come la vita da rifarsi lontano, lontano dalla baracca della periferia o dal villaggio povero della cordigliera o dal bordello travestito da discoteca vicino ai grandi hotel.

Ti ritrovi in modo troppo facile e sbrigativo trasformato in una specie di oggetto del desiderio, nel rimedio ideale per la loro nonna malata, per i soldi da dare al dentista o per farsi comprare il vestito che non osano neppure guardare. Il compromesso può essere una cena, un ballo, una piccola, emozionante e spensierata vacanza a due visto che ormai nell’isola ci sei arrivato. Poi ognuno sceglie, se illudersi, se andare oltre, se pagare le stecche per ogni merengue e ogni bevuta al barista del locale, se finire i risparmi per una mulatta che ancheggia come nessuna o – par condicio – per l’animatore più bello del villaggio che col suo sorriso ti farà sentire una regina.
Qualche volta può anche funzionare, per carità, ho un ex collega di lavoro (non un bancomat) trapiantato felice a Samanà da anni, con due bambini meticci, una bella casa, una famiglia normale. Può capitare e funzionare anche lo schema contrario, la turista italiana o europea che incontra il dominicano atletico e gentile. Una settimana di evasione e a volte di più, che in genere comincia a Boca Chica o a Punta Cana o in una qualsiasi discoteca, perché è su quei lungomare o in quegli angoli di locali illuminati a metà che va in scena il rito della seduzione o quello più triste del “mercato”, della sfilata, della trappola ben orchestrata.

Io non giudico, provo solo a mantenere saggezza e leggerezza sull’argomento, su questo mai chiarito equivoco del facile innamoramento tropicale: se capita facciamolo capitare, senza troppi programmi, senza dubbi morali, senza malinconie. Senza sentirci né sfruttatori né sfruttati, ma parte di un disegno, di un contesto, di un’esperienza. Può essere una piccola pausa che condisce meglio una vita, che trova un posto nella tua vita. Che la fa vibrare per una vacanza o che la fa tornare per un attimo più giovane. Può essere un modo di confrontarsi con un mondo diverso, di uscire dal proprio di mondo o di colorarlo un po’. E poi si volta pagina, magari uscendo dall’incantesimo che La Flaca voleva davvero noi. Che “mi carino, mi hermoso, mi amor” eravamo davvero noi.
L’altro volto di Santo Domingo
E’ un pensiero collaterale questo, lo so, poco c’entra con l’isola appena visitata, appena descritta. Ma tutte e due le volte sul volo di ritorno ho provato solo ad immaginare cosa ci sia dall’altra parte della Repubblica Dominicana, ovvero quali spaventosi dolori e tragedie in serie colpiscano Haiti…
S.Domingo la felice (almeno in apparenza), la gaudente, la piacente, Haiti invece la sorella dannata, palcoscenico disgraziato di ogni terremoto, di ogni colera, di ogni guerra civile, di ogni corruzione. Un abisso di disperazione e povertà. Un mondo incredibilmente diverso a pochi chilometri di distanza. Dove invece che ai turisti ci si affida al vodoo, per non finire di affondare nello splendido Mar dei Caraibi.


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