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Storie dal mondo

Se nascessi Zulu

La gente del cielo

Se nascessi oggi come un bambino Zulu

Se nascessi oggi come un bambino Zulu l’inyanga locale, il medico-stregone del mio villaggio, mi trasmetterebbe prima di tutto l’orgoglio di appartenere all’etnia più storica e più numerosa della nazione arcobaleno: eravamo e siamo proprio noi “la gente del cielo” e nel moderno Sudafrica dove vivono circa 35 milioni di neri, quasi uno su tre è di origini Zulu.

Nel Kraal o nella Township

Se nascessi Zulu avrei probabilmente a portata di mano un paio di destini: vivere alle pendici dei Monti del Drago, delle colline verdi che in pianura lasciano spazio alla terra rossa, luoghi o dove piove troppo o troppo poco per poter trarre frutti soddisfacenti dall’agricoltura. Starei là, nella regione del Masinga, a portare le mucche verso i pascoli e i fiumi, a imparare i riti e il folklore per ingraziarmi gli dèi, a cominciare e a finire le giornate nel Kraal, il recinto di modeste capanne dal tetto di paglia dentro il quale gli uomini convivono col bestiame. Nella polvere, senza luce e senza acqua, tra i fuochi, i canti e le danze che ricordano la cultura di una volta. Orgoglioso dei miei gambali e bracciali di pelliccia e della mia lunga lancia con cui andare a caccia.

Se nascessi Zulu avrei probabilmente a portata di mano un paio di destini

Oppure andrei a ingrossare le fila di quelli che non ce la fanno a emergere nelle periferie degradate di Durban, la città portuale ricca di industrie e giardini botanici e moschee costruite dagli indù che arrivarono su queste coste per coltivare la canna da zucchero, quella Durban cresciuta tra le diseguaglianze, piena di negozi dei bianchi vincenti e di musei con le pitture rupestri dei neri perdenti. La mia baracca di lamiera o il mio anonimo casermone di cemento sarebbe probabilmente nella squallida township di Kwamash, popolata da disperati, da quella manodopera sfruttata che trova nelle bottiglie di birra e nelle droghe leggere il suo divertimento e il suo stordimento.

andrei a ingrossare le fila di quelli che non ce la fanno a emergere nelle periferie degradate di Durban

La danza e l’orgoglio

Se nascessi Zulu qui o nella capitale ghetto di Ulundi non avrei né grandi speranze, né grande futuro, rischierei di finire in una gang violenta di rapinatori, di commettere prima o poi un assalto a una villa di discendenti boeri o peggio ancora un omicidio. Un raggio di felicità arriverebbe la domenica quando coi miei amici tra il fango, gli arbusti rinseccoliti, le baracche avvilenti, gli stracci appesi ai fili di ferro, le fogne a cielo aperto, farei le prove della danza ngoma, osì come la ballavano i miei antenati indigeni, in un sussulto di orgoglio, di appartenenza. Al suono emesso dai lunghi tubi didgeridoo, molto simili a quelli usati dagli aborigeni nel deserto australiano di Ayers Rock, scatenerei i miei passi, esibirei le mie piume e le pitture sul viso, mi abbandonerei alla mia capacità innata di seguire il ritmo.

mi abbandonerei alla mia capacità innata di seguire il ritmo

Oppure mi emozionerei sulle rive dell’Oceano a Durban a seguire il rito di un battesimo di un fratellino appena nato, benedetto con la sabbia e l’acqua del mare.

Da Shaka al Blood River

Se nascessi Zulu nel Sudafrica degli anni 2020 sicuramente un vecchio zio o nonno mi racconterebbe in preda all’emozione più genuina e a qualche lacrima difficile da nascondere i tre momenti essenziali della nostra storia più antica: quando a inizio ‘800 il grande capo, il Re Shaka, riuscì a unificare tutte le tribù rivali valorizzando i loro legami di sangue e la loro comune cultura, ampliando come mai più i propri confini grazie al suo spirito di bellicoso e vincente guerriero; quando nel 1838 12.000 fratelli neri perirono nelle acque del Blood River nella guerra contro i Boeri avidi di terre e miniere, sconfitta quella che causò la prima forma di segregazione che avrebbe poi originato l’odioso apartheid; quando nel 1879 nella sanguinosa battaglia di Isandlwana l’esercito inglese si trovò davanti 25.000 Zulu che con le loro mazze e lance battute sui tamburi e con le loro grida e il loro incedere facevano tremare la terra, umiliando il nemico prima di subire la sua vendetta.

Mia madre e mio padre

Se nascessi Zulu avrei mia mamma pronta a esibire la sua tipica acconciatura conica o il viso coperto di argilla rossa per proteggersi dal sole. Indosserebbe una gonna di pelle di mucca, collane colorate, mi farebbe trovare per cena uno stufato di frattaglie di capra, proverebbe a vendere le terrecotte decorate al mercato locale, mentre mio padre lascerebbe suo malgrado piume e pelli di leopardo e amuleti nella township per vestire goffamente all’occidentale in modo da sbarcare il lunario lavorando a giornata nel grande porto di Durban, dove un pontile ricorda l’enorme scheletro di una balena.

grande porto di Durban
un pontile ricorda l’enorme scheletro di una balena

Fratello Mandela

Se nascessi oggi Zulu proverei sulla mia pelle il dolore di nuove divisioni fratricide perché se è vero che l’apartheid è finito grazie a Nelson Mandela nel 1990 è anche vero che molti bianchi ci segregano ancora e che molti neri si uccidono a tradimento tra di loro, tra chi sostiene dalle campagne il movimento Inkatha legato alle tradizioni del passato e chi più moderno e inurbato appoggia le scelte politiche dell’ANC, l’African National Congress.

l’apartheid è finito grazie a Nelson Mandela nel 1990

One Nation

Se nascessi Zulu dovrei ancora proteggermi dall’Aids, dalla povertà estrema, dal caldo che penetra dai tetti in lamiera, ma potrei ancora credere nella One Nation, nella riunione e riappacificazione di tutti i gruppi sparsi tra Sudafrica e Zimbabwe, Zambia e Malawi e fino al Mozambico. Credere in una danza, in una musica, in una cultura, in un’Africa sola. Nella mia religione animistica. Emozionarmi a un concerto di Paul Simon o ascoltando il suo meraviglioso album “Graceland” che ci ha capito, valorizzato e difeso. Piangere l’ultimo sovrano morto di covid, che lascia 6 mogli e 28 figli. Celebrare commosso lo Shaka Day. O più di tutto innamorami della ragazza della capanna vicina col suo delicato seno scoperto.

Emozionarmi a un concerto di Paul Simon o ascoltando il suo meraviglioso album “Graceland”

(Ecco l’omaggio di Paul Simon alla musica e al folklore Zulu)

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