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Diario di Spagna / I grandi reportages

Diario di Spagna: la Semana Santa e gli altri miti di Siviglia

Una Pasqua unica

La settimana Santa a Siviglia è celebrata in modo sentitissimo addirittura dal 1248, pieno Medioevo. Durante la Pasqua Siviglia diventa un teatro dove si mette in scena un livello di partecipazione, di commozione e di intensità che ha pochi paragoni nel mondo cristiano. “Sette giorni di devozione collettiva, di partecipazione a riti semi-pagani. Sette giorni in cui tutta la città all’unisono sussulta, prega, piange, canta e infine ride, beve e balla. Sette giorni in cui si fondono sincero sentimento religioso e pura sensualità, gioia di vivere e oscura vocazione alla morte., cura del dettaglio e improvvisazione. La Settimana Santa non è solo l’espressione di un fervore religioso popolare, ma è un capolavoro estetico” – così la racconta benissimo la giornalista Carla Serra (da “Meridiani” – Andalusia).

Tra nazarenos e saetas, cristi sofferenti e madonne ingioiellate

Tra nazarenos e saetas, cristi sofferenti e madonne ingioiellate

Il simbolo della Pasqua più importante di Spagna sono i penitenti col cappuccio e col saio, i cosiddetti nazarenos, che ai più distratti possono ricordare i fanatici de Ku Klux Klan ma in realtà sono dei fervidi fedeli di Cristo, col capo coperto da un sacco per il richiamo a una tradizione medievale dei tempi dell’Inquisizione. Altre protagoniste sono le donne sivigliane vestite di nero ma con un fiore nei capelli, altri elementi insostituibili di questa liturgia sono gli addobbi esagerati, le nuvole di incenso, il suono dei tamburi, i canti lamentosi chiamati saetas (le frecce), le veglie infinite a base di suppliche.

Ma soprattutto ci sono loro, gli idoli locali venerati alla follia, avvolti in manti ricamati o nudi e umili, come la Madonna della Macarena, regina di Siviglia, la Vergine Sigaraia (in omaggio al mito della Carmen…?), la Esperanza che protegge la borghesia e i marinai, la Madonna dei gitani, il Cachorro che ricorda un giovane zingaro ucciso in una rissa e il Cristo del Silenzio. Per questo pantheon andaluso ecco che spuntano fuori nella Semana Santa e solennemente sfilano i crocefissi insanguinati, le statue splendenti, i baldacchini e i troni pieni di gioielli e di fiori.

gli idoli locali venerati alla follia, avvolti in manti ricamati o nudi e umili

La festa del popolo

Le 60 confraternite legate a chiese e quartieri che soprattutto a partire dal Siglo de Oro, il ‘600, animano le processioni, le feste e le sfilate della città vedono il grande contributo di sarte e falegnami, di raffinati orafi e robusti portatori, perché la Pasqua è un vero patrimonio del popolo che le dona un significato insieme artistico e religioso, di gloriosa esibizione dell’identità andalusa. A Siviglia la Pasqua si vive davvero nel respiro e nella passione della folla.

Si potrebbe organizzare una sfida di sicuro fascino tra gli incappucciati di Siviglia e i portatori di ceri di Gubbio per vedere chi corre più veloce col pesante fardello di baldacchini e croci di legno e statue barocche di santi sulle spalle!! Si potrebbero contare senza mai esaurirli i petali di rosa e i rametti di rosmarino che coprono le strade, e così le candele accese che illuminano le sponde e le acque del Guadalquivir. Si potrebbe stimare il valore immenso dei gioielli esibiti, si potrebbe narrare la storia di ogni ballo, di ogni costume folkloristico, di ogni Madonna esibita e adorata.

Ma quello che conta di più è la clamorosa forza della fede e della tradizione, una fervida esibizione interrotta solo negli anni della peste, della Guerra Civile e di un movimento illuminista troppo razionale per cadere ai piedi di Gesù.

Figaro, il Barbiere di Siviglia

Tra le sue mille bellezze Siviglia si è ritagliata un destino particolare, quella di essere la città europea più intrisa di lirica, la location dove si muovono un barbiere burlone, un seduttore impenitente e una affascinante ballerina gitana. Siviglia città che canta, che scherza, che ama, città che devia e declina il genere severo del melodramma italiano in una musica più gaia, in storie meno epiche, più popolari, più allegre, più quotidiane, basate sugli equivoci, sulle passioni, sui tradimenti.
L’opera buffa per eccellenza abita a Siviglia, Gioacchino Rossini infatti immagina di ambientare qui ai tempi del Siglo de Oro la sua musica più lieta e scherzosa dove il barbiere Figaro, intraprendente e furbo, aiuta il Conte d’Almaviva a coronare il sogno di sposare la giovane Rosina.
L’idea di un personaggio abile in tutto, nel tagliare barbe e capelli come nel tessere relazioni, è messa al centro della storia e dona leggerezza a tutta la trama: “Pronto prontissimo son come il fulmine: sono il factotum della città. Ah bravo Figaro, bravo bravissimo, a te fortuna non mancherà”. Dalla prima rappresentazione del 1816 un trionfo in tutti i teatri del mondo. E girando per Siviglia è facile arrivare a Calle San Tomas, la via della bottega del barbiere, oppure al balcone di Rosina, in Plaza Alfaro, dove il Conte d’Almaviva prova ad arrampicarsi su consiglio di Figaro.

Il mito di Don Giovanni

Don Giovanni è uscito spesso da Siviglia ed è entrato nel mito, nel teatro, nella letteratura, nell’opera e nel cinema. Personaggio inventato probabilmente ma basato su almeno un paio di “gentiluomini” davvero esistiti, uno di essi viveva in Calle Justin de Neve 2 e una targa con azulejos lo ricorda come “il nobile che nessuno superava nel gioco, negli scontri e negli amori”!
Don Juan è’ stato eternato nel ‘600 da Tirso da Molina e Molière, sublimato nel ‘800 dalla musica di Mozart e dal poema di Byron. Lui, “l’incarnazione dell’Eros come menzogna” (Guido Almansi, “Meridiani Andalusia”), il seduttore libertino e appassionato, il peccatore ribelle, il distruttore di matrimoni e relazioni, il cercatore del torbido nelle relazioni.

Siviglia era la sua patria, quella dove è rimasta la sua statua in Plaza de los Refinadores, nel Barrio de Santa Cruz, dove si visita ancora Plaza de los Venerables dove si vantava delle sue conquiste e dove è rimasto il cimitero di San Fernando dove parlava coi suoi fantasmi.

Siviglia era ovviamente il suo palcoscenico preferito, dove tutte le donne cadevano ai suoi piedi e questo gli procurava un moto di egoistica soddisfazione. Pare che arrivò a sedurne più di mille, ricche, umili, nobili, cameriere, contadine. Senza rispettare nessuna legge umana o divina. Tanti ragazzi di Siviglia hanno quest’aria da vincitori, da latin lover audaci e sfrontati, come tante ragazze in qualche modo ricordano la sigaraia più famosa mai esistita in città, la Carmen.

Il baritono Francisco D’Andrade interpreta D
*copyright

(Il baritono Francisco D’Andrade interpreta Don Juan Tenorio nell’opera di Mozart – immagine presa da wikipedia)

La forza della Carmen

Tra musica e letteratura quella della Carmen è la storia di una donna del popolo, di una gitana andalusa che ama come nessun’altra potrà mai amare, con violenta passione. Lei che “dà la vita perchè dà l’amore, ma dà anche la morte perché sottrae l’amore” (Romano Giachetti, da “Meridiani” – Andalusia). Lei con la sua bellezza selvaggia, la sua sensualità sfrenata, lo sguardo e il carattere di fuoco. Lei col ballo nel sangue, avvolta in costumi sgargianti e svolazzanti, coi capelli liberi al vento.

Il mito di Carmen rivive nel pellegrinaggio al Rocìo tra le carrozze gitane, nelle musiche di chitarra flamenca, nelle corse dei cavalli, nei misteri e nelle magie del popolo nomade che si muove tra le città arabe, i pueblos blancos, le paludi e le dune che arrivano al mare.

l mito di Carmen rivive nel pellegrinaggio al Rocìo tra le carrozze gitane, nelle musiche...

Nel romanzo di Mèrimèe pubblicato nel 1845 Carmen è la gitana che esce dalle acque a risvegliare l’istinto, la sigaraia tentatrice che seduce l’ufficiale il quale fugge per lei, uccide per lei e alla fine uccide lei stessa perché geloso del suo nuovo amore per un baldo torero. Per Nietzsche la Carmen di Bizet andata in scena la prima volta nel 1875 era l’opera più grande e più vera di tutti i tempi, un Ecce Homo al femminile, una forza della natura che trovava posto nel cuore di una donna. Nei film musicali di Francesco Rosi (1983) e Carlos Saura (1984) Carmen sprigiona ancora e sempre tutto il suo fascino e nel lavoro del regista spagnolo si apprezza moltissimo l’adattamento a flamenco della musica di Bizet a opera del genio della chitarra Paco De Lucia.

Le tracce di Carmen a Siviglia sono tutte rimaste nel barrio gitano di Triana, quello delle penas dove si balla il miglior flamenco di Spagna. La casa di Carmen è stata collocata in Calle Pureza, mentre la Real Fabrica de Tabacos oggi è parte di un complesso universitario. In una taverna lungo il Callejon de Agua è andato in scena il suo primo incontro con l’ufficiale Josè, mentre è proprio davanti alla Puerta del Principe della Plaza de Toros che Carmen muore, col finale tragico dell’opera che ricorda quello di una corrida.

Carmen rimane nel nostro immaginario come la figura femminile che non accetta catene e nella Feria de Abril che tra casetas di cibo di strada, corride all’arena settecentesca della Maestranza, cortei di cavalieri, allegre serate di vino e infinite sessioni di sevillanas segue la Settimana Santa, sembra di rivederla in alcune delle splendide more andaluse in costume tipico che ballano, cantano, bevono e ridono nel centro storico della meravigliosa Siviglia.

Ecco l’ouverture dell’opera di Bizet

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