Nel mondo verde
A volte la vita presenta delle deviazioni e decidi di prenderle in base a qualche richiamo istintivo e misterioso. Iquitos, Amazzonia peruviana, non era nei nostri programmi, non era sulla nostra rotta. Eppure ci ritroviamo a Trujillo con l’oceano grigio, col panorama tutto uguale, con della gente timida e rassegnata e allora decidiamo in un attimo una virata di un paio di giorni verso la grande selva e verso il grande fiume. Per vivere l’umidità, la sensualità e la vivacità della città più pazza del Perù.

Lo confesso, le suggestioni prima e durante il viaggio sono state anche altre: quegli articoli di “Airone”, di “Meridiani” o del “National Geographic” dove chi torna da Iquitos descrive sempre un quadro epico; i fumetti di “Mister No” col suo piper che atterra in tutti i lembi più pericolosi, affascinanti e selvaggi dell’Amazzonia; la follia visionaria di Fitzcarraldo che voleva trapiantare la civiltà nella foresta per ricavarne gloria imperitura e strabordanti ricchezze; i racconti serali in qualche taverna peruviana e boliviana dove ci hanno descritto le donne di Iquitos in maniera intraducibile, coi fianchi scatenati e la libido più calda che esiste.
E allora ecco un volo Trujillo-Iquitos a pochi soles, un viaggio nel viaggio o forse meglio dire fuori il viaggio, perché questa tana bollente circondata dalla selva e appoggiata sul fiume limaccioso non c’entra niente col mondo alto e freddo e spesso solitario delle Ande.
L’epica del caucciù
Iquitos ha una storia interessante e ricca di episodi e di epoche: appare sulle mappe geografiche dapprima come missione gesuitica, poi tra fine ‘800 e inizio ‘900 vive la sua epoca d’oro, quella del caucciù, ed ecco che il remoto porto fluviale nascosto nell’Amazzonia peruviana comincia a essere raggiunto da avventurieri come Fitzcarraldo, da avidi commercianti, da puttane disinibite che pian piano si sovrappongono e si mischiano a indios e missionari.
Immaginiamoci l’atmosfera febbrile di un villaggio del Far West durante la corsa all’oro e trasliamo il tutto in una dimensione afosa, verde, umidissima dove l’oro è rappresentato dagli alberi della gomma. Immaginiamoci una città di frontiera, carica di miraggi, di sogni, di contrabbandieri, di velate minacce, con quell’aria precaria e vibrante di tutte le frontiere, magari sonnolenta nelle ore più calde ma che diventa eccitante e scatenata verso sera.

L’epica tropicale
Ci accoglie così Iquitos, dà subito l’idea di un luogo pieno di possibilità, di difficoltà, di seduzioni, di inganni. Il Tropico di tante letture, di tanti film, di tante seduzioni.
La percorri lungo il fiume, lungo i suoi canali e ti accorgi immediatamente che le bettole fumose, le vie fangose, gli azulejos screpolati, i lenti barconi che attraccano ai pontili con le palafitte, i palazzi coloniali in rovina dei tempi del caucciù, gli autobus scassati di legno dipinto, le canoe coi poveri pescatori, ti presentano tutti insieme uno scenario tropicale carico soprattutto di un significato, quello della gloria perduta.
Sarà per questo motivo che nelle sue notti di bevute e di balli Iquitos cerca la sua “vendetta”?
Sarà per questo che il sudore, il divertimento sfrenato, gli sguardi e i corpi sensuali ogni notte prevaricano su ogni altra cosa?
Perché la gente di qui ha questa sua voglia inarrestabile di vivere, di mordere la vita, di dimenticare così le difficoltà, di ritrovare i frammenti del fulgido e avventuroso passato quando i baroni della gomma e le belle femmine passeggiavano per le strade, frequentavano locali equivoci, alzavano palazzi, riempivano sacchi di denaro?
Perché si cerca di rivivere lungo le sponde del fiume la frenesia dei tempi in cui, finita l’era del caucciù per colpa degli alberi trapiantati dagli inglesi in Malesia che fecero crollare il prezzo della gomma, cominciarono altri commerci come quello dei legnami o quelli più torbidi legati alle pelli di animali o al trasporto della cocaina sul grande Rio delle Amazzoni?
Difficile da dirsi: la musica, le bottiglie, le ricorrenti fantasie tropicali ottundono un po’ i sensi. Spariscono i freni inibitori. C’è il rischio reale di dover sentire per forza certe cose, un certo clima affascinante e proibito. Non è possibile che a ogni angolo mi immagino una storia incredibile, una truffa infida o una dea mulatta.
L’epica del fiume


La selva e il fiume il giorno dopo rimettono a posto le cose, danno un ordine più logico ai pensieri.
Qua intorno – ci raccontano barcaioli, pescatori e compagni di viaggio – l’Amazzonia si fa subito immensa, ostile e selvaggia, nell’oceano di acqua e di verde vivono tanti animali feroci e pericolosi come i coccodrilli, i piranhas, le anaconde, le tarantole, i giaguari. Un ragazzo occidentale si immagina anche gli indios con le cerbottane, gli amuleti, le frecce, gli stessi che elemosinano malinconici qualche soldo su Calle Putumayo, suonando male un flauto. Le ultime tribù sono troppo lontane e nascoste per incontrarle ma un viaggio lento sul fiume regala comunque emozioni incredibili, viste di scimmie, fiori, pappagalli.

Già il porto di Iquitos ha un suo fascino, con le chiatte ancorate, le baracche di legno o lamiera, le osterie incasinate, i battelli che prendono il fiume, pronti ogni volta al rito della scoperta e del viaggio. Che esperienza ti lascia anche un solo giorno su quei barconi!
L’epica del viaggio
Ci sali sopra e pensi che esistono tanti viaggi diversi, il tuo da turista pronto allo stupore, quello degli indios carichi di fagotti, di polli, di banane, che scendono a improvvise anse del fiume e spariscono nella foresta, quello dei narcos chissà – in effetti alcuni personaggi col cappello calato sui baffi se ne stanno misteriosi e sospettosi in disparte – quello dei viandanti sporchi ma anche poetici che si buttano subito sulle amache e che arriveranno giorni o settimane dopo, stremati, affamati, inselvatichiti a Leticia in Colombia o a Manaus o Belèm in Brasile.

I barconi sono anche loro degli attori consumati, dei compagni fedeli, conoscono la rotta e le acque marroni del fiume, schivano le rapide e le secche, miriadi di tronchi, si rivelano lenti e pesanti per il carico che portano, cotone, mais e qualche bestia nelle stive, bidoni d’acqua sul ponte, un’umanità varia, originale, povera, contenta in fondo di vivere così. Di comunicare, di conoscere grazie al fiume.
Tu viaggi e guardi, guardi e viaggi, le coste, le nuvole, le cime degli alberi, le facce sulle banchine. Ti suggestiona l’idea che da un momento all’altro possa apparire un anaconda o un branco di piranhas. Ti emoziona pensare che in fondo alla selva di alberi giganti sopravvivono bambini vestiti di una foglia.
Il Rio delle Amazzoni ti regala ore mitiche, temporali violenti e squarci incredibili di luce, soste casuali, incontri coloriti, “le acque del Rio attraversano tanti villaggi e diventano porto, mercato, piazza, fonte, cortile dei giochi dei bambini Boras e Yaguas, magia tropicale” (dalla guida Clup).




L’epica letteraria
Mentre vedi e respiri tutto questo possono venirti in mente anche gli scenari sociali, mitici e divertenti del grande fiume.
Particolare testimone e narratore di questo mondo è stato senz’altro il Premio Nobel per la Letteratura, lo scrittore Mario Vargas Llosa, che ne “La Casa Verde” ha affrontato temi scottanti come lo sfruttamento della foresta, il commercio del caucciù e la conversione forzata degli indios, ma che soprattutto con “Pantaleon e le visitatrici”, storia umoristica di un bordello per militari voluto dalle autorità proprio nella selva di Iquitos, ha aperto un velo su una delle mille facce nascoste e sorprendenti dell’Amazzonia peruviana.

Fitzcarraldo, infine
Chi era e che diavolo ci faceva a Iquitos? Come divenne il padrone di mezza selva?
Sia le cronache storiche che il film di Herzog interpretato da un camaleontico Klaus Kinski ce lo presentano come un visionario figlio di puttana, un signore della gomma e uno schiavista di indios, un irlandese vestito di lino bianco, trapiantato nel Perù amazzonico e diventato nel cuore umido del Tropico un mercante ignorante e presuntuoso con un sogno: fare di Iquitos la capitale della regione, un luogo attraente, pieno di teatri, bordelli, sale da gioco, in modo da superare la rivalità di Manaus.
Ma il fiume si vendicò perché si inghiottì Fitzcarraldo, il battello e il caucciù.
Il film di Herzog (a Iquitos dicono di lui che “sapeva bere e ascoltare storie”) fu funestato per davvero da tanti incidenti, chiamati dagli indios maledizioni: assalti di famelici piranhas, lotte tribali, rovinosi incendi, tanti guai al battello che in una storica scena deve valicare un monte a sfida del sogno e dell’ignoto, a simbolo della conquista di una natura primitiva, fatta di tenebre e pericoli.
Tante comparse fuggirono spaventate, soggiogate da quell’inferno verde.
Forse la selva già allora non voleva troppo clamore, non voleva l’arroganza e l’avidità esibite, non voleva gli intrusi.

L’Ecuador a un passo
L’ultima notte in Perù è quella del viaggio in bus per Tumbes e la frontiera ecuadoriana. Siamo in mano a un inquietante terzetto di pregiudicati: “er faina” carica i bagagli, “lo zozzone” li sistema sul tetto del bus, l’autista assomiglia a un pugile tozzo e suonato. Arriveremo mai?? Fra un tentativo di dormire e l’altro ripasso le tappe degli ultimi dieci giorni di Ande, ci aspettano le giungle, i vulcani, i mercati e le due grandi città dell’Ecuador.
Cosa e chi ci aspetterà ancora?


Non ci sono Commenti