I due volti di Stoccolma
La mia prima volta fu d’estate, il sole splendeva sull’acqua, sulle facciate della Città Vecchia, sulle residenze reali, sulle migliaia di isole verdi, sulle torri dei monumenti più importanti. Voglia di girare, di vivere le notti senza notte, di mischiarsi alla bellissima gioventù svedese, di provare i cento tipi di torte e di sandwich, di navigare su tutti i battelli, di camminare in tutti i boschi, di salire su tutti i tetti, di respirare quel cielo azzurro e pulito. E di cedere alla magia della luce che insieme alla sua efficienza, alla sua estetica, alla sua organizzazione, alla sua creatività e alla sua vitalità ti fa pensare a Stoccolma come alla città perfetta. Dormimmo dentro una nave-ostello, conoscemmo ragazzi e ragazze semplici e accoglienti, avevamo voglia di fonderci con quella natura bellissima, la libertà della Svezia ci ubriacava e ovviamente sentivi che quegli amici sarebbero rimasti per sempre.

La seconda volta fu tanti anni dopo, stavolta d’inverno, stavolta con un amore, per camminare invece nelle notti più lunghe dell’anno, quelle intorno al 13 dicembre, la Festa di Santa Lucia. Quando Stoccolma cambia clima e cambia volto, diventa romantica con la neve e col ghiaccio, con la luce delle candele e dei lampioni, col vento sferzante che ti colpisce in faccia quando passi a piedi per i suoi cinquanta ponti. E ti chiama dentro, a goderti una casetta in legno, un museo di design, un camino acceso o la favola di un castello. Atmosfera diversa, più intima, più filosofica. I sensi come ovattati, nel grande silenzio del Nord.

Una Lucia in ogni villaggio
Cominciamo dalla fine, dal soggiorno di dicembre.
Il motivo del viaggio è stato quello di vivere l’atmosfera incantata del Nord innevato, illuminato dalle candele e dai sorrisi di bellissime ragazze. Sono secoli che in tutta la Svezia si celebra una tradizione, quella di Santa Lucia. Le origini del culto risalgono al Medioevo quando nella notte più lunga e più buia dell’anno, sia nell’Isola del Tronchi (è questo il significato della parola Stoccolma e stava a indicare la cinta di protezione della città) che nei più piccoli e sperduti villaggi del paese scandinavo secondo le credenze popolari la strega Lussi poteva scendere giù dal camino e portarsi via i bambini più capricciosi. Da quell’ingenua paura la reazione che diede origine al culto: bisognava restare svegli tutta la notte e attendere la luce del giorno. Un po’ ovunque in Europa il Medioevo significò questo perenne conflitto tra la luce e il buio, tra la vita, l’amore e le tenebre.
Intorno al 1700 in tutta la campagna svedese l’immagine della strega era diventata quella di una fanciulla candida, vestita di una tunica bianca, che, come nel ricordo della martire vissuta a Siracusa ai tempi romani di Diocleziano e ben descritta dalle studiose Barnhill e Hanson, “aveva in testa una corona di candele per illuminare la sua strada e lasciare le sue mani libere per portare più cibo possibile ai cristiani che si nascondevano nelle catacombe”. Lucia come simbolo di luce quindi, nel lungo inverno svedese. Lucia come lascito del Cristianesimo nelle terre del nord. Lucia come una vestale dell’antichità, con la sua fascia rossa a cingere la veste bianca, in ricordo del sangue versato col suo martirio.
La tradizione della ragazza di bianco vestita arrivò a Stoccolma nel 1893 nel Museo all’aria aperta di Skansen, ex riserva di caccia della corte, ancora oggi visitabile dalle famiglie che portano i ragazzi a osservare da vicino gli animali nordici e la riproduzione delle case tradizionali e dei mestieri di una volta, dei mulini a vento, delle fattorie, dei castelli e del folklore lappone. Pochi anni più tardi, nel 1927, in tutta la Svezia, cominciarono a essere organizzati da un giornale dei concorsi di bellezza: da allora non esiste città o villaggio, scuola, fabbrica, chiesa, che la notte del 13 dicembre non elegga un angelo biondo come Miss della Festa. Col classico contorno di canti e concerti, di dolcetti allo zafferano e all’uvetta luminosi come le fiammelle delle candele, di damigelle e di paggetti, tutti a camminare di notte, nella neve, con le fiaccole, con l’allegria, con la tradizione che si accende in ogni cuore.


Fino a Lucia ragazza di oggi, bellezza eterea che sfila in ogni comunità e anche in ogni famiglia. Nell’intera Svezia la figlia più giovane viene abbigliata così quella notte di dicembre e prepara la colazione col caffè e i dolcetti per i suoi cari il mattino seguente. Il miglior modo anche di preparare l’arrivo del Natale che in Scandinavia è probabilmente la ricorrenza più sentita.
Nei due seguenti link a you tube un’idea dell’atmosfera dei canti e del rito tra chiese e boschi svedesi:

Tunnelbana
L’occasione del viaggio invernale permette di “perdere” più tempo in certi graditissimi particolari: il rito di un tranquillo thè o caffè in una pasticceria del centro, osservando cadere la neve da dietro una calda vetrina ideale per disegnarci col dito; la visita del veliero seicentesco Vasa affondato nel giorno del varo perché era troppo carico di cannoni e di statue e recuperato come testimonianza unica di uno stile e di un’epoca navale; la scoperta dei vari musei di architettura e design dove la Svezia insegue da sempre, nell’arredamento come nella moda come negli strumenti chirurgici, scenari di razionalità, essenzialità purezza e naturalismo; i quadri di arte moderna al Moderna Museet; le soste all’Ice Bar, vicino alla stazione centrale, il locale più trendy del momento (meglio d’estate magari!!) dove pareti, pavimenti e perfino i bicchieri sono tutti di ghiaccio; le pause golose nei carissimi ristoranti tra le vie più chic e i palazzi liberty di Ostermalm, a scegliere fra zuppe di gamberi, gamberi enormi, prelibati prosciutti d’orso, carne d‘oca selvatica o di renna servita coi frutti di bosco, polpette di tutti i tipi, taglieri di formaggi, aringhe affumicate, ottimi salmoni.
E soprattutto le meravigliose stazioni della metropolitana locale, chiamata Tunnelbana, un esempio di arte moderna, arte pubblica, arte per tutti, arte capace di emozionare con le sue intuizioni, coi suoi colori, con le sue forme geometriche.

La fermata di T Centralen ti accoglie nella sua grotta sottomarina di ghirigori bianchi e blu, quella di Molby sembra una meringa con delle matite, a Stadion spunta un arcobaleno sul soffitto mentre a Solna lo scenario ricorda un antro infernale, col suo rosso acceso. Una grotta nelle profondità della terra è evocata dalla stazione di Radhuset e per controcanto a Thorildsplan ti senti quasi nel mondo tecnologico e moderno di un videogioco con tutte quelle immagini di pixel e di piccole piastrelle colorate.

Gamla Stan
I ricordi del luminoso viaggio estivo cominciano invece con un tramonto a Gamla Stan, la Città Vecchia di Stoccolma, lo spazio del cuore, il luogo dove venne gettata la prima pietra della capitale svedese nel 1252. Qui nel Medioevo c’era il mercato principale, era la piazza Stortorget il luogo di tutti gli scambi, di tutte le chiacchiere, di tutti gli incontri. Qui dove sembra di stare a Praga, tra le strette vie di ciottoli (la più stretta misura solo 90 centimetri!), i campanili delle chiese più belle della città, le gallerie di quadri, le botteghe artigiane, i caffè eleganti.
Il tramonto estivo cade ben oltre la mezzanotte sui tetti aguzzi e sulle facciate variopinte di Gamla Stan. Tutte le case, in genere abitate da artisti e intellettuali, compresa quella dell’ex Palazzo della Borsa dove si assegnano i Premi Nobel, diventano ancora più gialle, ancora più rosse. Bellissimo.
A proposito di Alfred Nobel, va ricordata questa schiva figura di geniale chimico vissuto nell’800 e che inventò la dinamite, altri 350 brevetti nonché il premio per i migliori protagonisti del mondo della ricerca diffusosi poi a quello della cultura e della società: “se si approfondisce la conoscenza, aumenta il benessere collettivo” era solito ripetere. E di benessere e qualità della vita la Svezia e Stoccolma ne sono davvero piene.


A due passi dalla piazza centrale si trovano la cattedrale Storkykran di Stoccolma, luogo di tutte le incoronazioni e matrimoni reali, la Torre Rotonda e la mole squadrata del Palazzo Reale col cambio della guardia puntuale ogni giorno alle 12.15 esatte. La visita si può fare velocemente, più che i saloni vale la pena vedere i gioielli della Corona e l’enorme biblioteca.

Ecco poi la City coi mercati di Piazza Hotorget: questa è la Stoccolma della Casa della Cultura coi suoi sette piani di vetro dove si organizzano attività e laboratori per tutti i gusti e tutte le età, la città dei commerci e della finanza, delle passeggiate nelle vie più moderne, dello shopping nel grandioso magazzino NK dove ogni acquisto, dall’interior design al cibo è ispirato allo stile minimalista svedese.


Infine una sosta al Municipio disegnato dal più celebre architetto della città, Ostberg, severa e carismatica costruzione in mattoni rossi che ha il pregio della posizione aperta sul mare e che per gli abitanti di Stoccolma ha lo stesso valore del Big Ben a Londra o del Palazzo Ducale a Venezia.
Il Municipio si visita soprattutto per le sue magnifiche sale dove si celebra l’evento più importante della Svezia, un evento preparato lungamente e che dona prestigio a tutto il paese.
La visita della Sala Blu ti fa respirare l’atmosfera della serata di gala dei Nobel, quando i migliori camerieri del paese ricevono l’onore di servire la cena più importante dell’anno davanti ai discreti e amatissimi rappresentanti della monarchia svedese, alle personalità premiate, ai capi di stato di tutto il mondo e agli studenti delle migliori università sorteggiati per indossare i costumi tipici e per sventolare le bandiere.
La visita della Sala d’Oro, quella dove va in scena il grande ballo del Nobel, ti fa invece restare abbagliato da 18.000 tessere di mosaico d’oro che raccontano la storia della Svezia e della sua capitale.

Lusso dentro, semplicità fuori: capita spesso in Svezia.

I giardini tutti intorno lo Stadthus ti permettono di fissare a lungo l’acqua, di colmarti della luce nordica estiva, mentre la salita sulla sua torre ti regala la vista panoramica più bella sui tetti di Gamla Stan. Quando lasci il Municipio ti accorgi dei pescatori che buttano il loro amo in acqua o dei bambini biondissimi che corrono dietro a aquiloni o leprotti. Stoccolma è anche questo, il ritratto di un paese tranquillo e assolutamente pacifico che per sua fortuna, bravura e saggezza non entra in una guerra ormai dal lontano 1814. Una terra e un popolo si amano anche per questo.

La magnifica estate svedese
Sui monumenti sono andato volutamente veloce, per noi italiani è difficile provare dei veri brividi difronte ad architetture belle, molto belle sicuramente, poetiche, sull’acqua, ma tutto sommato già viste alla millesima potenza con Venezia.

Il vero incanto di Stoccolma è invece il suo ambiente naturale e per capirlo basta fare una crociera in barca a vela o salire su uno dei tanti battelli che si infilano tra le anse, i golfi, i canali, i bracci di mare delle 14 isole principali che compongono la città.
Le soste obbligate sono quelle a Djurgarden per scattare le migliori foto di Stoccolma vista dall’acqua e compiere lunghe passeggiate in bicicletta in mezzo al verde e alle ville dei miliardari svedesi. A Sodermalm per un pomeriggio di atmosfere alternative, con tanti giovani, aperitivi, club, loft, negozietti tipici, atmosfere bohemien e una favolosa arena sportiva. A Drottiningholm per vedere la residenza della famiglia reale e il suo bellissimo parco. A Vaxhom per visitare la sua fortezza. A Sandon per riposarsi su una spiaggia dove si vedono le casette in legno. A Hammerby per scoprire il volto più green in un quartiere tutto costruito sull’acqua. A Riddarholmen per togliersi la curiosità di visitare il primo isolotto da cui nacque Stoccolma, oggi sede di palazzi eleganti e dei sepolcri dei re.
Poi con uno sforzo di immaginazione provate a pensarvi non sul Battello Ebbro ai tropici di Arthur Rimbaud ma su un più modesto barcone svedese che comincia a togliere gli ormeggi, a sbuffare, a superare le isole “cittadine”, a andare più lontano, nell’azzurro, a toccare casualmente qualcuna delle 24.000 piccole e grandi isole che formano l’infinito arcipelago di Stoccolma.
Dove comincia un mondo diverso, più largo e più vuoto, sospeso nell’acqua e nel verde, di prati selvaggi in fiore, di capanne colorate che spiccano tra i boschi, di luce che cambia a ogni ora del giorno, di giorni dedicati allo sport, alla canoa, al trekking, alla pesca, alla raccolta di funghi o mirtilli o bacche, alla lettura di un libro nell’erba o difronte a un camino.




Eravamo quattro amici e siamo rimasti un paio di giorni in questo paesaggio da favola. Giravamo sulle isole lentamente in bicicletta oppure passavamo delle ore in canoa, per la sera compravamo il pesce fresco al molo o il formaggio e il pane appena fatti, ci piaceva guardare l’acqua, gli alberi, le casette rosse, i cigni padroni del lago. A Runmaro abbiamo visto anche aironi bianchi, castori, daini e tantissime farfalle. Un silenzio a tratti irreale, interrotto dalle partite a pallone coi ragazzi del posto, dal ritmo di una pagaia, dal canto di un uccello e di notte ci sembrava di udire qualche bramito d’amore degli alci nascosti nella foresta.
Rimanere qualche giorno tra i boschi di pini e betulle (in Svezia metà territorio è coperto da conifere!!) e il Mar Baltico oppure sulle sponde del lago Malaren è un’emozione unica, molto pura e molto libera.
Quasi ogni abitante di Stoccolma ha un suo luogo dell’anima, quello che la gente di qui dal film di Bergman chiama “il posto delle fragole”, il suo posto speciale e nascosto nella labirintica mappa dell’arcipelago, una tappa personale di wilderness da cercare ogni weekend, uno chalet di legno molto spartano, dipinto di rosso (in svedese è la stuga), dove si infila gli sci e le ciaspole di inverno e con una barchetta ormeggiata sul pontile davanti per le escursioni estive, lontano dai negozi, dai caffè, dai palazzi, dal design, dalle ricchezze della sua meravigliosa città.



Un cimitero particolare
A Stoccolma esiste un cimitero particolare, nascosto dentro una foresta. Non è il semplice luogo di riposo dei morti ma un posto che permette una convivenza filosofica e quasi sensuale con la natura. Su alcune tombe c’è scritto solo un nome, è posato solo un fiore, manca pure la croce. Non si avverte un senso di angoscia cristiana ma di ciclo naturale delle cose. Tra le alte betulle è sepolta anche Greta Garbo, “la Divina” (che ricordiamo con questo splendido ritratto del volume edito da Rizzoli).

Per questo motivo si merita il ricordo d’autore di un nostro grande intellettuale, Claudio Magris.
“…un bosco che circonda, invade e copre la pietra, e in cui sembra trionfare l’irregolarità’ della vita…”
“Qui la morte sembra uguaglianza e fraternità’: la naturalezza di un evento familiare come respirare, dormire, camminare, che non conosce la gerarchia e ignora la pompa funebre”
“Qui la visita non è un rituale funebre, quanto piuttosto un girovagare nella foresta e percepire il suo respiro; si è attenti agli alberi, all’indicibile tenerezza delle slanciate betulle, al rosso delle foglie, ai rami che la luce limpida e bianca ritaglia nitidi contro il cielo, alle orme di qualche animale, al richiamo di un uccello”
“Gli architetti del cimitero si proponevano di sviare l’attenzione dei vivi dalla tristezza della morte, di creare una confidenza sensuale con la natura, con la foresta che parla ai sensi con i suoi odori, i suoi colori, la corteccia ruvida al tatto, il sapore acerbo delle bacche da masticare e sputare”

Parole che trasmettono l’eternità semplice di un’aurora boreale.
Il paradosso svedese
Girando in lungo e largo per la città, leggendo a distanza articoli e saggi sulla Svezia (consiglio a tutti il numero di “The Passenger” edito da Iperborea in libreria) ho assimilato meglio alcune caratteristiche di questo paese dove un abitante su quattro ha meno di 20 anni, dove sempre uno su quattro ha origini straniere (turchi, slavi, mediorientali, somali), dove l’80% sono atei ma dove per decenni si è respirata sempre una grande tolleranza e coltivato un grandissimo senso di accoglienza. La Svezia nel corso del’900 e in questi primi 20 anni del 2000 è stata giudicata da tutto il mondo una sorta di “superpotenza umanitaria”, capace di donare 5 milioni di dollari l’anno in aiuti umanitari e di aprire le porte di casa anche fino a 160.000 mila richieste di asilo (record europeo raggiunto nel 2015).
Un perfetto modello di stato sociale che oltre a garantire servizi, studio, lavoro, case, tutele, dimostra un senso civico, un rigore etico e insieme forme raramente raggiunte altrove di solidarietà, di progresso e di emancipazione. Una vita pubblica dove gli argomenti più scomodi come l’immigrazione, l’omofobia, la xenofobia, la pena di morte, non vengono mai discussi per pudore, se non impugnati da rinascenti frange di estrema destra, ostili all’arrivo di tanti stranieri e alle conquiste della parità di genere.

A Stoccolma capita quello che dalle nostri parti è considerato una specie di miracolo, ovvero che gli abitanti credono nelle istituzioni e le istituzioni si fidano dei cittadini! L’indice di fiducia verso il governo e nei media è il più alto in Europa, per qualche osservatore politico questo è un atteggiamento anche troppo rischioso, al punto che nei mesi del coronavirus abbiamo assistito a uno strano balletto con lo stato a dire che non può chiudere la gente in casa (contando forse anche sull’individualismo della popolazione, sulle famiglie meno aggregate, sulla bassa densità abitativa, sulla propensione quasi filosofica di tanti svedesi alla solitudine?) e che il buon senso deve indicare al popolo la strada da seguire. Ma i morti sono stati comunque numerosissimi e le polemiche sono state enormi.
Si crede, si legge da più parti, che gli svedesi abbiano il retaggio luterano dell’obbedienza a priori, dell’autorità interiorizzata. E che l’utopia moderna di essere tutti liberi e indipendenti abbia proprio per questo motivo le sue ambivalenze, le sue zone d’ombra. Restano un enigma Stoccolma e il suo paese: la gente è forse la più rispettosa e responsabile che esiste, il welfare pensa a tutto, permette a tutti in qualche modo di realizzarsi, ma allo stesso tempo esistono stati d’animo che ricordano gli abissi bergmaniani, esistono inverni molto tristi, le generazioni dei giovani e degli anziani si parlano e si frequentano poco. E molte persone muoiono sole.
Per non parlare della vita politica e sociale che passa in pochi decenni dalla visione morale di Olof Palme, il primo ministro socialdemocratico assassinato tra molti misteri un giorno di febbraio del 1986 mentre rientrava a piedi di sera dopo un cinema nella sua residenza di Gamla Stan, Palme che era stato eticamente e dialetticamente contrario alla guerra in Vietnam, all’apartheid sudafricano, al traffico illegale di armi verso l’Iran, alle prepotenze di Israele, ai regimi comunisti, alla corsa al nucleare, agli inghippi della Stasi, alle dittature sudamericane e ucciso per questo eccesso di etica dal colpo di pistola di un impiegatuccio forse armato da uno dei suoi tanti nemici cui dava fastidio, a un nuovo partito progressista che deve navigare tra impreviste difficoltà.
Infatti mentre dichiara con il premier Lofven “Noi non siamo il paese dei Muri” deve fronteggiare la prepotente ascesa di un gruppo che fino a poco tempo fa faceva i suoi raduni in camicia nazista e che cavalcando i temi populisti della purezza svedese, del lavoro minacciato dagli immigrati, della cacciata dello straniero ha cominciato col bruciare i libri degli intellettuali ebrei o i centri di accoglienza dei rifugiati, conquistando però clamorosamente nella terra della socialdemocrazia e della tolleranza e della libertà, oltre il 20% dei consensi. Vedremo la via svedese nei prossimi anni che sorprese riserverà. Io preferisco immaginarla come un caldo rifugio per tutte le idee e design più moderni!

Quelle bionde là
Chiudo questo diario di Stoccolma addentrandomi su un terreno minato e spesso oggetto di facili stereotipi da maschio italiano: le donne svedesi. Non ne ho mai avuto esperienza diretta ma la mia testa è piena dei ricordi e dei racconti, un po’ filosofici, spesso simpatici, di un mio amico dei tempi di Università. Che se non era svedese per lui non era donna!
Quelle stupende biondine, visi maliziosi, lentiggini, occhi azzurri, forme seducenti (almeno fino a quando sono giovani secondo il mio fidato testimone…), ottima padronanza dell’inglese, cultura medio-alta, così come il tenore di vita, accento musicale, propensione a vivere in modo tranquillo e disciplinato tra lavoro, scuola, casa e sport fino al venerdì sera e tra risate, bevute, baldorie e amori facili nel fine settimana. Dalla mentalità molto più aperta della nostra, anche nel sesso.
Il quadro di partenza è più o meno questo e probabilmente il mio amico era molto attratto da questo canone estetico, da questo senso di libertà e di indipendenza, da questa accattivante disinvoltura.
Lui ci andava due o tre volte l’anno a Stoccolma, io preferivo le latine e lui le nordiche, capita! Lui a Roma mi trascinava nei pub frequentati da scandinave perché sentiva troppa nostalgia. Lui che scelse addirittura di studiare lingua e letteratura svedese all’Università perché voleva conoscere più da vicino quella bella nazione nordica, non solo per le donne voglio sperare.
Mi piacerebbe davvero sapere che fine ha fatto, se ha realizzato i suoi sogni, se si è trasferito lassù. L’ho perso di vista, ogni tanto su Facebook penso di vederlo spuntare accanto a una bionda svedese ma non è mai capitato.

Però le ricordo bene le nostre conversazioni davanti a una birra o con la mappa della Svezia dove disegnavamo il nostro viaggio.
Poteva passare intere serate al pub a raccontarmi di come le svedesine ancheggiano e sorridono quando camminano tra le vetrine lussuose del centro o quando praticano il jogging con tutine aderenti, fucsia, turchesi, lungo le sponde del Malaren; di come cercano la vita e l’avventura ogni sabato notte e di come si guastano di alcool dopo che per 5 giorni su 7 bevono davvero solo latte e succhi di frutta e centrifughe, avendo un occhio esagerato per la dieta e le norme di vita salubri (è una forma di vendetta contro il rigore nordico o l’unico modo per vincere la timidezza e sperimentare la socialità?).
Di come non vedano di buon grado la cena offerta o il mazzo di fiori ai primi appuntamenti, gesti troppo latini e cavallereschi, meglio stupirle con la dialettica, col carisma; di come in fondo non si spaventino neppure all’idea di diventare ragazze madri perché nella nazione dove paghi le tasse più alte del mondo hai anche lo stato sociale più efficiente del mondo, che ti aiuta a trovare un buon lavoro, a studiare gratis all’Università, a educare bene un figlio e a vivere con ottimi servizi anche se resti da sola (venni a sapere che a Stoccolma esistevano addirittura dei cinema soltanto per le mamme che allattano: con una culletta accanto alla poltrona, la biberoneria e la saletta per il cambio pannolini!!).

Di come le ragazze di Stoccolma preferiscano un lago, una barca, un bosco o gli sci alle discoteche, alle macchine lussuose, alle cafonate varie; di come paghino anche un giornale con la carta di credito.
Di come ridacchiare su feste e valori tradizionali come la notte di Santa Lucia equivalga all’abbandono di ogni speranza di restargli accanto, anche per un solo sabato…; di come una netta coscienza ecologica e politica sia più diffusa che da noi e in età più giovanile (e io oggi ad anni di distanza credo che comunque la si pensi sulle battaglie per il clima di Greta Thunberg le sue idee siano da rispettare proprio perché nascano in una giovane donna); di come l’educazione libera e fiera delle ragazze svedesi prendesse spunto dalle vicende di Pippi Calzelunghe che dal 1945 è entrata nel dna del paese col suo modo scombinato di esplorare il mondo, di mangiare sdraiata, dormire alla rovescia, indossare calze allegre e spaiate (se penso che alle elementari italiane fanno ancora leggere brani di “Cuore” di De Amicis il controcanto della cultura italiana è evidente!).

Di come lo sgarbo più grande per loro fosse essere interrotte durante una conversazione o anche vedere che tu rubassi la parola a qualcun altro; di come preferiscano la sauna al telecomando, i viaggi agli acquisti, le esperienze alle sicurezze; di come cerchino subito una casa a 18 anni, con gli amici, e con essa l’indipendenza economica, senza rimanere sotto il tetto di mamma e papà.
Di come siano stra-golose di dolci e stra-fanatiche della tecnologia svedese (Spotify, Skype e Minecraft sono nati qui, nell’unico paese capace di contrastare in qualche modo le miliardarie app e social nati in California).
Di come nel loro forte accento femminista sia previsto senza scandalo tra feste e bevute varie anche qualche innocente bacio saffico o l’invidiabile consapevolezza di vivere nella città europea dove sia più evidente la parità di genere o perché no l’ambizione di far parte un giorno della guardia reale, esattamente divisa a metà, nel paese delle parità, tra uomini e donne.
Insomma lui era nettamente, clamorosamente, di parte ma mi ha allargato un po’ lo sguardo su alcuni aspetti della femminilità svedese che vanno oltre la categoria del mito, mito che peraltro in Italia ha radici lontane, negli anni ’60, quelli della prosperosa Anita Ekberg a mollo nella Fontana di Trevi o dell’algida Ingrid Bergman protagonista di tanti film romantici e drammatici.
E se nel freddo di Stoccolma oltre a esserci una grande qualità di vita, una vita verde e moderna, dove tutto o quasi funziona si potesse vivere in pieno anche “La Dolce Vita”?

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