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Terre di mate e di gauchos

Sudamerica da scoprire

Vivono, sopportano e tutto sommato preferiscono il destino dei paesi minori, quelli che in America Latina sono meno soggetti alla luce dei riflettori, accolgono meno turisti e risultano meno famosi.

Non hanno infatti tratti unici, salvo le grandi praterie in comune, le belle spiagge mondane da una parte e le affascinanti rovine delle missioni gesuitiche dall’altra, non hanno il samba o il tango (perlomeno non in grandi dosi), non hanno un paesaggio indimenticabile da esibire che sia magari la Patagonia dei fiordi e dei ghiacciai, l’Amazzonia fittissima, le Ande alte e bellissime, il Tropico sensuale e sognante, i Deserti di Sale, le città coloniali e neppure una famosa cultura da sfoggiare, come quella di paesi appartenenti al loro stesso, magico continente, ad esempio gli Inca in Perù o i Maya in Messico.

Terre di mate e di gauchos Sudamerica da scoprire

Uruguay e Paraguay però meritano comunque una visita, perché hanno capitali dinamiche, dimensioni più piccole ma tanti aspetti interessanti. Primo fra tutti quello della tradizione e dei costumi delle grandi pianure sudamericane, dove il mate e i gauchos sono i grandi protagonisti.

Paraguay isolato

Il Paraguay insieme alla Bolivia (ma la Bolivia il mare lo aveva o almeno nella sua storia lo ha visto prima della disfida col Cile) è l’unico paese sudamericano a non essere bagnato da uno dei due grandi oceani e ha legato piuttosto il suo destino e il suo nome a un grande fiume che scorre lento tra le sue pianure e i suoi altopiani, significando coi lenti barconi la principale via di comunicazione e commercio del paese e segnando i suoi confini coi due giganti vicini, il Brasile e l’Argentina.

un grande fiume che scorre lento tra le sue pianure e i suoi altopiani

Non godendo di questo sbocco geografico, turistico e anche commerciale il Paraguay nella sua storia ha sempre vissuto in maniera abbastanza isolata e autonoma, così come gli ultimi eredi degli indios Guaranì, gli stessi che abbiamo visto distrutti dalla cupidigia delle potenze colonialiste europee nel magnifico e toccante film “Mission” con Robert De Niro e Jeremy Irons, reso indimenticabile dalla colonna sonora di Ennio Morricone (vedi il pezzo dedicato nel topic de “Il Grillo Viaggiante Cultura da viaggio” intitolato Le cascate di “The Mission”).

Oggi purtroppo i Guaranì rimasti sono il 2% della popolazione,

Gli spazi immensi del Chaco

Il paesaggio più tipico del Paraguay è senz’altro l’enorme prateria brulla e incolta che prende il nome di Chaco

Il paesaggio più tipico del Paraguay è senz’altro l’enorme prateria brulla e incolta che prende il nome di Chaco, una specie di riserva naturalistica per uccelli e altri animali che in tempi remoti era un infinito lago salato e che ha sempre offerto poco all’uomo, compresi quelli che erano i guerrieri nomadi a cavallo abituati a queste solitudini, i Toba, tranne che il suo piccolo tesoro nascosto, il mate.

Il Chaco per il Paraguay è stato comunque sempre un territorio importante da difendere e le aspre guerre con la Bolivia per i suoi confini hanno purtroppo favorito l’ascesa del dittatore Stroessner, rimasto per 35 anni alla guida del paese, accentuandone il suo isolamento, anche economico. Per questo la regione del Chaco ha costituito l’habitat perfetto per le austere e ultra conservatrici comunità dei Mennoniti, arrivate quaggiù dal Canada per vivere di agricoltura, religione e rifiuto della modernità.

Viaggiare da queste parti significa attraversare chilometri di nulla, godere del silenzio e dei tramonti spettacolari e anche del sollievo procurato ai sensi dal mate o da una buonissima bistecca con contorno di riso e degli immancabili fagioli.

Ranch di allevatori, praterie e silos, estancias umili o eleganti, stalle e mandrie di mucche, cavalli liberi e selvaggi, come i cowboy locali che li cavalcano e che li governano insieme alle mucche, i gauchos: il Chaco ha una carta d’identità perfettamente leggibile e ti lascia in fondo un bel sapore in bocca, come quello della sua succulenta carne alla griglia e del suo tè di delicate foglioline di mate. Oltre che il ritratto folkloristico dei cowboy della prateria.

Approfondiamola un po’ questa conoscenza di mate e gauchos.

Il rito del Mate

Il rito del Mate

Le foglie del mate, un agrifoglio ricco di caffeina e altre sostanze nutritive, quando colte vengono messe ad asciugare nelle aie o nelle terrazze delle case contadine su un piano sopra un fuocherello, vengono poi polverizzate e con l’aggiunta di acqua calda, proprio come nel caso del thè, vengono infine sorseggiate e bevute con l’aiuto di una pipetta di metallo o di osso. Caratteristico anche il recipiente in legno che fa assumere alla bevuta i ritmi lenti e piacevoli di un rituale di provincia.

Il mate per gli indiani è sempre stato una bevanda magica tanto che gli sciamani delle varie tribù la usavano in grande abbondanza, o perché davvero gli piaceva o perché con essa sostenevano di poter entrare meglio in contatto col mondo degli spiriti e degli antenati.

Gli stessi gesuiti al tempo delle loro missioni coltivavano, raccoglievano e vendevano grazie ai loro indios interi sacchi di foglie di mate, coi proventi dei quali poi provvedevano a costruire chiese e scuole nei siti sparsi per il paese e a sfamare i bambini delle tribù più povere.

La vita del Gaucho

Sopra un cavallo, nella polvere, nei grandi spazi, al servizio dei latifondisti e delle loro immense tenute. In Paraguay come nel vicino Uruguay, forse ancora più famoso per le sue grandi estancias, le vastissime proprietà delimitate da recinti di filo spinato che sembrano spuntare nel vuoto delle pianure e proteggere, a chilometri di distanza, la tenuta del padrone e l’allevamento di cavalli e mucche. I cowboy locali si chiamano appunto gauchos, e appartengono da sempre al patrimonio folkloristico di questi due paesi. I mandriani che una volta erano solo meticci si riconoscono dal loro abbigliamento di cappelloni, camicie a quadri o ponchos, pantaloni di pelle che cadono sui tipici stivali. Abili nelle corse coi cavalli, a lanciare lazoo y bolas, a marchiare le vacche, a gareggiare in rodei, a controllare fino a 800 vacche l’uno, dall’uscita al pascolo al rientro nelle estancias. E la sera intorno al fuoco acceso nella vasta prateria tutti riuniti a trasmettersi i racconti, le gesta, i tagli di carne e le tazze di mate.

Sopra un cavallo, nella polvere, nei grandi spazi, al servizio dei latifondisti e delle loro immense tenute
Abili nelle corse coi cavalli, a lanciare lazoo y bolas, a marchiare le vacche, a gareggiare in rodei
a controllare fino a 800 vacche l’uno, dall’uscita al pascolo al rientro nelle estancias
“gaucho”: viene dal quechua “huacho” che significa “senza madre”

Mi ha sempre attratto l’etimologia della parola “gaucho”: viene dal quechua “huacho” che significa “senza madre”, un concetto che sta ad accentuare il destino di questi uomini nomadi a cavallo, secondo wikipedia dei “selvaggi bianchi che vivono lontani dalla società”, fieri e liberi di vivere con poco, nella natura, a stretto contatto coi loro animali, con le bizze del clima e della natura.

I gauchos sono menzionati per la prima volta con tale nome nei documenti spagnoli risalenti alla conquista spagnola dell’Uruguay e si sono poi diffusi tra la pampa argentina e il chaco del Paraguay, arrivando in alcuni casi fino alle lande cilene, boliviane e in qualche pezzo di Brasile.

Il fascino di un viaggio tra Paraguay e Uruguay dipende molto anche dall’incontro con questi uomini ruvidi, onesti e silenziosi, con questi peones innamorati dei loro cavalli, dei loro speroni, coltelli, chitarre e bolas.

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