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I grandi reportages / Tutti i soli del Messico

Tutti i soli del Messico: la Baja California – prima parte

La discesa della Baja

La lunga penisola della Baja California, staccatasi dal resto del Messico in seguito ai devastanti terremoti che una ventina di milioni di anni fa aprirono una spaccatura sulla faglia di Sant’Andrea, venne “scoperta” nel XVI secolo durante le prime esplorazioni di Cortès.

La Baja ha sempre emozionato e stupito per la sua luce e per la sua bellezza ogni tipo di conquistatore, di viaggiatore e di scrittore (John Steinbeck parlava di “effetto miraggio” per descrivere i pezzi di deserto come sospesi nel mare) ma solo dal 1973 si può percorrere, grazie a una mitica strada, in tutta la sua lunghezza. E il viaggio diventa un’avventura indimenticabile.

Che passa in rassegna aride distese e giganteschi cactus che dopo le rarissime gocce di pioggia vedono sbocciare ciuffi di fiori gialli, rossi e violetti e contengono ottime riserve d’acqua.

Che vede lunghi camion colorati che arrancano sulla pista ed eroici pescherecci che prendono il mare. Che racconta storie di vecchie missioni gesuitiche costruite sull’esempio di Padre Kino sul finire del 1600 e di nuovi siti turistici pieni di ogni tipo di divertimento.

Che alterna baie nascoste e litorali azzurri e selvaggi, struggenti e vuoti, e nel periodo giusto, da dicembre a marzo, incanta per le gobbe e i salti delle balene grigie. Oltre che per i suoi favolosi tramonti.

La Baja ha sempre emozionato e stupito per la sua luce e per la sua bellezza

Uno dei mari più belli del mondo

Il mare della Baja, sia il Pacifico con le sue onde attraversate dalle balene che quello placido di Cortès abitato da tartarughe e leoni marini, è così celeste e trasparente da mozzare il fiato e ha anche un volto misterioso perché sui suoi fondali hanno trovato perle, fossili di elefanti e di cammelli!!
In un viaggio lungo come le dimensioni dell’Italia il mare della Baja chiama a mille pause casuali, a scendere dalla jeep per un tuffo, una foto o per rimanere sdraiati al sole una giornata intera.
Il viaggio in questa striscia meravigliosa di Messico popolata solo da due milioni di persone è uno dei più belli che si possa fare e si compie senza orologio, senza vere tappe, senza cartine, senza affanni: spazio ce ne è finché vuoi, e la sua verticalità ti aiuta. Puoi fare le deviazioni più lente e personali che esistono, tanto arrivi a sud prima o poi e la vedi e la respiri tutta questa magica penisola, questa geografia della purezza e della solitudine.

Gringos a Ensenada

In genere atterri con l’aereo a San Diego, noleggi un robusto fuoristrada assicurandoti che abbia un paio di ruote di scorta e una tanica aggiuntiva per la benzina e prendi la via di Tijuana (per il racconto su Tijuana e sulla vita intorno al confine vedi i prossimi episodi del nostro reportage).
Sono solo 25 km tra gli yacht club della città californiana e la città di tanti problemi e tante illusioni messicane ma basta poco per notare le differenze eclatanti tra i due mondi e basta ancora meno per raggiungere la prima cittadina della Baja, Rosarito. E soprattutto la seconda, Ensenada, luogo dove i gringos vengono volentieri a svernare o a impazzire durante i loro spring break dietro alle sensuali senoritas locali.

a impazzire durante i loro spring break dietro alle sensuali se

Ensenada è il tipico esempio di cittadina vacanziera un po’ abusata, lo capisci dai motel mediocri cresciuti come funghi ai bordi della carretera, dai mariachis arrivati fino qui per allietare gli stranieri, dai cartelloni giganti che pubblicizzano la birra locale, dai chioschetti di tacos e di cibo fritto lungo la strada, dai ragazzi che si portano dietro le tavole da surf, dalla musica che arriva dalle spiagge e dai bar di Avenida Revoluciòn che servono il cocktail Margarita, inventato proprio qui. Lo intuisci soprattutto dal fatto che “d’estate, nei fine-settimana, orde di giovinastri provenienti da San Diego e Los Angeles la prendono d’assalto per sbronzarsi, correre con i loro pick up sulla spiaggia e darsi a molte altre attività che, dall’altra parte del confine, li porterebbero dritti in galera” (Stefano Ardito, “Meridiani Messico”).

Ensenada era anche il posto amato da Jim Morrison, che qui viveva stati sognanti e febbrili, eruttivi come i vicini geyser di onde alla Bufadora. Con l’immancabile birra Corona gelata in mano, a ogni soffione d’acqua scatta l’applauso dei giovani americani assiepati sulle rocce. Poco distante da Ensenada ecco spuntare la Valle di Guadalupe dove si produce in pratica tutto il vino del Messico, meritevole di una sosta più meditativa.

Il silenzio del deserto

Nella valle di San Quintìn, ai piedi della Sierra San Pedro Martir, si incontrano parecchie aziende agricole e allevamenti di bestiame. I turisti in questa parte della regione amano la solitudine, le arrampicate, i trekking, le esplorazioni faticose in mountain bike e il cavallo, che galoppa sugli ultimi contrafforti della sierra punteggiati dai fichi d’india o fino alle prime dune del deserto. Ma il vero paesaggio emozionante e unico della Baja, comincia subito dopo.

Tra mille varietà di cactus

Il deserto si fa infinito, il paesaggio è quello da film di fantascienza: senso di vuoto, sole cocente che va a sbattere sui solitari massi aguzzi e su un giardino roccioso che rischia a ogni curva di scassare le sospensioni delle jeep. Un silenzio irreale dove osano solo coyotes, puma, avvoltoi, serpenti a sonagli. Tra mille varietà di cactus (i cardòn scenografici a forma di candelabro, i saguaro carismatici, i maguey “alcolici” per il loro distillato di pulque!) che stanno eretti a sorvegliare il paesaggio come soldati di guardia e l’attesa perenne di qualche goccia di pioggia, pensi alla frase definitiva di Cacucci che qui “la lentezza è l’unica legge”.

Nella zona di Catavina le pitture rupestri raffigurano riti di caccia, cervi, agnelli, rituali sciamanici e fuori le caverne si incontrano tante carcasse di macchine. Cacucci ricorda “i cimiteri d’auto disseminati in ogni radura, quasi che i simboli di un discutibile progresso si spingano fin quaggiù solo per venirci a morire”. L’ambiente è ancora lunare e si può restare fermi per ore a osservare una mulattiera che finisce chissà dove o più probabilmente il mare di cactus, alcuni alti fino a venti metri. Meglio evitare di guidare la notte perché sull’asfalto si sistemano a dormire gli animali selvaggi che quando le temperature calano cercano il conforto caldo della strada.

La Bahia de los Angeles

A 100 km da Catavina e ormai a circa 600 dal confine Usa ecco la vista dei pescatori e delle loro barche e reti posate sulle rive, delle poche file di case di un paesino che sembra sempre fermo nell’ora della siesta, delle palapas di Playa Archelon dove riposare le ossa sfiancate dai chilometri, degli isolotti al largo pieni di sterne, di pellicani bruni, di colonie di cormorani, di aquile che nidificano sulla laguna e là davanti, nello specchio d’acqua, le tartarughe marine, i delfini e tante altre specie di flora e fauna marina.

A Bahia de los Angeles il paesaggio è quello di un grande lago prosciugato, assomiglia davvero a un miraggio, l’aria è sempre limpida, immobile quasi, e i cactus sembrano galleggiare sul mare. Cacucci ci ricorda che il nord della Baja è il luogo con meno nuvole nel mondo. La luce morbida che precede le ore serali tutto avvolge e tutto incanta, anche il campanile della vicina e struggente missione di San Borja, col suo vecchio portale color ocra.

Saline e balene

A Guerrero Negro cambia il fuso orario e prima di rimanere incantati davanti alle balene che sbuffano nel suo mare si vanno a visitare le più vaste saline del mondo, distese chilometriche di sale cristallizzato, il bianco accecante e estraniante di ventimila tonnellate di sale al giorno esportate ovunque. Questo territorio vive dell’economia del sale, oltre che dei proventi turistici dei visitatori delle balene: al sale si debbono le scuole e le strade, la costruzione di case e negozi.

A due passi dal paese si ammira la Laguna di Ojo de Liebre dove ogni gennaio, febbraio e marzo le balene grigie, lunghe fino a 20 metri, si danno l’appuntamento galante per accoppiarsi o quello intimo per partorire. Queste acque basse, calde e placide infatti gli piacciono tanto e pare che arrivino ogni anno in più di duemila esemplari.
Per inciso i “cucciolotti” pesano alla nascita già mezza tonnellata, sono lunghi 5 metri e succhiano dalle mammelle 200 litri di latte al giorno! E nuotano accanto alle mamme, in un abbraccio che sa di cura.
Quello delle balene è un viaggio d’amore lungo tre mesi e quasi 9.000 km, dallo stretto di Bering della gelida Alaska alle calde acque messicane, raccontato con grande poesia in un altro bellissimo libro di Pino Cacucci, “Le balene lo sanno”. Cosa sanno? Lo scopriremo presto, intanto ci deve bastare la verità di un barcaiolo: “saranno loro ad avvicinarsi, a essere amistosas, amichevoli, non noi, siamo noi che andiamo nel loro elemento e dobbiamo rispettarlo”.

le balene grigie, lunghe fino a 20 metri, si danno l’appuntamento galante

Una volta queste lagune erano arrossate di sangue perché nel 1858 la baleniera Black Warrior del Capitano Scammon (che strano destino, la nave con gli arpioni diede il nome di Guerrero Negro alla località sulla costa) fece una strage di cetacei. Per fortuna dal 1970 il tratto di splendido mare in questione è diventato un santuario naturalistico.

Le pagine di Cacucci

Nel suo ispirato diario di viaggio Cacucci descrive benissimo la maestosità primordiale delle balene, i loro salti che avvengono per scrollarsi di dosso i parassiti, i loro sbuffi giocosi, i loro dorsi rugosi che decidono quando apparire, le code che svettano eleganti nell’aria, i loro canti misteriosi, il loro vivere in comunità socievoli e pronte a difendersi dagli arpioni ieri e dagli squali oggi e anche le loro burle compiute per la gioia dei turisti: “Ma perché lo fanno? Perché dimostrano questo insopprimibile istinto, questo anelito all’amicizia degli esseri umani, arrivando al punto di mostrare loro – con orgoglio si direbbe – i propri figli, tenendoli sollevati sulla superficie e avvicinandoli alle barche, e quelli, al pari di gattoni giocherelloni, che si lasciano accarezzare e persino baciare sul muso… Dopo essere state massacrate per secoli… le balene sembrano sapere che qui, in Messico, da oltre mezzo secolo non hanno più niente da temere… Si vogliono bene, tra loro. E ne vogliono istintivamente anche a noi. Malgrado tutto. Perché le balene lo sanno, che non siamo tutti uguali e, sebbene abbondino le carogne, tra noi ci sono tanti ben disposti nei loro confronti. Sì. Le balene lo sanno”.

*copyright

Ti passano sotto e vicino alla barca ma non la rovesciano mai, né la colpiscono. Si avvicinano, si fanno accarezzare piuttosto e poi scelgono la libertà dell’Oceano. Un miracolo, oppure un segno di intelligenza superiore? Mi viene in mente l’albatros di Baudelaire e di Coleridge e ovviamente il Moby Dick di Melville: la natura è sempre superiore e va lasciata dov’è, indisturbata, sacra, inviolabile.

Isla Cedros

L’isola da cui parte il sale nel mondo a bordo dei cargo giapponesi si chiama Isla Cedros e si trova difronte a Guerrero Negro. Stupisce per le sue montagne rossastre, le case pitturate di blu brillante, una chiesetta gialla e rosa, un golfo dove pigri nuotano i leoni marini e le otarie e vicino a loro si riposano i pellicani. Un’altra colazione sotto una bella veranda vista mare con spremuta d’arancia, caffè bollente, uova fritte, fagioli, patate, tortillas, salse piccanti, sfida a chi assaggia il peperoncino più micidiale ed ecco che il viaggio on the road riprende vitale e felice attraversando il deserto di Vizcaino. Con una lunga deviazione si possono visitare a San Francisco de la Sierra le pitture rupestri più famose della penisola, quelle lasciate in eredità dalle tribù indiane dei cochimì. Non arriviamo a tanto ma da alcuni racconti e letture sappiamo che per raggiungere certi siti servono due giorni a dorso di mulo ed è lì che l’esperienza nel deserto si fa davvero estrema.

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