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I grandi reportages / Tutti i soli del Messico

Tutti i soli del Messico: da Puebla a Veracruz

La metafora della piccola San Isidro

Al confine dei tre stati di Oaxaca, Puebla e Veracruz è ambientata la storia bizzarra del “San Isidro Futbol Club”, raccontata col suo solito sguardo innamorato sul Messico da Pino Cacucci. Da un aereo caduto nella selva spuntano dei sacchi di polvere bianca che sembrano piovuti apposta per rifare in calce le linee del piccolo campo da calcio arrampicato sulla sierra. In realtà è un altro tipo di polvere…. Gli abitanti dell’imprecisato villaggio lo cominciano a capire quando l’attaccante della squadra locale, gambe molli in partita per la notte d’amore appena trascorsa, cade col naso sulla linea e si rialza completamente trasformato, conducendo i suoi alla vittoria.

La metafora della piccola San Isidro
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Seguono storielle avventurose e surreali con tutto il paesino coinvolto, storielle e personaggi possibili solo nel Messico di provincia. La gente di qui si arrangia, inventa, va avanti, con indolenza, con ironia, con pochi mezzi, con illusioni, capace di esprimere tanta fantasia e nello stesso tempo uguali dosi di furbizia e ingenuità. E se vogliamo tentare un paragone più audace possiamo dire che la piccola San Isidro che resiste alla prepotenza dei trafficanti di cocaina ricorda la coraggiosa resistenza degli abitanti di Puebla, Oaxaca e Veracruz all’esercito francese nel 1862.

Altre cose che accomunano villaggi e città di queste latitudini sono il festoso culto dei morti e la tradizione dei voladores, gli uomini che ondeggiando nel vuoto si lanciano da un palo rimettendo in scena un antichissimo rito. Ne parleremo tra poco.

da Puebla a Veracruz, la metafora della piccola San Isidro

Puebla, sotto il vulcano

Oaxaca l’abbiamo appena vista, assaporiamo ancora la sua atmosfera indigena, eterea. Adesso arriviamo a toccare i 2.000 metri della regione di Puebla, caratterizzata da un clima dolce e costante di sedici gradi, una eterna primavera in pratica.
La città è molto spagnola e borghese nell’anima, nei monumenti, con una bellissima architettura coloniale dove sono protagoniste soprattutto le chiese, alcune ricchissime di tesori, come la Capilla del Rosario. L’unico monumento non colorato è la grigia cattedrale dagli interni barocchi.

Puebla, sotto il vulcano, una bellissima architettura coloniale

Puebla inoltre ospita una animata vita universitaria, murales storici, il Barrio del Artista pieno di botteghe artigianali e – nota curiosa a margine della sua profonda ed evidente messicanità – è piena di tedeschi per la presenza della fabbrica della Volkswagen.

piena di tedeschi per la presenza della fabbrica della Volkswagen
il Barrio del Artista pieno di botteghe artigianali

Lo Zocàlo come sempre in Messico è il centro della vita, degli incontri e della festa. Quello di Puebla secondo la leggenda è così bello e pittoresco perché furono degli angeli a decidere dove costruirlo e furono sempre loro nelle storie che passano dai nonni ai nipoti a sistemare una pesantissima campana in cima alla cattedrale. Ma più che dagli angeli Puebla è dominata da un’altra entità. Infatti sui campanili, sui vicoli e sui palazzi coloniali decorati con stupende maioliche, sulle antiche vie di ciottoli, sui messicani come sugli europei biondi, sugli studenti e sulle cantine dominano le sagome dei tre grandi vulcani, spesso ammantati di neve. E quando la terra trema, cosa che accade varie volte e con vari brividi da queste parti, il mitico cono del Popocatepetl da bianco e morbido diventa scuro e minaccioso.

le sagome dei tre grandi vulcani, spesso ammantati di neve

Cholula, icona del Messico

Vicino Puebla si visita Cholula che è una piccola città magica, uno dei più antichi centri cerimoniali del paese precolombiano, un luogo ispirato dal grande profilo del vulcano.
Noi stavamo là, con lo sguardo sulle cupole, sui balconcini in ferro battuto, sui portici, sulle case dipinte di giallo, di rosso, di azzurro, sui piatti speziati di pollo al cioccolato o sui bicchierini di mezcal a sorteggiare chi bevesse quello col verme, ma appena guardavamo un po’ più in alto spuntavano sempre loro, maestosi, eleganti, antichi: i vulcani.

Ecco, la vista della basilica gialla di Cholula col Popocatepetl (Popo per gli amici!) bianco sullo sfondo rappresenta da sempre un’icona del Messico. Un paesaggio colorato e sacro tra le nuvole, felice con le sue tradizioni, felice con poco.

Cholula che è una piccola città magica, uno dei più antichi centri cerimoniali del paese precolombiano

Verso il mare

Da Puebla al mare serve un pomeriggio in auto e si va volentieri verso Veracruz se ha un certo punto del viaggio si ha voglia di una fiesta autentica e di qualche tuffo liberatorio.
Parliamo della prima città fondata da Cortes nel 1519 e che diventò la base per la conquista spagnola del Messico. Parliamo del più importante porto della Nuova Spagna di allora per galeoni, tesori, arrivi, invasioni e di quello messicano di oggi per commerci e cargo. Lo stesso porto dove cominciò l’avventura rivoluzionaria di Fidel Castro e Che Guevara per la liberazione di Cuba.
Una volta delle cinte di mura la proteggevano dai continui assalti dei pirati che infestavano con le loro scorrerie il Mar dei Caraibi e che qui trovavano bettole, rhum, donne, musica e dobloni.

Da Puebla al mare serve un pomeriggio in auto e si va volentieri
una fiesta autentica e di qualche tuffo liberatorio

Veracruz: umida, bollente e vibrante

Non è la città più bella del Messico, non è al centro dei maggiori itinerari turistici ma è molto vera, molto affascinante a modo suo, con le sue palme, col suo lungomare, col destino del mare, con la vita allegra nei Caffè, percorsa da suonatori di marimbas e di congas, da pescatori di aragoste, da marinai in transito. E’ una città caotica, maleodorante, sensuale, per dirla con Pino Cacucci “il più grande manicomio del mondo con vista sul mare”. Un Messico diverso, verace, “dove il termine jarocho comprende tutto: il son, la regione, gli abitanti, la cucina tipica, i famosi sigari” (La polvere del Messico).

Un Messico diverso, verace

La città della Fiesta

Celebre per il suo Carnevale con le grandi bambole di cartapesta colorata che “per fama e follia è secondo solo a quello di Rio”. Ma ideale anche per un week end di pura evasione nel resto dell’anno: nelle strade del centro si fanno le ore piccole, si incrociano begli sguardi latini, si beve a fiumi il torito nelle cantine, un aguardiente di canna mista a latte, zucchero e frutti tropicali come il cocco e la guayabana; nelle spiagge come Boca del Rio si balla, si beve, si suda e si fa il bagno, squali permettendo… Vita piena, un tipico pezzo di Tropico.

nelle spiagge come Boca del Rio si balla, si beve, si suda

Le spiagge e i monumenti

Se si vuole continuare sul mare si arriva sulla Costa Esmeralda, 50 km a nord. Mentre sul litorale di Anton Lizardo, a sud, si vedono i pescatori partire e rientrare con le barche, da spiagge bianche dove il vento soffia dolce tra le palme.
Se si vuole restare in città invece si possono visitare i ruderi dell’antico ospedale spagnolo dove girarono “Il Console onorario” con Richard Gere e Michael Caine, l’acquario, il Museo navale, la Isla de Sacrificios, così chiamata dai conquistadores per avervi trovato dei resti umani e il Forte di San Juan de Ulùa, con le sue celle misere dove passarono o morirono eretici, fattucchiere, ladruncoli, pirati o nemici stranieri. Ha vissuto anni complicati Veracruz nel suo passato, bombardata nel 1847 dagli americani, vecchie ruggini mai sopite anche con spagnoli e francesi: “Quattro volte eroica” è stata definita nei libri di storia per la sua strenua difesa dalle occupazioni straniere.

i ruderi dell’antico ospedale spagnolo dove girarono “Il Console onorario” con Richard Gere e Michael Caine

La Festa dei Morti

Coi vicini stati di Oaxaca e Puebla quello di Veracruz è il posto che celebra forse più sentitamente la ricorrenza dei defunti: ciò che avviene nel Dìa de los Muertos è l’apice del folklore messicano, è il paradigma della cultura indigena di un popolo intero, non solo la trama del simpatico film “Coco”.
Nelle strade risuonano musiche tradizionali e sfilano maschere scheletriche, la statuina della calavera (il piccolo teschio colorato) è il souvenir più carino venduto nei negozi e anche adesso che scrivo me lo guardo sulla mia scrivania, accarezzandolo ogni tanto come fa Amleto!

Non siamo a novembre ma mi raccontano che in questo mese le stanze delle case di Veracruz si ornano con archi di fiori e file di candele, si tirano fuori le migliori tovaglie e sopra ad esse si servono i cibi prelibati della tradizione. Il clima non è affatto triste ma di gioia perché “è credenza diffusa che i morti tornino fra i vivi per accettare le loro offerte, per ritrovare il calore della famiglia e degli amici” e così “si depongono in abbondanza bottiglie di liquore e sigarette, ovviamente del tipo e marca amati dal defunto” (Pino Cacucci, La polvere del Messico).

musiche tradizionali e sfilano maschere scheletriche, la statuina della calavera

Anche i cimiteri diventano un luogo di incontro, caldo, conviviale ed umano e in essi fra una chiacchiera, una bevuta, una preghiera, tanti ricordi e tanti sorrisi che rendono più lieve e più sopportabile l’esperienza della morte, i defunti si ricordano a seconda dei giorni per il tipo di morte o di età.
E’ un mondo che noi occidentali facciamo fatica a capire, a penetrare, ma qui, nel lato meno luccicante, meno potente, meno ricco dell’America, l’alternanza tra vita e morte è sempre stata vista come naturale, come la garanzia dell’ordine cosmico, come un passaggio necessario e fondamentale. Leggero.

Anche i cimiteri diventano un luogo di incontro, caldo, conviviale ed umano

Saluto a Veracruz

Veracruz offre al viaggiatore due ultimi incanti e per conoscerli bisogna ripartire verso Città del Messico e a circa 90’ di strada fermarsi a Papantla dove si può assistere con un po’ di fortuna al rito dei voladores e dopo si può visitare la Palenque della zona, il complesso archeologico di El Tajin.

I mistici Voladores

Il rituale dei Voladores consiste in una speciale danza acrobatica

Il rituale dei Voladores consiste in una speciale danza acrobatica. Quattro uomini che simboleggiano gli uccelli sacri, i quetzàl, si arrampicano su un palo di 30 metri e da lassù si lanciano poi legati con corde per scendere a terra. Il quinto rimane in cima al palo, ballando e suonando un flauto e un tamburo. Il volo è pericoloso e bisogna essere molto abili e molto attenti a farlo perché si è sempre a testa in giù, si arriva a sfiorare il suolo ma nello stesso tempo con gli occhi si deve fissare il sole “ripetendo un rito ancestrale del popolo totonaco che solo sfidando la morte in volo poteva guadagnarsi il diritto di rivolgere il volto alla divinità solare” (Pino Cacucci, La polvere del Messico).
Secondo un mito, il rituale è stato creato per chiedere agli dei di porre fine a una grave siccità. L’audace e scenografico volo va dunque interpretato come una richiesta di piogge e di fertilità.

Nella giungla, El Tajin

Esce dalle foglie, dagli alberi, dalle nebbioline di una vallata tropicale, appunto come Palenque in Chiapas. Siamo nel bel mezzo di una foresta pluviale e la possente archeologia del Messico continua a impressionarci.

La civiltà di El Tajin, che prese il nome dal dio tutelare della fertilità e della pioggia, si sviluppò sul Golfo del Messico tra il 250 e il 900 d.C, fu opera probabilmente del popolo dei Totonachi e lasciò come monumento principale la Piramide delle Nicchie dove i 365 incavi una volta dipinti di un colore rosso cupo rappresentavano i giorni del calendario solare, facendo quindi pensare a una funzione astronomica del grande tempio. Sparsi qua e là i resti di addirittura undici sferisteri, i campi da gioco della pelota, e nelle tombe dei ritrovati litici degli elementi del gioco, come cinturoni, pettorali e asce. Quindi se si giocava un Mundial di pelota nel Messico precolombiano di sicuro la calda giungla di Veracruz ospitava o la finale o almeno alcune delle squadre più forti!

la Piramide delle Nicchie

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